Media italiani e clima: dimezzate le notizie, avanzano le voci contro la transizione energetica
Il nuovo report Greenpeace sull’informazione climatica in Italia lancia un segnale d’allarme: nel 2024 le notizie dedicate al clima si sono dimezzate, mentre crescono le voci contrarie alla transizione ecologica.

Nel 2024 l’attenzione dei media italiani sulla crisi climatica è diminuita drasticamente. Lo rivela uno studio realizzato dall’Osservatorio di Pavia per Greenpeace che ha analizzato i principali giornali e TG italiani: rispetto al 2023 sui quotidiani la quantità di notizie relative ai cambiamenti climatici è scesa del 47%, mentre del 45% nei telegiornali. Allo stesso tempo invece sono aumentate le pubblicità di aziende inquinanti, soprattutto del settore gas, petrolio e automotive.
Le narrazioni prevalenti si sono concentrate sui costi economici delle politiche climatiche, più che sulle conseguenze ambientali. Inoltre cresce la presenza di contenuti contrari alla transizione ecologica: 17% sui giornali, 19% nei TG. I politici, poi, in particolare i membri del governo, dominano il dibattito con posizioni spesso critiche verso le politiche UE, promuovendo alternative come il nucleare e opponendosi alla direttiva Case Green. Il risultato è un discorso pubblico sempre più polarizzato e reticente all’azione climatica.
Federico Spadini, responsabile della campagna Clima e trasporti di Greenpeace Italia denuncia questo forte calo di attenzione dei media italiani sulla crisi climatica e l’aumento della presenza pubblicitaria di aziende inquinanti. Questo, secondo Greenpeace, rischia anche di generare autocensura nei media, oscurando l’urgenza delle politiche climatiche, spesso messe in discussione dal governo Meloni. Greenpeace chiede di rompere l’alleanza tra aziende fossili, politica e media, ostacolo alla transizione ecologica.
In un momento storico in cui servirebbero maggiore consapevolezza, impegno e pressione pubblica, il silenzio dei media rischia di creare un vuoto informativo che rallenta o addirittura sabota la transizione ecologica. Non si tratta solo di una questione di quantità di notizie, ma di qualità dell’informazione, di responsabilità editoriale e infine anche di democrazia. Il fatto, poi, che crescano le “narrative di resistenza” alla transizione energetica è il sintomo di un discorso pubblico sempre più polarizzato, dove il pragmatismo rischia di diventare alibi per l’inazione.
Come ha osservato il magazine Valori, però, anche le aziende sembrano oggi meno interessate a comunicare i propri sforzi ambientali, segno che potremmo essere entrati nell’era del postwashing. Dopo anni di greenwashing — loghi dipinti di verde, slogan ecologici, e piani climatici “timidi ma mediatici” — ora molte grandi aziende, complice una lunga sequenza di crisi globali, sembrano non sentire più neanche il bisogno di fingere. Il marketing verde perde centralità, e lascia spazio a una narrazione in cui il messaggio dominante è: “non è più tempo di illusioni, bisogna tornare seri” — dove “serio” sembra equivalere a business as usual, armamenti, combustibili fossili e profitti a breve termine.
Tuttavia, come ha notato Giovanni Mori in una puntata di Io non mi rassegno +, il fatto che si parli meno di transizione ecologica nei media non è necessariamente un segnale solo negativo. In parte può essere anche il riflesso di una realtà che si sta finalmente muovendo: la transizione, pur con mille contraddizioni, sta accadendo davvero. E proprio per questo, entrano in scena anche gli aspetti più controversi, le scelte difficili, i conflitti. In altre parole, il dibattito sta passando (almeno in parte) dal “se farla” al “come farla”, e non tutto questo può passare per storytelling entusiasta.
Vuoi approfondire?
Ascolta le puntate di Io non mi rassegno + più dedicate alla transizione energetica.
Commenta l'articolo
Per commentare gli articoli registrati a Italia che Cambia oppure accedi
RegistratiSei già registrato?
Accedi