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28 Aprile 2025
Podcast / Io non mi rassegno

Caos politico in Romania, di nuovo – 28/4/2025

Romania nel caos politico, cultura italiana colpita dal lutto per Papa Francesco, mobilitazioni per Gaza e tensioni USA-Cina sul clima.

Autore: Andrea Degl'Innocenti
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caos politico Romania

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La Romania sta vivendo uno dei momenti di maggiore caos politico della sua storia recente, a meno di una settimana dalle nuove elezioni presidenziali, previste per il 4 maggio. Giovedì scorso, un tribunale d’appello ha emesso una decisione clamorosa e molto criticata: ha sospeso l’attuazione della sentenza della Corte costituzionale che aveva annullato il primo turno delle elezioni presidenziali dello scorso novembre.

Ok, facciamo un passetto indietro. In Romania si era votato al primo turno delle elezioni Presidenziali il 24 novembre scorso e aveva vinto a sorpresa Călin Georgescu, un candidato di estrema destra con un profilo molto particolare: molto di destra, anti immigraizone, filoputiniano, sovranista, ma anche ex presidente del Club di Roma della Romania, quindi in qualche modo ambientalista, con un piano di rilocalizzaizone dell’economia, abbattimento delle emissioni, e che si presentava anche come candidato estraneo alla politica, contro la corruzione ecc. 

La sua affermazione aveva scosso il panorama politico rumeno. La Corte costituzionale aveva annullato il voto, ritenendo che vi fossero state irregolarità gravi, nello specifico interferenze russe nelle elezioni, interferenze però non comprovate. Quindi è stato un fatto molto controverso. Le nuove elezioni erano state riconvocate per il 4 maggio e a Georgescu era stato impedito di ricandidarsi, perché era stato definito non idoneo, in maniera piuttosto strumentale. 

Ora, il tribunale d’appello sostiene che la sentenza dell Corte costituzionale avrebbe violato i “diritti elettorali fondamentali” di Georgescu, motivo per cui ne ha disposto la sospensione. Insomma, secondo questo tribunale le elezioni non andavano annullate.

Tuttavia questa cosa non si potrebbe fare. La decisione è stata definita da molti esperti un’anomalia giuridica: in Romania, infatti, le decisioni della Corte costituzionale sono definitive e non possono essere appellate né sospese da altre corti. Per cui è probabile che nei prossimi giorni una corte superiore annulli la sospensione, e quindi che il 4 maggio comunque si voti, ma intanto la situazione contribuisce ad alimentare l’incertezza e il caos politico.

Questa crisi si inserisce in un contesto di forte instabilità: negli ultimi mesi l’estrema destra ha guadagnato terreno, approfittando di una crescente sfiducia nella classe politica tradizionale. Oggi, tra gli 11 candidati in corsa per le presidenziali, i sondaggi danno in testa George Simion, leader ultranazionalista dell’Alleanza per l’unità dei romeni (AUR), che ha sostituito Georgescu come principale volto della destra radicale.

In questi giorni, tra le tante discussioni, una delle più accese riguarda la decisione del governo italiano di proclamare cinque giorni di lutto nazionale per la morte di Papa Francesco. Una scelta definita da molti e molte sproporzionata e che ha avuto conseguenze pesantissime, in particolare sul mondo della cultura.

A spiegare molto bene l’impatto concreto di questa misura soprattutto sui mestieri dello spettacolo (ma non solo) è un articolo di Massimiliano Tonelli su Artribune, intitolato “La follia dei 5 giorni di lutto nazionale è stata devastante per il mondo della cultura”

Articolo molto interessante perché smarca subito il tema del 25 aprile, cioè la presunta volontà del governo di boicottare le manifestazioni sul 25 aprile. Una critica un po’ sterile, nel senso che è una tesi molto difficile da dimostrare. Non ha scelto il governo la data della morte del papa, né quella dei funerali, il 26 aprile, e si concentra invece sugli impatti economici di questa decisione.

