Una nave cisterna ha sversato rifiuti chimici nelle acque di Cagliari
Incursione della Guardia Costiera su nave cisterna italiana al porto di Sarroch. Ipotesi di inquinamento colposo per il rilascio di rifiuti chimici in mare.

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Nei giorni scorsi una nave cisterna italiana ha sversato rifiuti chimici nelle acque vicino a Cagliari. L’episodio, risalente al 13 marzo, è stato rilevato grazie al sistema satellitare europeo CleanSeaNet, che ha individuato una scia sospetta in mare. Le autorità marittime francesi hanno segnalato l’anomalia alla Guardia Costiera italiana, che ha fermato la nave, la Odoardo Amoretti, nave cisterna da 15.000 tonnellate di stazza, al suo arrivo nel porto industriale di Sarroch.
Gli ispettori della Capitaneria di porto di Cagliari hanno accertato che la nave aveva effettuato operazioni di lavaggio delle cisterne contenenti residui chimici in un’area troppo vicina alla costa, violando le convenzioni internazionali per la prevenzione dell’inquinamento marino. Sono emerse anche altre irregolarità legate alla sicurezza della navigazione, che hanno portato al fermo amministrativo dell’unità. La nave potrà riprendere la navigazione solo dopo aver risolto tutte le criticità contestate.
La nave cisterna ha ripreso la navigazione ieri, con rotta verso Oristano, dopo aver risolto le criticità a bordo. Ora le autorità competenti stanno valutando le ipotesi di reato di inquinamento colposo e violazione delle norme sulla sicurezza della navigazione.
Il lavaggio delle navi cisterna è regolato a livello internazionale dalla Convenzione MARPOL (International Convention for the Prevention of Pollution from Ships). In Italia, queste norme sono recepite nella legislazione nazionale attraverso il Codice della Navigazione, regolamenti attuativi e direttive ministeriali, e sono applicate e controllate dalla Capitaneria di Porto – Guardia Costiera.
Secondo MARPOL (soprattutto Annex II, per le sostanze chimiche liquide), le operazioni di lavaggio delle cisterne in mare sono consentite solo a determinate condizioni: il lavaggio può essere effettuato solo oltre le 12 miglia nautiche dalla costa, in acque profonde e lontano da rotte sensibili o aree protette – un limite che passa a 25 miglia in caso di sostanze più inquinanti o persistenti; inoltre ogni lavaggio deve essere annotato nel Cargo Record Book o Oil Record Book, con dati su posizione, ora, sostanza lavata, quantità residua, modalità di smaltimento, ecc.
È importante notare però che questo genere di operazione, anche se effettuata a una maggiore distanza dalla costa, hanno un impatto significativo. La normativa vigente non è pensata per garantire un impatto zero, ma per limitare i danni e gestire il rischio, in base al principio che più lontano dalla costa e più diluito è lo scarico, minore è l’impatto immediato su ecosistemi sensibili.
Molti esperti e ambientalisti sostengono che anche a largo, i residui chimici alterano gli ecosistemi, anche se diluiti. Le conseguenze a lungo termine inoltre sono poco studiate, ma potenzialmente gravi per la catena alimentare marina.
L’alternativa esiste e consiste nell’adottare sistemi di smaltimento a terra. Che però sono molto più costosi e richiedono infrastrutture portuali adeguate, per questo le compagnie di navigazione e trasporto chimico premono per evitare norme troppo stringenti sullo smaltimento nei porti.
Il sistema attuale scarica i costi ambientali sulle comunità costiere e sull’ambiente, mentre le compagnie risparmiano. Per questo organizzazioni come Greenpeace, Sea Shepherd, WWF, ma anche alcune associazioni di pescatori, chiedono da anni l’abolizione completa degli scarichi in mare, l’obbligo di trattare e smaltire a terra tutti i residui chimici e il potenziamento dei controlli e delle sanzioni.
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