Caos politico in Romania: che succede? – INMR 11/03/2025
Il caos politico in Romania, i venti di secessione in Bosnia, un grande parco naturale in Congo e le altre notizie della settimana.

Questo episodio é disponibile anche su Youtube
Fonti
#Romania
il Post – In Romania 6 persone, fra cui un uomo di 101 anni, sono state arrestate per aver progettato un colpo di stato filorusso
il Post – In Romania Călin Georgescu è stato escluso dalle prossime elezioni
Internazionale – Il candidato di estrema destra Georgescu escluso dalle presidenziali in Romania
#Bosnia
il Post – In Bosnia Erzegovina c’è una nuova grossa crisi
#Congo
L’indipendente – Nel Bacino del Congo verrà istituita la più grande riserva di foresta tropicale al mondo
#Israele-Gaza
Il Fatto Quotidiano – Israele toglie l’elettricità a Gaza alla vigilia dei colloqui di Doha. Hamas: “Ricatto”. Il ministro Smotrich: “Presto nuova guerra intensa”
L’Indipendente – L’Unione Europea ha approvato il Piano arabo per Gaza
#Siria
il Post – Quattro giorni di rivolte e massacri di civili in Siria
#UNCR
Unhcr – Coloriamo il futuro
#Londra
Italia che Cambia – A Londra l’aria è sempre più pulita
Trascrizione della puntata
In Romania sta succedendo un caos politico gigantesco. Davvero difficile da raccontare, fra elezioni annullate, candidati alla presidenza resi improvvisamente non idonei senza motivi reali, il tutto per ragioni perlopiù geopolitiche. C’entra come al solito l’influenza della Russia e il rapporto burrascoso con la politica europea. Ma è una storia che fa emergere anche un sacco di contraddizioni di quella che chiamiamo democrazia occidentale. Vediamo.
Tutto ruota attorno alla figura controversa di Călin Georgescu, un politico che i giornali nostrani definiscono filorusso e di estrema destra che è stato la grande sorpresa del primo turno delle elezioni presidenziali rumene. Fino a poche settimane prima del voto, nessuno lo considerava un candidato forte, ma grazie a una campagna elettorale condotta quasi esclusivamente sui social, in particolare su TikTok, è riuscito a vincere risultando il più votato. Un risultato che ha colto tutti di sorpresa e che ha subito scatenato polemiche. Solo che a quel punto la Corte costituzionale rumena invece di accettare il risultato delle urne ha deciso di invalidare il voto per “possibili interferenze russe”.
Solo che capite che è una decisione molto controversa. Ora, non metto in dubbio che le interferenze russe possano esserci state, ma per arrivare a invalidare un voto, beh, devi avere delle prove in mano, non è che lo puoi fare sulla base di qualche sospetto. Sennò dovresti invalidare praticamente tutte le elezioni. E vabbé. Comunque non finisce più perché domenica è arrivata la notizia che la Commissione elettorale lo ha escluso dalla possibilità di ripresentarsi alla nuova tornata elettorale che ci sarà l’8 maggio, dicendo che deve ancora rendere note le motivazioni.
Comunque, prima di vedere meglio gli ultimi risvolti e le grandi proteste che stanno scoppiando nel paese, vediamo un attimo meglio chi è Georgescu. Perché è una figura a suo modo interessante, da alcuni punti di vista. Non è il classico politico populista di estrema destra che puoi aspettarti, cioé un po’ sì, ma ha anche alcuni aspetti da figura di alto profilo.
Come racconta il magazine le Grand Continent, “Il suo curriculum è piuttosto atipico: è esperto di sviluppo sostenibile, ha ricoperto ruoli di alto livello presso le Nazioni Unite ed è stato presidente per la Romania del Club di Roma, uno dei più importanti istituti al mondo per la sostenibilità ambientale, quello fondato da Aurelio Peccei e che ha dato il via alle ricerche pionieristiche sui limiti della crescita.
E c’è qualcosa di questo nel suo programma politico. Delle reminescenze di quel filone ambientalista di destra, che anche il fascismo e il nazismo hanno avuto. Gerogescu punta molto su un’idea di autosufficienza nazionale, con il progetto Cibo, Acqua, Energia con cui vuole ridurre la dipendenza dalle importazioni, sostenere l’agricoltura locale e puntare su una Romania più indipendente dal punto di vista economico ed energetico.