Partendo da un presupposto importante da ricordare: Papa Francesco era tecnicamente il leader di un paese straniero, e quindi non “apparteneva”, passatemi il termine, all’Italia più di quanto non appartenesse al mondo interno, perlomeno quello di matrice cattolica. Ci aggiungo che 5 giorni di lutto per la morte di un Papa è un record storico assoluto. La prassi, leggo sul Post, è di 1-2 giorni. Vi leggo alcuni passaggi dell’articolo su Art Tribune.

Scrive Tonelli:

“Il lutto nazionale ha mosso praticamente tutti gli enti pubblici (non solo nazionali ma anche locali) ad annullare incontri, manifestazioni, concerti, spettacoli, presentazioni e inaugurazioni. In alcuni casi – magari in particolar modo laddove la sensibilità religiosa era più alta o per altre convenienze – hanno fatto lo stesso anche alcuni privati.”

Il risultato? Eventi cancellati, voli e biglietti ferroviari persi, ospiti internazionali arrivati inutilmente in Italia, progetti organizzati da mesi gettati al vento. Un disastro, economico e culturale, che colpisce proprio in un periodo delicatissimo: quello delle celebrazioni del 25 aprile, quest’anno ancora più importante visto che si celebravano gli 80 anni dalla Liberazione.

E aggiunge:

“Sarebbe bello avere la forza di analisi per studiare l’entità – in termini di decine o centinaia di milioni di euro – del danno di questa scelta. E magari chiedere ristori.”

Per concludere con un auspicio ironico e amaro:

“La speranza è che un giorno l’Italia abbia la sua nuova Festa della Liberazione contemporanea. Quella Novecentesca è sacrosanta e celebra la sconfitta del Nazi-Fascismo, quella nuova sarà istituita quel giorno in cui il Paese riuscirà definitivamente a liberarsi della cialtronaggine di chi lo amministra e lo sgoverna da decenni.”

A proposito dei funerali di papa Francesco, che si sono tenuti sabato, il 26 aprile. A Roma sono accorsi decine di leader da tutto il mondo, che in maniera questa sì forse irrispettosa ne hanno approfittato un po’ per ripulirsi l’immagine, incensando la memoria del pontefice di messaggi di estremo apprezzamento, cosa che in vita non avevano certo fatto (come ha scritto in questi giorni travaglio l’unico leader coerente è stato Netanyahu, che ha disertato i funerali e impedito ai suoi di ricordarlo) e un po’ ne hanno approfittato per fare incontri strategici, con Trump che ha incontrato Zelensky e così via. 

Ma sono stati, i funerali, anche molto partecipati di una folla non solo del mondo cattolico. I giornali parlano di una folla di 400mila persone. Fra cui, ad esempio, erano presenti Julian Assange insieme alla moglie, la sua ex avvocata Stella Morris Gabriel, e ai due figli piccoli.

Così come una delegazione dell’Ong Mediterranea, guidata da Luca Casarini, accanto a suor Genevieve, la religiosa che da sempre si dedica all’assistenza di donne trans e prostitute e che nei giorni scorsi è stata immortalata in lacrime durante l’ultimo saluto al feretro di Bergoglio. In piazza San Pietro c’è anche una delegazione dell’Unhcr, l’Agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di rifugiati e migranti. Insomma, un evento in cui c’è stato di tutto, il mondo, con le sue contraddizioni e complessità.

Apprendo da Pressenza che da alcuni giorni sta circolando un appello, iniziato in Francia, per organizzare una marcia di cittadini verso Gaza a cui stanno arrivando adesioni da tutto il mondo. La marcia è in corso di organizzazione, e mi sembra un’iniziativa molto coraggiosa e a cui dare spazio. 

In una lettera aperta indirizzata alle ambasciate di Egitto e Israele, che abbiamo pubblicato integralmente su ICC, un collettivo internazionale annuncia una mobilitazione senza precedenti: migliaia di cittadini provenienti da diversi Paesi si stanno organizzando per marciare verso il valico di Rafah, con l’obiettivo di aprire la frontiera e far entrare gli aiuti umanitari a Gaza, dove la crisi alimentare è ormai estrema.

