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10 Aprile 2025
Podcast / Io non mi rassegno

I nuovi dazi di Trump, poi la moratoria (ma per la Cina aumentano!) – 10/4/2025

Dal piano alimentare messicano alla strage di paramedici a Gaza, passando per Lucano, la guerra dei dazi e il crollo del petrolio.

Autore: Andrea Degl'Innocenti
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dazi

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Ieri si è parlato ancora tanto di dazi, perché è stata la giornata in cui è entrata in vigore la seconda mandata di dazi imposti da Trump, quelli diversi da paese a paese. Ed è stata anche la giornata in cui Trump ha deciso di sospendere i dazi. Dopo poche ore dalla loro introduzione. Per tutti, tranne che per la Cina, per cui sono invece saliti al 125%.

Va bene, ripercorriamo un po’ la pazza giornata di dazi di ieri. I dazi sono entrati ufficialmente in vigore alle sei di ieri mattina (ora italiana). Stiamo parlando di quei dazi aggiuntivi, che ad esempio erano del 20% sulle esportazioni europee (e quindi anche italiane) negli Stati Uniti. E del 104% su quelle cinesi. Questa era la situazione al mattino.

La Cina, che era tra i paesi più penalizzati, ha risposto con ulteriori dazi sulle merci statunitensi, che saranno in vigore da oggi e che sommati a quelli già annunciati arrivano all’84%. 

Ora, è chiaro che è comunque una roba squilibrata, perché la Cina esporta molto di più di quello che importa dagli Usa. Però comunque non sono numeri irrilevanti. Dati alla mano – leggo sul Post – Nel 2024 gli Stati Uniti hanno inviato in Cina 143 miliardi di dollari di merci, contro i 439 esportati dalla Cina.

Fra l’altro sempre in Cina – riporta il Post – il ministero della Cultura e del Turismo ha sconsigliato ai propri cittadini i viaggi negli Stati Uniti. In un comunicato ha invitato a valutare attentamente i rischi legati a un viaggio negli Stati Uniti, citando il «deterioramento delle relazioni economiche e commerciali» tra i due paesi e «la sicurezza interna degli Stati Uniti». Anche questa è una forma di ritorsione.

Nella giornata di ieri è arrivato anche l’annuncio ufficiale dei contro dazi dell’Ue. Il Consiglio dell’Unione Europea infatti ha approvato nel primo pomeriggio nuovi dazi del 25 per cento su una serie di prodotti statunitensi, come ritorsione contro quelli imposti da Trump a inizio marzo su acciaio e alluminio (quindi non c’entrano con questi ultimi, diciamo, ma sempre di dazi parliamo). Colpiranno – questi dazi europei – circa 22 miliardi di euro di prodotti che arrivano ogni anno dagli Stati Uniti, come mandorle, succo di arancia, acciaio e alluminio, tabacco e yachts. Ed entreranno in vigore il 15 di aprile.

Solo che poi in tarda serata è arrivato l’ennesimo annuncio folle di Trump, che ha detto, direttamente attraverso il suo social Truth, di aver infine deciso di mettere una moratoria sui dazi di 90 giorni. Resteranno solo dei dazi di base al 10%. Quindi dazi extra sospesi per 90 giorni, per tutti i paesi tranne che per la Cina, che invece avrà un nuovo rialzo al 125%. 

Vi leggo cosa scrive su Truth: “Considerata la mancanza di rispetto che la Cina ha mostrato nei confronti dei mercati mondiali, con la presente aumento la tariffa imposta alla Cina dagli Stati Uniti d’America al 125%, con effetto immediato”.

Capite che fare macro strategie politiche ed economiche in questo contesto diventa difficile se non impossibile. I mercati hanno fatto le montagne russe tutto il giorno. 

