Referendum abrogativi dell’8 e 9 giugno: l’analisi dei 5 quesiti
Domenica 8 e lunedì 9 giugno i cittadini italiani sono chiamati a partecipare ai referendum popolari abrogativi su 5 quesiti in materia di disciplina del lavoro e cittadinanza.

L’8 e il 9 giugno 2025 l’Italia torna ai seggi, perché si terranno cinque referendum abrogativi. I quesiti referendari riguardano la cittadinanza italiana per stranieri extracomunitari, il contratto di lavoro a tutele crescenti e la disciplina dei licenziamenti illegittimi, i licenziamenti e le relative indennità nelle piccole imprese, la responsabilità solidale negli appalti.
1. Cittadinanza
Per quanto riguarda la cittadinanza viene proposto di ridurre da 10 a 5 anni il periodo di residenza legale in Italia richiesto per la richiesta di cittadinanza. L’intento è rendere più inclusivo e accessibile il percorso verso l’integrazione sociale, anche per allinearsi agli standard europei. D’altronde, con tempi lunghi molti stranieri restano in una sorta di “limbo civico”, privi di diritti politici come il voto, nonostante vivano in Italia da anni e abbiano legami forti con il territorio.
2. Licenziamenti illegittimi
Viene poi proposto di abrogare le norme relative ai licenziamenti illegittimi nel contratto a tutele crescenti, introdotto nel 2015 dal Jobs Act e applicato ai lavoratori assunti a tempo indeterminato dal 7 marzo 2015 in poi. Il termine “tutele crescenti” indica che le garanzie in caso di licenziamento aumentano con l’anzianità di servizio.
Chi è favorevole all’abrogazione sostiene che le tutele attuali non scoraggino i licenziamenti ingiusti, che il sistema sia troppo sbilanciato a favore dei datori di lavoro e che sia necessario ripristinare il reintegro obbligatorio per i licenziamenti senza giusta causa, come era con l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Secondo chi invece è contrario le vecchie regole erano troppo rigide e ostacolavano le assunzioni, mentre il sistema attuale risulta più chiaro e prevedibile per le aziende.
3. Piccole imprese
Passando al punto successivo del referendum, la proposta è quella di abrogare parzialmente le disposizioni che regolano i licenziamenti e le relative indennità nelle piccole imprese, cioè quelle con meno di 15 dipendenti. Oggi le tutele contro i licenziamenti sono più deboli rispetto a quelle previste per le aziende più grandi.
In particolare, se un lavoratore viene licenziato senza una giusta causa o motivo non ha diritto al reintegro: l’impresa è tenuta a pagare un’indennità economica, che di solito è più bassa rispetto a quella prevista per le grandi aziende. Il quesito chiede di abrogare parzialmente queste norme. Si vuole eliminare il trattamento differenziato per le piccole imprese in caso di licenziamento illegittimo per far sì che anche nelle imprese con meno di 15 dipendenti i lavoratori abbiano le stesse tutele di chi lavora in aziende più grandi, incluso il possibile reintegro nel posto di lavoro e indennità più elevate.
Secondo chi è favorevole oggi c’è una disparità di trattamento tra chi lavora in aziende grandi e piccole, le imprese non dovrebbero potersi “permettere” di licenziare senza motivo solo perché sono sotto una certa soglia di dipendenti. In generale va rafforzata la protezione dei lavoratori, a prescindere da dove lavorino. Chi invece è contrario sostiene che le piccole imprese abbiano meno risorse economiche a disposizione e una maggiore difficoltà a gestire i costi del personale. Regole più flessibili in materia di licenziamenti seve quindi per la sopravvivenza e l’agilità di queste realtà. Un cambio di norme rischierebbe di scoraggiare le assunzioni in questo settore.
4. Contratti a tempo determinato
Il quarto quesito riguarda una delle forme più diffuse di lavoro in Italia: il contratto a tempo determinato, cioè con una scadenza stabilita. In base alle norme attuali (modificate nel tempo, anche dal cosiddetto “Decreto Dignità” del 2018), un contratto a termine può durare al massimo 12 mesi senza causale, cioè senza bisogno di spiegare il motivo, può essere prorogato o rinnovato fino a un massimo di 24 mesi, ma con causali. Dopo 24 mesi o troppe proroghe, il contratto si considera a tempo indeterminato.
Il referendum chiede di abrogare parte delle norme che pongono limiti alla durata, alle proroghe e ai rinnovi dei contratti a termine. In pratica: si vorrebbe rendere più flessibile l’uso di questi contratti da parte delle aziende, eliminando alcune restrizioni attuali.
Secondo chi è favorevole all’abrogazione le regole attuali sono troppo rigide e limitano la libertà delle imprese che hanno invece bisogno di più flessibilità per gestire picchi di lavoro, stagionalità o incertezze economiche. In più alcuni lavoratori preferiscono contratti più brevi o temporanei. Chi è contrario sostiene che flessibilità troppo spesso significa precarietà per i lavoratori: rimuovere i limiti su durata e rinnovi può portare a infiniti contratti a termine, senza mai arrivare a un’assunzione stabile.
5. Sicurezza sul lavoro
Il quinto e ultimo quesito del referendum è molto importante, anche se un po’ tecnico. Riguarda la dimensione degli appalti, cioè quando un’azienda, il committente, affida un lavoro a un’altra, l’appaltatore, che a sua volta potrebbe affidarlo in parte a una terza, il subappaltatore. In caso di danni ai lavoratori negli appalti, il referendum vuole rendere tutti e tre i soggetti responsabili, non solo l’azienda che li ha assunti direttamente. Chi è a favore parla di giustizia e sicurezza sul lavoro, chi è contro teme burocrazia ed eccessiva rigidità, con il rischio di scaricare troppa responsabilità anche su aziende che non gestiscono direttamente i lavoratori e rallentando gli appalti, sia pubblici che privati.
Si vota domenica 8 giugno, dalle 7 alle 23, e lunedì 9 giugno, dalle 7 alle 15. Per ogni quesito si vota Sì per abrogare la norma attuale, No per mantenerla.
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Leggi i testi dei 5 quesiti dei referendum abrogativi dell’8 e 9 giugno. Fonte: Wikipedia
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