Queste idee in qualche modo interessanti però sono declinate all’interno di una retorica ultranazionalista, anti immigrazione, anti-UE al punto da essere considerato il volto di una nuova estrema destra rumena. Ha promosso teorie revisioniste sul fascismo rumeno, ha piu volte predicato la purezza del popolo rumeno, e così via. Quindi ecco, non è esattamente una personcina a modo, però ecco, è abbastanza atipico.
Il suo discorso politico si basa su un forte sentimento di rivalsa nazionale: sostiene che l’adesione all’UE e alla NATO abbia impoverito la Romania e cancellato la sua identità culturale. Anche per questo è considerato filorusso, e il Cremlino lo ha più volte elogiato.
La sua campagna è stata un caso senza precedenti: mentre gli altri candidati si affidavano a TV e giornali, lui ha costruito un movimento digitale su TikTok, dove è seguitissimo dai giovani. In Romania, la piattaforma sta superando Facebook in termini di utenti, e Georgescu ha saputo sfruttare questo trend a suo vantaggio. Georgescu ha saputo anche imporsi come figura nuova, anti establishment, all’intenro di una politica rumena molto stagnante e corrotta.
E la sua vittoria ha effettivamente scosso la politica del Paese. Al punto che la Corte Costituzionale ha annullato le elezioni. Al punto che la Commissione elettorale vuole impedirgli di ricandidarsi. È vero che sulle sue spalle pende un’accusa di apologia di genocidio – anche se non sappiamo se sia quella o meno la motivazione ufficiale – ma è altrettanto palese che il motivo reale è che Georgescu è un personaggio che sposta di motlo gli equilibri del Paese.
- Oggi la Romania è un paese molto antirusso. Il governo uscente ha preso negli ultimi mesi diverse misure piuttosto drastiche, tra cui:
- espulsione di diplomatici russi accusati di spionaggio;
- rafforzamento della sorveglianza contro reti filorusse e gruppi paramilitari legati a Mosca;
- sostegno convinto all’Ucraina, anche con l’invio di aiuti e cooperazione militare.
- In più, la Romania è uno dei paesi che spingono di più in Europa per mantenere una linea dura contro la Russia, anche in ambito NATO.
Pensate che in questo contesto arriva un tizio dal nulla che vuole ribaltare completamente questo equilibrio e che si colloca su posizioni molto più vicino a Putin che all’Ue. Capite che è uno shock. Solo che la risposta delle istituzioni rumene, per quel che si può capire, è paradossale. L’occidente che si avvita su se stesso.
La difesa dei valori occidentali contro la russia fatta a discapito di quello che probabilmente è il primo fra i cosiddetti valori occidentali, ovvero la democrazia. Sono i paradossi delle guerre, anche quelle non combattute sul campo. E vabbé, poi ci sarebbe di sfondo il tema della democrazia elettorale, un modello che pur restando meglio rispetto a una dittatura o a un’autocrazia, è comunque una roba che funziona poco e male, ma che nessuno ha realmente interessa cambiare.
Comunque, tornando in Romania, succede che dopo l’esclusione di Georgescu dalle prossime elezioni, nella serata di domenica alcune centinaia o migliaia a seconda delle fonti di suoi sostenitori si sono radunati davanti alla sede della Commissione elettorale a Bucarest, per protestare contro la decisione: ci sono stati anche scontri violenti tra manifestanti e polizia, che ha disperso i sostenitori di Georgescu sparando gas lacrimogeni. E Georgescu dal canto suo ha detto che presenterà ricorso e che non vuole rinunciare a candidarsi. Georgescu che al momento in questa nuova strana congiuntura geopolitica è appoggiato sia dal Cremlino che dalla nuova amministrazione Usa.
Nel frattempo, il governo rumeno ha rafforzato le misure contro le presunte reti filorusse, arrestando sei persone accusate di preparare un colpo di stato con l’aiuto di Mosca.
Insomma, la situazione è sempre più tesa e la Romania si trova ad affrontare un passaggio molto delicato e potenzialmente esplosivo. Vedremo.
La Romania non è l’unico paese che risente dell’instabilità del momento. In questo clima un po’ pazzerello di conflitti che si riaccendono, si sopiscono, si riaccendono, anche i Balcani sono tornati ad essere un punto molto caldo e rischiano di riaccendersi ancora di più. In particolare col venire meno dell’attenzione da parte di Europa e Stati Uniti il paese potrebbe letteralmente spaccarsi e andare incontro a una secessione. Ne parla Michele Ditto nella newsletter Lumina.
