Rapporto Neve Diversa di Legambiente: il turismo invernale è anti-ecologico e anti-economico
Dall’insostenibilità dell’innevamento artificiale agli ingenti fondi stanziati per sostenere un settore agonizzante, il rapporto Neve Diversa pubblicato da Legambiente evidenzia tutte le criticità del turismo invernale in Italia.

L’ultimo rapporto redatto dalla campagna nazionale di Legambiente Neve Diversa ci racconta di uno scenario sempre più drammatico nel mondo dello sci da discesa, ma nonostante tutto la giostra di un turismo che rischia il collasso sembra non volersi fermare. Gli impianti dismessi in quota sono oltre 260 e moltissimi di quelli ancora in funzione vengono tenuti in vita con l’innevamento artificiale che nulla ha di sostenibile dal punto di vista ambientale.
Neve Diversa 2025
Il rapporto ci trasmette un dato molto significativo: le strutture non più funzionanti sono raddoppiate dal 2020, quando ne erano state censite 132. Se pensiamo che la maggior parte di quelle dismesse si trova al nord – Piemonte, Lombardia e Veneto – o in Abruzzo, sarebbe facile comprendere che pensare di andare a costruire nuovi impianti addirittura in Appennino, a basse latitudini e a quote modeste, è pura follia.
Se in Alto Adige e in Valle d’Aosta ci sono meno stazioni dismesse, sempre dal rapporto si evince però che queste regioni detengono il record assoluto di superficie coperta da innevamento artificiale, con tutto quello che ne consegue in termini energetici e di spreco delle risorse idriche sempre più scarse. Insomma, cambiare rotta sarebbe una scelta di seria e razionale pianificazione alla luce di cambiamenti climatici innegabili e invece si continuano a sperperare risorse pubbliche togliendole alla promozione di una fruizione della montagna a bassissimo impatto.
Vanda Bonardo, storica figura di Legambiente e responsabile nazionale Alpi per la stessa associazione, nella breve dichiarazione che segue prova a tracciare un percorso di transizione da un modello di fruizione al capolinea e la diffusione del “turismo dolce”: “Il 2024 è stato l’anno più caldo mai registrato e gennaio 2025 ha segnato un nuovo record come il mese più caldo di sempre. Bisogna ripensare il turismo invernale in una chiave più sostenibile e al tempo stesso avviare percorsi di governance tra le istituzioni, le comunità locali e le realtà territoriali replicando le buone pratiche di turismo dolce”.

“Esperienze come quelle della Valle dei Cavalieri e della Val Maira – prosegue Bonardo –, insieme agli esempi virtuosi che citiamo nel report rappresentano un punto a cui guardare. Da qui bisogna partire se si vuole davvero voltare pagina nella consapevolezza che la crisi climatica sta ridisegnando il nostro rapporto con la montagna. Un approccio che trova riscontro anche nel progetto BeyondSnow, uno dei primi progetti europei, guidato da EURAC Restarci, che supporta le stazioni sciistiche di mezza quota nella transizione verso modelli più sostenibili, con la partecipazione attiva di Legambiente”.
Purtroppo gli esempi virtuosi segnalati da Vanda Bonardo sembrano non interessare a troppe istituzioni locali e regionali. Se pensiamo ad alcune stazioni sciistiche dell’Appennino – dove nonostante la neve sia ormai ridotta al lumicino si investono comunque milioni di euro per costruire nuovi impianti di risalita –, ci si chiede se si è spinti da malafede, ignoranza sui cambiamenti climatici in atto o, peggio ancora, siamo davanti a una micidiale commistione di tutte e due le ipotesi.
È (anche) un problema di quota
Dal Corno alle Scale, passando per il Monte Acuto, i Sibillini, il Terminillo e i Monti Gemelli – solo per fare qualche esempio – siamo davanti a una serie di progetti di implementazione degli impianti esistenti che non tiene assolutamente conto dei dati oggettivi contenuti nel rapporto Neve Diversa. Mentre in Austria da qualche anno si smantellano gli impianti sotto i 1800 metri di quota, in Italia si rilancia ad altitudini più basse con inverni sempre più corti e meno nevosi.
È da sciocchi illudersi che una soluzione al problema possa arrivare da veloci nevi primaverili come sta accadendo in questo inizio aprile un po’ pazzerello. Lo sanno anche i sassi che l’innevamento naturale duraturo è ormai una chimera e quello artificiale, quando le basse temperature lo permettono, è insostenibile dal punto di vista ambientale, energetico ed economico.

