L’onda lunga della rinascita, quando il surf diventa comunità: intervista a Vincenzo Ingletto
A Capo Mannu il surf è molto più di uno sport: è comunità, riscatto e arte. Vincenzo Ingletto, fondatore dell’Is Benas Surf Club, intervistato da Matteo Cardia racconta come le onde abbiano trasformato vite e territori, unendo passione e radici locali.

L’onda è un’energia che nasce dal vento, che corre fino a quando non trova un ostacolo. Ma è in quel momento che accade qualcosa di diverso. Il mare si spezza, ma non si distrugge. Si rigenera, non svanisce. Un riciclo di vitalità che somiglia a quello delle comunità, dove le energie nascono, si muovono, si rompono ma sanno rinascere sotto nuove sembianze, dando nuove forme e ruoli. Forse è per questo che a Capo Mannu, dove il mare offre di divenire parte di onde uniche al mondo, è nata la comunità surfistica più longeva della Sardegna e d’Italia.
Vincenzo Ingletto, che a Putzu Idu, nel Sinis, è nato e ha sempre vissuto, ne è uno dei pilastri. Nella sua voce si percepisce il sapore di quella vittoria che si celebra ogni giorno quando fai della tua passione il tuo lavoro. Quando ha iniziato lo ha fatto di nascosto. Voleva aggrapparsi a qualcosa, trovata poi in una tavola acquistata e messa da parte a casa di un amico con cui ha imparato a restare in piedi sulle onde.
«Vivevo al mare – racconta – lontano dal paese, mia madre era da sola, aveva tre figli e un piccolo negozio. Io ho iniziato a fare le peggio cose in giro, fino a quando il mio medico di famiglia, uno dei pochi abitanti della marina, mi ha ispirato. Andavo a casa sua e vedevo le fotografie di un uomo che aveva viaggiato tanto e faceva robe alternative. Così prendendo dei soldi di nascosto mi son comprato la tavola da surf. Ormai sono quasi quarant’anni che pratico questo sport. È una grandissima valvola di sfogo ma anche la chiave per insegnare valori di vita».