Il governo messicano ha annunciato un piano da oltre 4 miliardi di dollari per rafforzare la sovranità alimentare del paese, sostenendo in particolare i piccoli e medi agricoltori. Il programma si chiama “Raccogliere Sovranità” – in spagnolo “Cosechando Soberanía” – ed è parte integrante del più ampio “Plan México”, la strategia di sviluppo economico voluta dall’amministrazione della neopresidente Claudia Sheinbaum.

Ma di cosa si tratta, nel concreto? L’obiettivo principale è aumentare la produzione interna di alimenti strategici come mais bianco naturale, fagioli e riso, riducendo la dipendenza dalle importazioni e migliorando la resilienza alimentare del paese. Per farlo, il governo messicano ha messo in campo una serie di misure che vanno dal sostegno economico diretto – sotto forma di finanziamenti agevolati e prestiti con interessi calmierati – all’accesso facilitato a sementi e fertilizzanti di qualità, passando per assicurazioni agricole e tutela legale dei prodotti locali.

Numeri alla mano: nel solo 2025 si prevede uno stanziamento di oltre 2,5 miliardi di dollari per sostenere circa 300.000 agricoltori, con l’obiettivo di arrivare a 750.000 beneficiari totali nel corso del programma. Sono previsti prestiti fino a 1,3 milioni di pesos con tassi di interesse massimi del 9% annuo, coperture assicurative contro disastri ambientali e prezzi minimi garantiti per i prodotti agricoli. Insomma, un pacchetto completo che punta a rafforzare l’intera filiera agroalimentare nazionale.

Tra gli obiettivi più ambiziosi del programma c’è quello di aumentare, entro il 2030, la produzione di mais bianco non transgenico del 17%, quella dei fagioli del 64%, del riso del 103% e quella del latte del 15%. Il tutto accompagnato da un piano di etichettatura per tutelare i prodotti locali e il loro valore aggiunto, sia culturale che ambientale.

“Raccogliere Sovranità” è solo uno dei circa 2.000 progetti previsti dal “Plan México”, che punta a una trasformazione economica “equa e sostenibile” del paese attraverso 18 linee strategiche e un investimento complessivo stimato in 277 miliardi di dollari. Un piano ambizioso, che vuole ridisegnare il modello di sviluppo del Messico entro la fine del mandato presidenziale nel 2030.

E c’è un’ultima cosa interessante da notare. Questo piano arriva in un momento in cui gli Stati Uniti stanno alzando nuovi dazi su prodotti agricoli messicani, tra cui proprio il mais. In questo contesto, la spinta verso una maggiore autosufficienza alimentare può trasformarsi non solo in una risposta difensiva, ma in un’opportunità concreta per rilanciare lo sviluppo locale, ridurre le disuguaglianze nelle campagne e costruire un sistema alimentare più equo, resiliente e sostenibile.

Intanto stanno emergendo sempre più dettagli su l’ennesimo – ma forse uno dei peggiori – crimini di guerra compiuto dall’esercito israeliano a Gaza.

In pratica siamo al 23 marzo 2025, a Rafah, una delle principali città della striscia che si trova nell’estremo Sud, al confine con l’Egitto (forse avrete sentito nominare il valico di Rafah). 

Un’ambulanza della Mezzaluna Rossa Palestinese è stata inviata per soccorrere feriti a seguito di un attacco aereo israeliano. Durante il tragitto, l’ambulanza viene improvvisamente colpita dal fuoco delle forze israeliane, causando la morte di due paramedici.

