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25 Febbraio 2025
Podcast / Io non mi rassegno

Germania: i segreti del successo dell’estrema destra e chi è il futuro cancelliere Merz – #1044

In Germania si è votato per rinnovare il parlamento e formare il nuovo governo: un voto segnato da un’affluenza record e dalla crescita dell’estrema destra di AfD, che però rimane fuori dai giochi di governo. Vediamo chi ha vinto, chi sarà il probabile nuovo cancelliere e perché il risultato di AfD fa così discutere. Parliamo poi di un evento di cruciale importanza che sta passando sottotraccia: a Roma sono in corso i colloqui supplementari della COP16 sulla biodiversità, per provare a sbloccare i finanziamenti necessari a fermare la perdita di natura entro il 2030. Infine, torniamo a parlare di consumo di suolo e transizione digitale, perché dietro l’espansione dei data center in Italia si nasconde una minaccia sottovalutata: la cementificazione di enormi aree senza adeguate tutele ambientali.

Autore: Andrea Degl'Innocenti
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Questo episodio é disponibile anche su Youtube

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Ci sono state le elezioni parlamentari in Germania, quelle per formare un nuovo governo dopo le dimissioni di Olaf Scholz da cancelliere, e ci sono parecchie cose da dire. Partiamo come al solito dall’analisi dei risultati.

Il dato forse più sorprendente è quello relativo all’affluenza: è andato a votare – pensate – l’84% degli aventi diritto. È il dato più alto dalla riunificazione della Germania a questa parte. Insomma sono state elezioni vere, sentite, e ha pesato tantissimo su questo dato la paura di una vittoria dell’estrema destra dell’AFD. Comunque, ci torniamo su questo. Intanto vediamo gli altri risultati.

Il primo partito è la CDU/CSU, lo storico partito di centrodestra tedesco, che ha ottenuto il 28,5% dei voti. Un risultato in linea con le aspettative, che probabilmente consentirà al suo leader Friedrich Merz di diventare il prossimo cancelliere, ma che comunque rimane il secondo risultato più basso della storia del partito, dopo quello del 2021. 

Secondo partito è stato invece l’AFD, il partito di estrema destra che è stato il vero spauracchio di queste elezioni. È il partito di cui si è discusso di più, anche a livello europeo, ma non solo. Quello che Musk aveva indicato come unica speranza per la Germania. Che alla fine ha ottenuto il 20% circa dei consensi. Che sono tanti, circa il doppio rispetto al 2021, sono un elettore su cinque. 

Poi a seguire c’è il PSD, il partito socialista del Cancelliere uscente Olaf Scholz, che cala un bel po’ e con il 16,4% dei voti colleziona il peggior risultato di sempre, ma probabilmente formerà comunque un governo di larghe intese assieme a CDU/CSU. Scholz a quanto pare farà un passo indietro e si suppone non ne farà parte.

Poi ci sono i Verdi all’11,6%, gli unici dei 3 partiti di governo uscente a tenere un minimo bota rispetto al 14% del 2021, e infine, a chiudere i partiti che superano la soglia di sbarramento al 5% ed entrano in parlamento c’è Linke, il partito di sinistra più radicale, che colleziona circa il 9%.

Restano fuori clamorosamente i Liberali, che erano stati il secondo partito con oltre 1l 24% nel 2021 e ora collezionano un misero 4,5%, e Sahra Wagenknecht col suo partito personale, personaggio di cui si era parlato molto perché rappresentante di quella corrente di pensiero che i giornali chiamano rossobruna, quindi una miscela di socialismo economico, protezionismo, nazionalismo e scetticismo verso l’immigrazione e le istituzioni globali.

Ora si passa alla creazione del nuovo governo, per cui tradizionalmente in Germania ci vogliono circa due mesi. Anche se stavolta i giochi sembrano già fatti in partenza: nessuno vuole governare con l’AFD, mentre sembra abbastanza scontato che si creerà una coalizione centrista, un po’ come le famose larghe intese in Italia, Fra CDU/CSU e SPD. Quindi centrodestra e centrosinistra insieme. Con diverse criticità, devo dire. Ma ci arriviamo.

Ora, le cose più interessanti su cui fare un pelo di analisi in più mi sembrano 3. L’affluenza, il probabile nuovo cancelliere (chi è, cosa farà) e il risultato di AFD.

