Due femminicidi e uno stupro “consensuale”
Tra femminicidi, violenze e stereotipi serve aprire un vero dibattito sulla cultura del consenso.

Ieri, mercoledì 16 aprile, una donna è stata uccisa a Samarate con 55 coltellate dal marito. Inutile la corsa verso l’ospedale. Una svolta nelle indagini della donna ucraina trovata morta a luglio 2024 a Vatoliere di Ischia confermano un ulteriore femminicidio. A destare sgomento non sono solo gli atteggiamenti violenti, l’idea sempre ancora diffusa della donna come oggetto, ma anche le repliche della giustizia di fronte a certi fatti.
Sempre ieri è arrivata la decisione della Corte d’Appello di Bologna che ha assolto i due ragazzi che otto anni fa furono denunciati per stupro da parte di una ragazza all’epoca 18enne. La decisione ha respinto le richieste della Procura di Ravenna che insisteva per un nuovo processo, passando direttamente la parola alla Procura generale che ha chiesto condanne di 7 e 4 anni, inferiori ai 9 richiesti in primo grado per i due imputati, uno dei quali ex giocatore del Ravenna.
Secondo la Corte la “vittima era consenziente anche se ubriaca” perché 15 minuti prima “di avere il rapporto in contestazione” era riuscita a interloquire con gli amici e al telefono con la madre fornendo “risposte congrue alle sue domande”. Era dunque “pienamente in sé, in grado di esprimere validamente un consenso”. Anzi, dai video “non si apprezza costrizione o manovra seduttiva, istigativa o persuasiva” di uno dei due imputati. La pm Angela Scorza, che aveva presentato appello, aveva tutt’altro parere indicando “scena raccapricciante” e “stato di inconfutabile incoscienza” e in balia del “comportamento denigratorio dei presenti”.
Uno degli elementi più critici relativi allo stupro riguarda proprio il consenso. Se l’accordo di una delle due parti è forzato, coercizzato o ottenuto sotto pressione non può considerarsi consenso poiché non è stato dato liberamente. Spesso persiste anche il pregiudizio che addebita alla donna la responsabilità della violenza sessuale subita.
Stereotipi di genere dannosi, idee contorte su violenza sessuale, accuse di colpevolezza, domande di credibilità, sostegno inadeguato e legislazione inefficace sono tutti temi da mettere al centro rispetto a un nuovo e concreto dibattito sulla cultura del consenso.
Un cambio culturale sembra quanto mai necessario. Per farlo è necessario affrontare la situazione partendo da un’analisi dei dati e della realtà nella maniera più oggettiva possibile, senza minimizzare né rincorrere lo scandalo a tutti i costi.
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