Ma non finisce qui. Perché a quel punto un convoglio di soccorso, composto da ambulanze, un camion dei pompieri e un veicolo delle Nazioni Unite, viene inviato per recuperare i corpi dei paramedici uccisi. Ma anche questo convoglio viene preso di mira e colpito dal fuoco israeliano, uccidendo diversi operatori umanitari. ​

Dopo vari tentativi ostacolati dall’esercito israeliano, il 30 marzo è stata scoperta una fossa comune contenente i corpi di 15 operatori umanitari, tra cui otto membri della Mezzaluna Rossa Palestinese, cinque della Protezione Civile e un dipendente dell’ONU. Alcuni corpi presentavano segni di esecuzione a distanza ravvicinata e, in alcuni casi, mani legate. ​

L’esercito israeliano ha inizialmente affermato che i suoi soldati hanno aperto il fuoco a causa di una “percezione di minaccia”, sostenendo che i veicoli si stavano avvicinando in modo sospetto senza segnali di emergenza. Ma una serie di video diffusi successivamente hanno mostrato che le ambulanze avevano le luci accese e erano chiaramente identificabili, contraddicendo la versione israeliana.

Organizzazioni come la Mezzaluna Rossa Palestinese e Amnesty International hanno richiesto un’indagine internazionale indipendente sull’accaduto. Perché ecco, l’attacco intenzionale contro operatori sanitari costituisce una gravissima violazione del diritto internazionale umanitario. È una roba davvero molto grave.

E adesso, appunto, iniziano ad emergere altre informazioni. Ad esempio Repubblica pubblica un’intervista all’unico sopravvissuto, di questa strage di paramedici che aiuta a chiarire, assieme alle registrazioni di un telefono rimasto segretamente in linea con la sala operativa della Mezzaluna Rossa durante l’attacco, cosa è successo dopo che i soldati israeliani della Brigata Golani hanno sparato centinaia di colpi contro le ambulanze a Rafah.

Munther Abed, così si chiama l’operatore della Mezzaluna Rossa in questione, afferma nell’intervista che il convoglio stava rispondendo a una chiamata di emergenza quando è stato colpito. Abed ha dichiarato che i veicoli avevano le luci di emergenza accese e le insegne ben visibili. Dopo il primo attacco, le forze speciali israeliane hanno aperto le portiere dei veicoli, lo hanno trascinato fuori e picchiato. Successivamente, un altro veicolo della protezione civile è arrivato sul posto ed è stato anch’esso preso di mira dai soldati israeliani.

Intanto a Jenin, racconta Michele Giorgio sul manifesto, “va avanti l’operazione militare israeliana cominciata 78 giorni fa, che ha ridotto in macerie buona parte del campo profughi della città, ucciso 36 persone, in gran parte civili, e ferito altre 18. 

Attendo il giorno in cui verrà avviata un’indagine sul ruolo dei media corporativi occidentali su questo genocidio. Perché è un genocidio che non viene solo ignorato, ma che viene giustificato. Si mantiene una linea che giustifica le azioni militari israeliano, giustifica la distruzione di interi ospedali, ampliando e normalizzando la narrativa degli scudi umani usati dai terroristi, usando parole che rinforzano la convinzione che i palestinesi si sarebbero in qualche modo cercati, meritati, questa reazione

Francesca Albanese, relatrice speciale delle nazioni Unite sulla situazione dei diritti in Palestina.

Un nuovo tassello si aggiunge alla saga politico-giudiziaria di Mimmo Lucano, il sindaco di Riace famoso per aver creato un modello di integrazione per persone migranti e finito – proprio per questo, probabilmente – nell’occhio del ciclone di una vicenda giudiziaria interminabile. 

L’ultima novità è che Mimmo Lucano resta sindaco di Riace. Perché il Consiglio comunale del piccolo comune calabrese ha respinto, a larga maggioranza, la richiesta della Prefettura di Reggio Calabria che ne chiedeva la decadenza dalla carica, in seguito alla condanna a 18 mesi per falso ideologico, con pena sospesa. 

Va bene, come al solito rifacciamo un passo indietro. Facciamo un breve riassunto: nel 2018 Mimmo Lucano, già noto per il modello di accoglienza diffuso adottato a Riace, era stato accusato dalla Procura di Locri di essere a capo di un’associazione criminale che avrebbe gestito in modo illecito i fondi destinati ai progetti di accoglienza. 