Partiamo da quest’ultimo. E qui bisogna fermarci un attimo per capire che cos’è l’AFD, e che vuol dire questo risultato, in Germania. Che insomma, non è un posto a caso. L’ultima volta che un partito di estrema destra ha ottenuto un risultato del genere le cose poi non è che siano andate benissimo. Alcuni definiscono l’AFD un partito neonazista. Il che è una definizione eccessiva, sproporzionata. Anche se comunque delle robe ci sono, non banali.

Penso sia utile provare a fare un confronto fra AFD e FdI, due partit comunque di destra radicale, per capire se parliamo dello stesso livello di radicalità oppure se sono due cose diverse. 

Se FdI nasce come erede della destra post-fascista italianama si sposta progressivamente verso una destra diciamo più istituzionale, AfD fa il percorso inverso. Nasce inizialmente come partito euroscettico e anti-euro, ma con il tempo si radicalizza su posizioni sempre più estreme, in particolare sull’immigrazione e sulla visione identitaria della Germania. Alcune sue frange sono apertamente xenofobe, revisioniste rispetto alla memoria storica del nazismo e persino sotto osservazione da parte dell’intelligence tedesca per tendenze estremiste.

Poi, entrambi i partiti hanno posizioni molto dure sull’immigrazione, ma anche qui AfD è molto più estrema. Se FdI promuove il blocco navale contro gli sbarchi e politiche di difesa dell’identità italiana, AfD usa una retorica che potremmo definire vicina al suprematismo bianco, ha leader che parlano di “sostituzione etnica”, e nei Länder orientali alcuni esponenti sono stati accusati di legami con movimenti neonazisti.

E anche il rapporto col nazismo è piuttosto problematico: FdI è stata spesso criticata per non prendere una posizione netta sul fascismo, ma Meloni ha dichiarato più volte che “il fascismo è storia” e che il suo partito si colloca in un’area conservatrice. AfD, invece, ha parrecchi esponenti che minimizzano il nazismo o fanno dichiarazioni revisioniste. In alcuni casi, il partito ha preso posizioni che vanno contro i principi della Costituzione tedesca, tanto da essere monitorato dai servizi di sicurezza interni.

Infine, in politica estera, se FdI è sovranista, ma non vuole uscire dall’UE o dall’euro ed è piuttosto filoatlantista (perlomeno da quando Meloni è premier) AfD, invece, ha posizioni molto più radicali: ha proposto l’uscita della Germania dall’UE (Dexit) e ha una visione ostile verso la NATO e più vicina alla Russia di Putin.

Ora, le domande che però dobbiamo farci non sono solo chi sono questi dell’AFD, ma perché hanno questo successo? Vi riassumo alcuni elementi sparsi, poi trovate analisi più approfondite sotto fonti e articoli. 

Innanzitutto, l’AFD ha un successo particolarmente marcato nei Länder orientali, nell’ex Germania sovietica, e questo sembra dovuto a un senso di abbandono e frustrazione di una parte della popolazione. Dopo la riunificazione, l’Est tedesco ha vissuto una transizione economica dura: deindustrializzazione, perdita di posti di lavoro e salari più bassi rispetto all’Ovest. Questo ha creato una rabbia latente, che si è espressa in parte nel voto all’AfD.

Poi c’è il tema immigrazione, che come per gli Usa è stato contrale. Secondo il New York Post, le elezioni di domenica risentono dell’onda lunga della crisi dei migranti del 2015-2016. La decisione di Angela Merkel, allora, di aprire le porte a oltre un milione di richiedenti asilo ha creato una frattura nel paese, con molti elettori, soprattutto in aree meno cosmopolite, che hanno percepito questa scelta come una minaccia alla loro identità e sicurezza.

E poi c’è il dato dei giovani elettori ed elettrici, che hanno premiato molto i partiti considerati anti establishment. Considerate che fra i più giovani il primo partito è stato Die Linke, la sinistra, con oltre il 25% degli elettori, seguito da AFD col 21%. Nel 2021 a vincere fra i giovani erano stati i Verdi seguiti dai liberali. Quindi i voti hanno votato (innanzitutto hanno votato) e hanno votato in buona parte contro l’establishment, contro la politica tradizionale. È un dato interessante da cogliere. 