Facciamo un passo indietro. La Bosnia ed Erzegovina è uno Stato che funziona in modo un po’ particolare. È divisa in due grandi entità autonome: la Federazione di Bosnia ed Erzegovina – abitata in maggioranza da bosgnacchi (musulmani) e croati (cattolici) e la Repubblica Srpska (Serbska) – abitata in maggioranza da serbi (ortodossi). Poi c’è un piccolo territorio a parte, il distretto di Brčko, che è neutrale e non appartiene a nessuna delle due entità.
Questa divisione è nata con gli Accordi di Dayton del 1995, che hanno messo fine alla guerra tra queste tre etnie, guerra in cui i bosgnacchi musulmani hanno subito un vero e proprio genocidio per mano principalmente dei serbi. E gli accordi hanno cercato di separare le varie etnie dando ad ognuna un pezzo di potere.
Tant’è che anche la politica bosniaca è molto complicata, c’è un parlamento diviso in due con rappresentanti dei due stati, e addirittura il Presidente è una figura tripartita, con un rappresentante delle 3 etnie bosgnacca, serba e croata che si alternano in cicli di 8 mesi. E in più c’è un Alto Rappresentante, ovvero un funzionario internazionale incaricato di garantire il rispetto dell’accordo di pace, insomma gli accordi di Dayton, e che può prendere a sua volta decisioni che hanno valore di legge.
Quindi ecco, è un sistema abbastanza complesso e fragile, che ha iniziato a scricchiolare col tempo.
E da anni ci sono diversi personaggi politici che provano a cavalcare questa instabilità. E così la situazione si è deteriorata e adesso sembra vicina a un punto di rottura. In particolare la parte serba è tradizionalmente quella con maggiori spinte secessioniste. E pochi giorni fa Milorad Dodik, il Presidente della Repubblica Serba di Bosnia ha detto testualmente davanti a una folla in delirio che «Da oggi, non c’è più la Bosnia-Erzegovina».
Quindi ha invocato apertamente la secessione. Ma come si è arrivati a questo punto? Gli ultimi eventi concitati sono iniziati Il 26 febbraio, quando Dodik è stato condannato in primo grado a un anno di reclusione (che però è possibile tramutare in una sanzione pecuniaria) e a sei anni di interdizione dagli incarichi pubblici da un tribunale di Sarajevo.
La sentrenza è dovutra a una serie di azioni di Dodik in aperto e plateale contrasto con la costituzione bosniaca. Nel 2023 ha varato una legge che di fatto dichiara nulle le decisioni della Corte costituzionale di Sarajevo. E poi ha ignorato del tutto l’Autorità dell’Alto rappresentante per la Bosnia, il tedesco Christian Schmidt.
Proprio per questi comportamenti la Procursa di Sarajevo stava indagando su di lui e infine ha formalixzzato l’accusa di attacco all’ordine costituzionale. Dodik doveva presentarsi il 7 marzo davanti alla Procura di Sarajevo, ma ha ignorato la convocazione.
Nel frattempo, ha approvato nuove leggi separatiste che stanno già avendo effetti concreti: gli agenti della Repubblica Srpska che lavoravano in altre parti del paese hanno lasciato la polizia federale per unirsi a quella locale, mentre viceversa alla polizia federale è stato ordinato di abbandonare il territorio dell’entità serba.
Secondo un diplomatico esperto della regione, sentito dal Post, questa crisi è più grave del solito. Si respira un forte clima di paura tra la popolazione, anche se per ora non ci sono segnali di un conflitto imminente.
Un altro elemento chiave di questo processo, come immaginerete, è anche qui, come in Romania, la nuova situazione geopolitica. Perché il governo della Serbia, così come quello dell’entità serba all’interno della Bosnia, sono probabilmente più vicini alla Russia di Putin che all’Ue. E la nuova amministrazione Usa non ha alcuna intenzione di svolgere il ruolo di sceriffo della regione che, con un sacco di contraddizioni, svolgeva però l’amministrazione precedente. Quindi il clima è abbastanza favorevole a chi volesse tentare colpi di spugna.