Una tesi pesantissima, che aveva portato a una condanna in primo grado a 13 anni e 2 mesi. Ma in appello, prima, e poi in Cassazione, il quadro è stato completamente ribaltato: l’impianto accusatorio è stato smontato pezzo per pezzo, Lucano è riuscito a dimostrarsi innocente per praticamente tutti i capi d’accusa, tranne uno, minore. In pratica è rimasta in piedi solo la condanna a 18 mesi per falso, legata a un atto amministrativo ritenuto irregolare. Una condanna quindi minore, molto minore rispetto a quello che l’accusa aveva sostenuto inizialmente.

Ma comunque una condanna. Lo sottolineo perché da qui parte la richiesta di decadenza. In Italia esiste infatti la cosiddetta legge Severino che prevede la decadenza di un amministratore locale in caso di condanna per reati gravi. In questo caso, il reato per cui Lucano è stato condannato, in teoria non dovrebbe far scattare automaticamente la decadenza secondo la legge Severino, pensata per reati più gravi o per condanne superiori ai due anni. Tuttavia, il Ministero dell’Interno ha scelto una lettura estensiva della norma, invitando le prefetture ad avviare comunque le procedure nei casi dubbi.

Il caso è arrivato quindi al Consiglio comunale, che per legge deve pronunciarsi. E che ha scelto, in maniera molto compatta, di non rimuovere Lucano, che al momento è sindaco di Riace e anche europarlamentare (può avere questa doppia carica perché Riace è un comune con meno di 15mila abitanti). 

La vicenda però potrebbe non essere finita qui. La Prefettura, spiega ad esempio Aòlessio Candito su Repubblica, potrebbe decidere di impugnare la delibera del Consiglio in sede civile, e da lì potrebbe aprirsi un nuovo percorso giudiziario fino alla Cassazione. 

Insomma, la vicenda va avanti e rischia di diventare una storia infinita. Lucano negli anni è diventato un personaggio mediatico, famoso, un simbolo, e come sempre quando si diventa il simbolo si rischia di pagare dazio non per quello che si è fatto ma per quello che si rappresenta. 

Metteteci anche che la riconferma di Lucano alla guida del Comune di Riace e il suo successo gigantesco alle Europee, dove è stato eletto con oltre 170mila preferenze ha amplificato questo effetto. E a Riace, leggo ancora su Repubblica, molti vedono questo nuovo tentativo di decadenza come l’ennesimo atto di accanimento contro una figura che ha incarnato e incarna un’idea di accoglienza radicalmente diversa, che ha fatto scuola nel mondo.

Allora, da oggi voglio iniziare a presentarvi pezzo pezzo il nostro nuovo sito. Un po’ l’ho già fatto, ma visto che c’è un sacco di roba nuova voglio raccontarvela un pezzetto per volta. A partire dalle news, questi contenuti brevi pensati per stare sul pezzo, per non perdersi cose importanti dell’attualità che dobbiamo conoscere.

Ad esempio, nella giornata di ieri abbiamo pubblicato 3 news. Una riguarda i referendum dell’8-9 giugno prossimi, sulla cittadinanza e il lavoro, perché sono uscite le date e i quesiti ed è il momento di iniziare a farsi un’idea. Oltre a spiegarvi i quesiti facciamo anche un rapido pro e contro.

Oppure del grave incidente in una discoteca della Repubblica Dominicana, dove sono morti 27 ragazzi/e, un fatto passato piuttosto inosservato e che ci spinge a riflettere anche su come i nostri media trattano diversamente le tragedie a seconda della latitudine.

O ancora abbiamo parlato dei contributi a fondo perduto per le piccole e medie imprese che investono in energie rinnovabili.

Insomma, temi diversi, ma sempre con l’obiettivo di darvi informazioni utili, costruttive, o comunque – come nel caso del disastro in discoteca – uno sguardo critico su come i media osservano la realtà.

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