Nuovi limiti ai PFAS per tutelare le acque potabili: in arrivo il decreto legge
Il testo di legge che fisserà per la presenza PFAS il limite di 20 nanogrammi per litro è stato trasmesso al Senato e ora dovrà passare al vaglio delle Commissioni parlamentari competenti. Greenpeace: “Il testo è migliorabile”

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Il terremoto in Myanmar ha devastato il paese, l’Italia ha fissato limiti sui PFAS nelle acque, Porsche ha abbandonato l’ampliamento del centro Nardò, e Estonia e Groenlandia affrontano sfide geopolitiche significative.
Il Consiglio dei Ministri il 13 marzo ha approvato un decreto legislativo che introduce limiti più stringenti per la presenza di PFAS, le sostanze poli- e per-fluoroalchiliche nelle acque potabili. Il nuovo decreto stabilisce un limite di 20 nanogrammi per litro per la somma di quattro specifici PFAS, allineandosi ai valori adottati dalla Germania. Questo limite però è meno restrittivo rispetto a quelli di altri Paesi come la Danimarca, 2 nanogrammi per litro, e la Svezia, 4 nanogrammi per litro.
C’è un’altra novità: il provvedimento non riguarderà solo la somma di 4 PFAS, ossia PFOA, PFOS, PFNA e PFHxS, ma introdurrà anche il monitoraggio di altre sostanze della classe dei PFAS – le cosiddette molecole ADV prodotte in Italia dall’ex Solvay di Alessandria, oggi Syensqo – e un valore limite per il TFA, l’acido trifluoroacetico, una delle molecole della classe dei PFAS più presente sul pianeta, pari a 10 microgrammi per litro, equivalenti a 10.000 nanogrammi per litro.
La notizia dell’introduzione di limiti ai PFAS nelle acque potabili è buona, ma è avvenuta senza annunci pubblici o dibattiti approfonditi. Greenpeace ha rivelato la questione, evidenziando come intorno alla misura non ci sia stata un’adeguata informazione ai cittadini e senza un confronto trasparente con esperti o associazioni ambientaliste.
“Le forze politiche dovranno al più presto trovare un accordo per ridurre ancora di più i limiti consentiti avvicinandoli all’unica soglia sicura, lo zero tecnico“, ha sottolineato Greenpeace. L’organizzazione critica anche il fatto che i limiti imposti siano molto meno rigidi rispetto a quelli adottati da altri Paesi europei, evidenziando la necessità di un maggiore coinvolgimento della cittadinanza su un tema che riguarda la salute della popolazione.
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