Ora, quello che abbiamo visto fin qui in molti paesi europei è che quando l’estrema destra, così come la sinistra radicale, entrano nei palazzi del potere, si assiste a un processo di normalizzazione. La stessa cosa non avviene altrove, ad esempio non è avvenuta negli Usa con Trump, non so esattamente perché, c’entrano immagino fattori culturali e ordinamenti giuridici diversi. Comunque in Europa di norma succede, ma questo processo ha comunque alcuni effetti collaterali. Perché se da un lato gli estremi tendono a normalizzarsi, dall’altro la normalità tende ad estremizzarsi, nel senso che tendiamo a ridefinire come normali e in qualche modo accettabili atteggiamenti o dichiarazioni che fino a poco tempo fa sarebbero state considerate assurde o inaccettabili. E poi non è detto che ci sia un punto di rottura oltre il quale questi argini, questa normalizzazione, non regge più.

Poi, veniamo al nuovo probabile cancelliere. Chi è Friedrich Merz leader dei cristiani democratici e probabile prossimo cancelliere? Merz non è un volto nuovo della politica. È, pensate, lo storico rivale di Angela Merkel all’interno del partito, e la sua carriera politica è stata a lungo oscurata proprio dalla presenza ingombrante della cancelliera.

Ora è riuscito a farsi largo e a vincere cercando di arginare a destra l’ascesa dell’AFD, ma è stato fortemente criticato – persino da Merkel stessa – perché, nell’andare a cercare voti a destra ha rincorso i temi dell’AFD, e soprattutto sull’immigrazione ha promesso la linea dura e ha inserito in programma un piano che sembra copiato da quello del governo italiano. E qui torniamo al concetto di estremizzazione della normalità.

Il FQ racconta che Merz “non ha mai ricoperto ruoli amministrativi. Non è stato ministro, né governatore, né sindaco. La sua esperienza è quella di un parlamentare mai davvero cresciuto, nonostante la precoce vocazione politica. Membro dei giovani democristiani, nella Junge Unione, fu europarlamentare dal 1989 al 1994, entrò presto nel Bundestag e divenne rapidamente capogruppo della Cdu dal 2000 al 2002. Fino allo scontro con Angela Merkel, che lo mise nell’angolo.

Abbandonata la scena politica che lo aveva visto messo da parte, Merz è stato avvocato d’affari negli Usa, vivendo molti mesi all’anno oltreoceano e in altri continenti – Merz infatti si presenta come convinto atlantista. Ciononostante, ha espresso parole chiare sul nuovo corso Usa: con Trump non bisogna mendicare, ma “accordarsi in Europa su una strategia comune il più velocemente possibile” e “sviluppare la propria forza”. Con lui al timone, ha assicurato, “la Germania avrà di nuovo una voce forte in Europa”.

Chiudiamo col tema dell’affluenza da record. L’84% è un’affluenza che in Europa non si vedeva da non so quanti anni. Ovviamente è stata trainata dalla paura della vittoria dell’estrema destra, e anche da una mobilitazione generale per convincere le persone ad andare a votare, addirittura in alcune città, come Duisburg, le autorità hanno offerto birra gratuita a chi andava a votare. Però non voglio ridurre a questo un dato comunque molto significativo. 

Comunque, mi fermo qui per oggi. Ne riparliamo.

Oggi inizia a Roma un evento importantissimo per il futuro della nostra specie e di molte altre su questo pianeta, e non ne sta parlando praticamente nessuno. 

In pratica da oggi, 25 febbraio, fino al 27 febbraio a Roma si tengono le sessioni supplementari della COP16 sulla Convenzione sulla Diversità Biologica. perché sessioni supplementari, direte voi? Perché se ricordate, la COP16 sulla diversità biologica si è già tenuta a ottobre, a Cali, in Colombia, ma si è conclusa con un nulla di fatto. E allora si va ai tempi supplementatari, in pratica, sperando di raggiungere un accordo.

Solo che ne stanno parlando davvero in pochi, e questa assenza di dibattito intorno a questo appuntamento non facilità chi spera in un accordo ambizioso. Qualche giorno fa, il 21 febbraio, il WWF ha provato a smuovere le acque organizzando un flash mob a Roma, e contribuendo un minimo ad aumentare la circolazione di questa notizia, che romane comunque perlopiù ignorata dai media.