In generale la sensazione è che l’Europa stia diventando il nuovo epicentro di tensioni, scontri e possibili conflitti. Tutte quelle frange più estreme che puntano a destabilizzare la scoietà, che prima erano in qualche modo tenute a basa da una sorta di ordine politico superiore, ora sono persino sobillate da questa congiuntura Usa-Russia, che come una tenaglia sembrano volersi stringere per destabilizzare l’Europa.
Intendiamoci, non che L’Europa sia esente da colpe o sia solo la vittima di questa situazione, l’Europa ha fatto poco negli ultimi anni per comprendere queste tendenze e per in qualche modo normalizzarle, ma resta il fatto che si trova nel mezzo e rischia di rimanere schiacciata.
Ci sono altre situazioni si conflitto di cui dobbiamo occuparci, ma intanto facciamo un break molto interessante con la notizia che La Repubblica Democratica del Congo (RDC) ha annunciato l’istituzione della più grande riserva di foresta tropicale al mondo, denominata “Corridoio Verde Kivu-Kinshasa” o “Riserva del Fiume Congo”. È un progetto molto ambizioso che mira a preservare il bacino del Congo, ovvero il più grande deposito di carbonio tropicale del pianeta, e anche la modalità con cui dovrebbe essere realizzata è interessante.
Il Corridoio Verde si estenderà per circa 2.600 chilometri, collegando il Parco Nazionale di Virunga nell’est del paese, le vaste foreste dell’Ituri e il fiume Congo, fino alla capitale Kinshasa. L’obiettivo principale è proteggere oltre 108.000 chilometri quadrati di foreste vergini, habitat di specie emblematiche come i gorilla di montagna e l’okapi.
Ma oltre alla conservazione ambientale, il progetto, almeno sulla carta, prevede svariati altri benefici sociali ed economici. Dovrebbe creare almeno 500.000 posti di lavoro, di cui almeno 20.000 destinati a giovani e donne smobilitati dai gruppi armati. E dovrebbe avere un impatto positivo su circa 31 milioni di persone. Inoltre, l’iniziativa include lo sviluppo di energie rinnovabili e di sistemi di trasporto sostenibili.
Ovvio che la realizzazione del Corridoio Verde dovrà affrontare sfide significative, tra cui la presenza di conflitti armati nell’est del paese, in particolare nella regione del Kivu, dove operano gruppi come l’M23. E in effetti il progetto vuole anche di fatto depotenziare questi gruppi armati e offrire alternative soprattutto a donne e ragazzi che volessero sottarrsi a quel tipo di percorso.
Il progetto è anche sostenuto, mi pare di capire anche economicamente dall’Ue, che forse – suppongo – prova a riguadagnare punti nella regione dopo che la Russia ha soppiantato gli stati europei nella presenza militare e la Cina in quella di sviluppo economico. E poi non dimentichiamoci che a volte i progetti di conservazione della natura possono avere degli aspetti controversi nelle zone abitare da popolazioni native che spesso vengono marginalizzate o persino espulse dalle proprie terre. Non ho nessun elemento per dire che questo progetto contempli questi aspetti qua eh, è solo una roba a cui fare attenzione, su cui vigilare.
Al netto di ciò, devo dire le premesse sembrano molto molto interessanti.
Intanto non iniziano nel migliore dei modi i nuovi colloqui sul cessate il fuoco a Gaza, in corso a Doha, in Qatar. In pratica il governo israeliano e Hamas dovrebbero accordarsi su come dare avvio alla cosiddetta Fase 2, quella che prevede la liberazione di tutti gli ostaggi in cambio del ritiro israeliano dalla Striscia e da punti strategici come il corridoio Filadelfia. Solo che il governo israeliano ha fatto precedere i colloqui da una mossa particolarmente violenta.
Ha infatti ordinato, come risporta fra gli altri il FQ, l’interruzione della fornitura di energia elettrica in tutta la Striscia di Gaza, aggravando una crisi umanitaria già al limite del collasso. E fra l’altro, leggo ancora nell’articolo del Fatto, la mossa è solo l’ultima di una serie di provvedimenti che Israele sta adottando sostanzialmente per boicottare la Fase 2 dell’accordo.
Pochi giorni prima infatti il governo d’Israele aveva deciso il blocco dell’ingresso degli aiuti umanitari e altre merci a Gaza. E il ministro delle Finanze Smotrich, uno dei più estremisti e pro-coloni del suo governo, ha annunciato che l’esercito è pronto a un ritorno massiccio a Gaza, con un piano “più rapido, più potente e più distruttivo del precedente”. Che non so bene come potrebbe esserlo.