Il surf, prima persona plurale
Oggi di anni Ingletto ne ha 46, spesi per quasi metà all’Is Benas Surf Club, la prima scuola di surf in Sardegna e in Italia, diventata nel tempo un punto di riferimento per i surfer di tutto il mondo. «Nel 1997 ho incontrato Alessandro Staffa che è tuttora uno dei miei migliori amici. La sua compagna dice sempre “lui ti stava cercando”, e alla fine mi ha trovato. Ho iniziato a lavorare per gioco e alla fine, dopo qualche anno, sono diventato socio. Da allora la scuola ha assunto una sorta di altra natura: ora sono un local vero e proprio, un vero abitante di Putzu Idu. Come già era capitato a mio nonno e mia madre, sono una costante del luogo».
Luogo in cui nel frattempo sono arrivate sempre più persone affascinate e attratte da un ambiente sano. «L’area di Capo Mannu è unica a livello geologico. Le correnti fredde atlantiche arrivano verso l’Europa e vengono attratte, attraverso la Valle del Rodano, nel Mar Mediterraneo, che è più basso e più caldo. Si crea un imbuto che soffia da nord-ovest verso la Sardegna. Ed è anche per questo che la costa ovest dell’Isola è uno dei mari più puliti del mondo: Capo Mannu è un’isola dentro un’isola, le sue onde sono irripetibili». Noi è un pronome che torna spesso nelle parole del maestro di surf. Perché il tempo, a Capo Mannu, ha fatto sì che l’onda coinvolgesse anche chi non aveva intenzione di cavalcarla.
«Qui c’è una stupenda comunità surfistica. Ci siamo trovati tutti sullo stesso piano economico, culturale e artistico e così abbiamo iniziato a collaborare per tante cose anche fuori dall’acqua. Dalle più banali, come pulire la spiaggia, fino ad organizzare eventi come la Sagra del surf. Sempre più persone hanno voluto partecipare, si è creato un sistema in cui se vuoi e puoi dare, dai. Anche se praticamente vedendo la possibilità di far parte di qualcosa, finisce per essere impossibile non dare. Ci siamo ritrovati così a gestire il territorio. Accogliamo tutti con un tappeto rosso, ma ci sono delle regole da seguire». Un modus vivendi che unisce responsabilità e voglia di non rimanere indifferenti.
Se non si è disposti a lasciare qualcosa al territorio non si è la tipologia di persona che ci interessa avere tra di noi
Dipingere una traiettoria
«Non vogliamo fare niente di diverso da quello che si fa in altri posti nel mondo», precisa. «Se non si è disposti a lasciare qualcosa al territorio non si è la tipologia di persona che ci interessa avere tra di noi. Noi vogliamo dei rapporti normali, che diventino più profondi grazie allo scambio: io ti do una cosa, tu me ne dai un’altra e così ci conosciamo». Le proprietà del luogo e le sue potenzialità vengono così protette, oltre che messe in mostra per renderne chiaro il valore anche a chi inizialmente può non crederci. «Oggi si parla di surf economics [economia del surf, ndr]. Per i comuni mortali le onde di Capo Mannu non spostano nulla, ma per un surfista sono una gran cosa».
«Ipotizziamo che una casa di fronte al mare a Capo Mannu valga 300.000 euro a prezzo di mercato. Ecco, per un surfista vale doppio, perché è davanti a quell’onda. Ci sono casi come quello della Costa Rica, del Messico o del Nicaragua che lo testimoniano. Motivo per cui diciamo ai nostri ragazzi che hanno una gran risorsa a casa loro, che vivono in un posto fighissimo e che si può dare valore alle nostre risorse. Anche perché in tanti non hanno capito che il surf è in realtà un’attività invernale. La nostra poi è un’isola che ha potenzialità per tutte le attività. Oggi stanno prendendo piede tutte le attività con la vela, dal kite al windsurf. Ma non dimentichiamo che vicino abbiamo pure uno dei migliori circuiti di motocross a Riola Sardo».
La chiave di tutto però resta la voglia di prendere l’increspatura, di dipingere le proprie traiettorie. Nel rispetto anche del tempo necessario per imparare a farlo. Come dimostra una scuola che negli anni si è irrobustita nelle competenze senza staccare le radici dai propri valori. «Quando abbiamo iniziato siamo rimasti per quasi dieci anni l’unica scuola aperta in Italia», racconta ancora. «Nel tempo ci siamo evoluti, abbiamo dato vita a un approccio che è diventato quasi accademico grazie all’esperienza che abbiamo acquisito. Oggi ci sono più di 400 scuole in Italia di surf, ma noi resistiamo e lavoriamo tanto con il passaparola, perché abbiamo costruito la forza negli anni».

«Le persone – prosegue sempre Ingletto – arrivano da noi e ci dicono “mi hanno detto che tu mi puoi insegnare” e allora li capisco che vogliono fare lo step in più. Fino a quel momento noi diciamo sempre che se si vuole surfare per divertirsi, uno o due giorni, si può comunque fare. Ma il surf non è solo questo. Al surf bisogna dedicarsi. Devi arrivare a prendere le onde, altrimenti saranno sempre loro a travolgerti». L’evoluzione è stata anche frutto di quella che per Ingletto è un’esperienza che ha arricchito il suo bagaglio di uomo, oltre che da atleta: quella di maestro di adaptive surf, il surf per persone con disabilità.
«La prima volta che ho interagito con una persona cieca da insegnante, mi sono chiesto subito: “Adesso come faccio?”. Ci ho sbattuto la testa per tanto tempo, tanto che quel ragazzo è diventato poi uno dei miei più cari amici: lui mi ha insegnato ad aprire il mio mondo. Un tempo insegnavo che il surf fosse paddling, stand up e timing, ovvero remata, salita e tempismo, per capire quando andare in piedi sulla tavola. Oggi però dico questo, provando a ragionare come un artista più che un surfista: se ho imparato a prendere l’onda con i miei amici tetraplegici da sdraiati, allora il surf non è salire in piedi».
«Il surf è semplicemente prendere l’onda, perché l’espressione artistica del surf sta nel poterlo fare come vuoi tu», conclude Vincenzo. «È così che nasce il divertimento e di conseguenza la passione. Ma soprattutto anche la voglia di prepararsi all’incontro con l’onda, che va percepita, sentita. È un concetto che vale per tutti, nessuno escluso».
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