Repubblica Democratica del Congo e Ruanda firmano una tregua
Repubblica Democratica del Congo e Ruanda firmano una tregua, mediata dagli Usa, per porre fine al conflitto nell’est RDC. Con, sullo sfondo, il controllo di risorse minerarie strategiche.

A Washington, alla presenza del Segretario di Stato americano Marco Rubio, i ministri degli Esteri di Ruanda e Repubblica Democratica del Congo (RDC) hanno firmato un’intesa per rispettare la sovranità reciproca e lavorare a un accordo di pace entro il 2 maggio.
La dichiarazione d’intenti, firmata il 25 aprile, arriva dopo mesi di escalation violenta nell’est della RDC, dove la milizia ribelle M23 – sostenuta militarmente ed economicamente dal Ruanda, secondo diverse fonti indipendenti (AP News, Al Jazeera) – ha conquistato territori chiave e causato oltre 7.000 morti e centinaia di migliaia di sfollati.
Il pre-accordo firmato prevede tre impegni fondamentali: rispetto della sovranità territoriale reciproca, impegno a non sostenere gruppi armati e sviluppo di cooperazioni economiche, specialmente nel settore minerario, sotto il patrocinio anche degli Stati Uniti.
Non sono ancora chiari i meccanismi concreti che porteranno al disarmo o al contenimento del M23, milizia che, pur essendo vicina al governo ruandese, opera formalmente in modo autonomo.
Il conflitto tra RDC e Ruanda affonda le sue radici nel genocidio ruandese del 1994 e nelle successive guerre del Congo, che hanno visto il coinvolgimento di numerosi Paesi vicini. La regione orientale del Congo – come spesso accade per le regioni martoriate da guerre e conflitti – è una delle più ricche al mondo di minerali strategici – coltan, cobalto, oro – essenziali per le tecnologie moderne e la transizione energetica globale.
Il M23, nato nel 2012, si finanzia proprio attraverso il traffico illegale di queste risorse. Nonostante le smentite ufficiali di Kigali, numerose inchieste internazionali indicano il sostegno ruandese al gruppo come strategico per mantenere l’accesso a questi giacimenti.
Il ruolo attivo degli Stati Uniti non è casuale. Washington punta a stabilizzare la regione non solo per motivi umanitari, ma anche per garantire l’accesso sicuro ai minerali critici necessari per il settore tecnologico e per le industrie delle energie rinnovabili. Il coltan e il cobalto congolesi, infatti, sono materiali imprescindibili per batterie, semiconduttori e dispositivi elettronici.
La presenza di clausole sugli investimenti minerari nell’accordo, supervisionate anche da aziende americane, conferma come la pace in Congo sia vista, almeno in parte, come una questione di sicurezza economica e strategica globale.
Nonostante l’annuncio, l’effettiva applicazione del futuro accordo rimane incerta. Il coinvolgimento del Ruanda con il M23, la frammentazione dei gruppi armati e la complessità delle dinamiche economiche locali rendono fragile ogni percorso verso una pace duratura. La comunità internazionale osserva con attenzione: se fallisse anche questa mediazione, l’est del Congo rischierebbe di precipitare in una nuova spirale di violenza.
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