Nel frattempo, però, l’Idf – l’esercito israeliano – è sotto inchiesta per l’uso di civili palestinesi come scudi umani, con sei casi già documentati dalla polizia militare, in cui i soldati avrebbero costretto prigionieri palestinesi a ispezionare edifici e tunnel prima di entrare. Un comportamento vietato dal diritto internazionale. In pratica, l’esercito impone a persone non combattenti di esporsi al pericolo al posto dei militari, sperando che, se ci sono trappole, esplosivi o combattenti nascosti, siano loro a subirne le conseguenze.
Intanto ai tavoli dei negoziati l’UE si dice pronta a sostenere il piano di ricostruzione per Gaza proposto dai paesi arabi – un piano da 53 miliardi di dollari in tre fasi – ma Israele e Stati Uniti lo hanno già respinto. Il piano prevede abitazioni temporanee, rimozione delle macerie e ricostruzione delle infrastrutture, fino a nuove elezioni con un possibile ruolo dell’Autorità Palestinese. Hamas si dice favorevole alle prime due fasi, ma critica la terza. Israele, invece, rifiuta ogni ipotesi che preveda un ritorno dell’ANP a Gaza.
E mentre sul tavolo si moltiplicano le proposte e le controposte, nella Striscia si moltiplicano fame, sete, malattie e disperazione. L’interruzione dell’elettricità rischia di far collassare anche gli impianti di desalinizzazione, lasciando oltre due milioni di persone senz’acqua. Il rischio, sempre più concreto, è che la catastrofe umanitaria si trasformi presto in qualcosa di ancora più grave.
Ci sarebbero tante altre cose di cui parlare. Ad esempio abbiamo parlato di gaza, ma anche in Siria e in Sudan la situazione è davvero pesante. In Siria, continuano i bombardamenti turchi nel nord del paese contro postazioni curde, mentre la crisi economica e umanitaria peggiora, con oltre 16 milioni di persone in bisogno di aiuti. In Sudan, la guerra civile tra esercito regolare e forze paramilitari RSF ha causato oltre 13mila morti e milioni di sfollati, con violenze estreme e rischio carestia in molte regioni.
Fra l’altro spesso dove ci sono queste situazioni spesso ci sono poi delle crisi umanitarie e di conseguenza dei grossi flussi migratori. Il che vuol dire tante persone, con status di rifugiati, che si trovano a vivere in paesi stranieri.
Visto che la UNHCR, ovvero l’Alto commissariato delle nazioni Unite per i rifugiati, sta promuovendo una campagna per favorire l’istruzione dei bambini e bambine rifugiate, che è un aspetto fondamentale, ho chiesto a Chiara Ghisi, che è una rappresentante della UNHCR, di spiegarci in cosa consiste questa iniziativa e anche che cosa possiamo fare noi.
Si può sostenere UNHCR con donazioni, ma anche accogliendo le famiglie rifugiate nelle scuole e nelle comunità, cercando di creare spazi di incontro e condivisione.
Prima di chiudere vi do un’ultima notizia. Ovvero che l’aria di Londra è sempre più pulita grazie a una gigantesca zona a traffico limitato che è stata istituita nel 2023. I risultati di questa iniziativa sono straordinari dal punto di vista della qualità dell’aria, ma visto che sono andato molto lungo io questa cosa non ve la racconto ma vi invito ad andarvi a leggere la news su ICC. La news su ICC? Ma che è la news?
Ebbene sì, da ieri abbiamo sul sito una sezione news con le ultime notizie, quelle proprio più fresche, in tempo reale, per stare sul pezzo dell’attualità ma anche per riuscire a scremare, perché lì nell’oceano dell’informazione troverete solo le cose davvero importanti. Quindi andatevela a vedere e poi fatevi un giro per tutto il sito perché* ci sono tante ma davvero tante altre novità.
Io in chiusura vi annuncio anche che da lunedì prossimo si riparte tutti i giorni con INMR, quindi oggi davvero non rassegnatevi.
Segnala una notizia
Segnalaci una notizia interessante per Io non mi rassegno.
Valuteremo il suo inserimento all'interno di un prossimo episodio.
Commenta l'articolo
Per commentare gli articoli registrati a Italia che Cambia oppure accedi
RegistratiSei già registrato?
Accedi