Per giustificare gli ingenti investimenti pubblici – nessun privato infatti investirebbe un euro in questo settore – si prospettano da una parte l’utilizzo estivo degli impianti e dall’altra la possibilità di facilitare la salita in montagna delle persone con disabilità. Una narrazione, quest’ultima, molto strumentale rispedita al mittente dalle associazioni che si occupano i disabilità – vedasi ad esempio il caso del Corno alle Scale – perché l’accessibilità universale la si deve assicurare in primis in tutte le strutture ricettive e negli spazi pubblici in genere, non nel trasporto in vetta.
L’irrazionalità quindi non è nelle battaglie dei comitati locali che in varie zone delle Alpi e dell’Appennino si oppongono ai nuovi impianti di risalita proponendo un altro modo di fruire della montagna, ma sta tutta dentro un modello di sviluppo da cui bisognerebbe uscire quanto prima. Più si ritarda nella consapevolezza di accompagnare una transizione necessaria più drammatiche saranno le conseguenze della crisi economica e soprattutto occupazionale.
Quali sono le alternative?
Invece, come denuncia il rapporto Neve Diversa, sul sito del Ministero del Turismo si può leggere che “dall’inizio del governo Meloni sono stati pubblicati avvisi riguardanti l’assegnazione e l’erogazione di contributi pari a ben 430 milioni di euro, destinati a compensare le perdite subite dai comprensori sciistici. Inoltre, fino al 2028, il Ministero continuerà a finanziare a fondo perduto le imprese che gestiscono impianti di risalita a fune”.
Mentre in Austria da qualche anno si smantellano gli impianti sotto i 1800 metri di quota, in Italia si rilancia ad altitudini più basse
Insomma, finanziamenti pubblici per nuovi inutili impianti o implementazione dell’innevamento artificiale, più altre ingenti somme per coprire le perdite sempre più corpose di denaro: non ci siamo proprio. Con i 430 milioni di euro previsti dal Ministero del Turismo si potrebbero sostenere progetti diffusi di turismo dolce legati all’attività escursionistica invernale – ciaspole, sci da fondo – ma soprattutto per destagionalizzare la presenza in montagna incentivando anche il turismo locale e puntando anche sui viaggi di formazione nelle scuole.
Di alternative a basso costo e ad alto rendimento se ne possono attivare molte anche in collaborazione con l’associazionismo ambientale ed escursionistico, facendo crescere anche il settore delle guide escursionistiche professionali. Per ultimo va ricordato che le politiche sulla montagna non possono e non devono puntare solo sul segmento turistico, ma su questo ci torneremo continuando ad illustrare le politiche virtuose diffuse nei territori.
Informazioni chiave
Troppi impianti dismessi
Circa 260 impianti sono già stati dismessi e molti di quelli attivi funzionano solo grazie all’innevamento artificiale.
Finanziamenti “drogati”
Il Governo Meloni ha stanziato 430 milioni e per i prossimi tre anni sono previsti finanziamenti a fondo perduto per sostenere gli impianti, che sono in costante perdita.
C’è sempre meno neve
Il riscaldamento globale ha determinato una diminuzione dell’innevamento naturale a basse quote, ma nonostante questo ci sono molti progetti di nuovi impianti ad altitudini modeste.
Soluzioni alternative
Il turismo montano dovrebbe invece puntare su proposte diverse, come la destagionalizzazione, i viaggi scolastici e la promozione di attività sportivo-ricreative a basso impatto.
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