“Non vogliamo la guerra, vogliamo la pace”, scrivono, mentre il Programma alimentare mondiale (WFP) annuncia di aver esaurito tutte le riserve di cibo nella Striscia, dopo settimane di blocco imposto da Israele.

Il movimento, pacifico ma determinato, si rivolge direttamente ai governi: “Se voi non agite, agirà il popolo.”

Chiudo il capitolo con una luce di speranza che arriva da Israele. La racconta il Guardian. Il 24 aprile è il giorno della Memoria in israele. Ecco, giovedì, 24 aprile 2025, durante il Giorno della Memoria, forse per la prima volta in maniera importante dall’inizio dell’invasione delòla striscia di gaza ci sono state delle rare e coraggiose proteste contro la guerra a Gaza. Sopravvissuti alla Shoah, discendenti e cittadini israeliani hanno manifestato a Tel Aviv e davanti a Yad Vashem, denunciando la sofferenza inflitta ai civili palestinesi e chiedendo compassione e fine delle ostilità. 

I manifestanti hanno portato foto di bambini uccisi, simboli della fame a Gaza e cartelli contro il blocco degli aiuti umanitari, nonostante i tentativi della polizia di censurare le immagini e impedire riferimenti alla crisi umanitaria. In un clima di crescente ostilità interna, iniziative come quelle del movimento Standing Together cercano di rompere il silenzio su una tragedia che molti, in Israele, preferirebbero ignorare.

Sul fronte energetico internazionale, emergono segnali contrastanti: mentre negli Stati Uniti cresce l’opposizione politica alla transizione energetica, la Cina raggiunge un traguardo storico sulle rinnovabili.

Il 24 aprile, durante il vertice dell’Agenzia Internazionale dell’Energia a Londra, gli Stati Uniti hanno duramente criticato le politiche che mirano a ridurre l’uso dei combustibili fossili, definendole “dannose e pericolose”. Parole forti quelle di Tommy Joyce, vicesegretario ad interim dell’Energia, che ha contestato l’idea di regolamentare o eliminare tutte le fonti energetiche non rinnovabili in nome della neutralità carbonica.

Una posizione che evidenzia il crescente attrito tra Washington e la IEA, l’agenzia nata negli anni ’70 proprio per garantire la sicurezza energetica, ma che negli ultimi anni ha ampliato il proprio mandato abbracciando con decisione la transizione energetica. Non a caso, già nel 2021, la stessa IEA aveva scioccato il mondo chiedendo lo stop a nuovi progetti legati ai combustibili fossili.

Intanto, dall’altra parte del globo, la Cina annuncia un sorpasso storico: per la prima volta, la capacità installata di energia eolica e solare supera quella del carbone. Nel primo trimestre del 2025, la capacità complessiva di rinnovabili ha raggiunto 1.482 miliardi di kilowatt contro i 1.451 del termoelettrico. Un risultato frutto di un’accelerazione impressionante: solo lo scorso anno la Cina ha aggiunto 357 gigawatt di nuova capacità eolica e solare, dieci volte quanto fatto dagli Stati Uniti.

Numeri che raccontano di un cambiamento strutturale in atto, anche se il carbone continua a coprire circa il 60% del fabbisogno energetico cinese e nuovi progetti legati al carbone non sono affatto in calo. Tuttavia, il settore energetico del paese sembra sempre più vicino al picco delle proprie emissioni di carbonio.

Da una parte, quindi, c’è chi rallenta, osteggiando la transizione per timore di perdere controllo sulle fonti energetiche tradizionali; dall’altra, chi – pur con tutte le contraddizioni del caso – macina record su record nelle rinnovabili, proiettandosi verso un futuro a basse emissioni.

Vedremo nei prossimi mesi come si svilupperanno questi due modelli così diversi di affrontare la crisi climatica.

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