Eppure, si tratta di un appuntamento fondamentale perché, come racconta in un comunicato WWF, le Parti della COP (principalmente i governi) avranno una nuova possibilità per fare in modo che il Quadro Globale per la Biodiversità deciso nella COP15 svoltasi a Kunming-Montreal nel 2022 non resti solo una bella dichiarazione d’intenti, ma venga supportato dalle risorse economiche adeguate per raggiungere i 23 target individuati come fondamentali per fermare e invertire la perdita di natura entro il 2030. 

Quindi si parlerà principalmente di soldi. Il tema su cui ogni accordo si incaglia. Anche uno degli aspetti più sopravvalutati della nostra epoca devo dire. I soldi, intendo.

A ottobre a Cali la questione dei soldi era stata centrale e irrisolta. I paesi cosiddetti in via di sviluppo avevano richiesto la creazione di un nuovo fondo autonomo gestito dall’ONU per finanziare la tutela della biodiversità, ritenendo inadeguato l’attuale sistema di finanziamento. All’opposto i rappresentanti di molti paesi ricchi, come cina, Usa e Russia si erano opposti, citando preoccupazioni riguardo ai costi e all’efficacia di un nuovo fondo.

Non era stato raggiunto nemmeno un consenso sulle modalità di monitoraggio degli obiettivi stabiliti nel Quadro Globale per la Biodiversità di Kunming-Montreal, che è l’accordo quadro, un po’ come se fosse l’equivalente dell’accordo di Parigi sul clima, ma per la biodiversità. 

Quindi ecco, a parte qualche nota positiva, tipo il riconoscimento del ruolo delle comunità indigene nella conservazione della biodiversità e l’accordo su un contributo dello 0,1% da parte delle grandi aziende biotecnologiche per l’utilizzo di risorse genetiche, il resto è stato un fallimento. Ora però in questo round ulteriore si prova a raggiungere un qualche tipo di accordo. Vi teniamo aggiornati.

Vi sarà capitato di vedere o sentire spesso accostate le formule transizione ecologica e digitale. Come se le due cose andassero inevitabilmente di pari passo. L’apparente immaterialità del web ci fa pensare che il suo impatto sia altrettanto leggero, impalpabile, ma non è così.

Ce lo ricorda un interessante articolo di paolo Pileri su Altreconomia, che racconta dell’impatto dei data center in tempi di sviluppo dell’IA. 

Pileri è professore di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano ed è uno dei massimi esperti di suolo e consumo di suolo. E quindi va da sé che è lì che si concentra la sua analisi. Le nuove minacce al suolo, spiega Pileri, si nascondono dietro una presunta sostenibilità tecnologica che in realtà non lo è. I data center, ovvero questi enormi capannoni pieni di server, richiedono infatti gigantesche aree di suolo (10-30 ettari) e grandi quantità di energia. 

10-30 ettari sono tanti. 10 ettari sono un quadrato con un lato di 1km. Sono 15 campi da calcio. E in Italia, i colossi dei dati stanno spingendo per costruirne di nuovi, e lo fanno grazie a una normativa favorevole, evitando di presentare valutazioni di impatto ambientale (Via) e proclamandosi “green” solo perché usano energia rinnovabile.

Ad agosto 2024, il ministero dell’Ambiente ha adottato nuove linee guida che non proteggono il suolo, ma facilitano la costruzione di data center. Sebbene si suggerisca di riutilizzare siti dismessi, la scelta rimane discrezionale. Anche la de-impermeabilizzazione e il ripristino delle aree sono solo raccomandazioni non vincolanti. Secondo Pileri le compensazioni ambientali proposte sono inefficaci e il piano di dismissione è vago, lasciando aperto il rischio di abbandono delle strutture in caso di fallimento.

Insomma, misure politiche approssimative, che sembrano volte a far salire l’Italia sul treno dell’IA senza prestare troppa attenzione agli impatti reali. Pileri termina l’articolo con un’accusa: scrive: “Mi chiedo: le forze politiche verdi e progressiste cos’hanno fatto per contrastare un documento del genere? I comitati locali dovranno impazzire per opporsi a questi nuovi assalti al suolo. Non se la prendano solo con i data center, ma anche con chi non ha vigilato per tempo nelle giuste sedi politiche e tecniche e con chi tarda colpevolmente a fare meglio di così, rinunciando a educare il proprio sguardo e il proprio pensiero al principio ecologico.

Segnalazione articolo Chiara Grasso su un nuovo “caso Jova beach party”.

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