10 Aprile 2025 | Tempo lettura: 5 minuti
Ispirazioni / World in progress

Filippo Roma, la Iena che ha imparato a perdonare: “Solo così si ricuciono le ferite”

Il noto inviato della trasmissione televisiva di Italia 1 ha dato alle stampe il suo ultimo romanzo “Si ami chi può”, dedicato al valore prezioso della riconciliazione, il miglior antidoto alle rabbie e ai rancori di questi tempi.

Autore: Fabrizio Corgnati
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Il grande pubblico è abituato ad ammirarlo sugli schermi televisivi con indosso le inconfondibili giacca e cravatta scure da Iena. Ma Filippo Roma, negli anni più recenti, si è cimentato anche nei panni dello scrittore, dando alle stampe più di un romanzo: l’ultimo in ordine di tempo è uscito proprio nelle scorse settimane e si intitola Si ami chi può, edito da Curcio.

«È la storia dell’ultimo viaggio di un figlio con sua madre, destinata a morire di un male incurabile», la riassume lo stesso Filippo Roma. «Lei, spiando lui, ha scoperto un suo segreto che ha portato al raffreddamento dei loro rapporti; lui, all’inizio del viaggio, scoprirà a sua volta un segreto di lei che lo farà infuriare. Sarà solo il perdono reciproco che consentirà a ciascuno di sciogliere un nodo dell’esistenza dell’altro».

Questa non è una rubrica di critica letteraria. Se vi sto parlando di questo libro è soprattutto per l’argomento che tratta: il perdono, appunto. Un argomento tanto fondamentale e universale quanto troppo poco trattato. Pensate che una riflessione seria su questo tema è pressoché assente persino dalla psicologia classica: il suo padre fondatore Sigmund Freud, in tutte le sue opere, ha utilizzato questo termine appena cinque volte, peraltro in discorsi colloquiali e non scientifici.

Forse perché troppo a lungo si è creduto che questo concetto avesse a che fare solo con la religione, sbagliando. «Il perdono di cui parlo nel libro non è quello cristiano: è quello umano che nasce dall’empatia, dall’identificazione con l’altro, anche con i suoi errori. Tutti noi siamo un po’ buoni e un po’ cattivi, facciamo cose giuste ma anche sbagliate», chiarisce subito Filippo Roma all’inizio del nostro colloquio.

filippo roma
Filippo Roma

«Con le dovute differenze, siamo accomunati dalle stesse pulsioni, paure, aspirazioni, bisogni. Eppure tendiamo sempre a considerarci dalla parte del bene e a giudicare gli altri con il ditino alzato. Per questo motivo ognuno di noi ha costantemente il bisogno di essere perdonato e, direi, anche il dovere di perdonare. Succede a tutti di fare o di subire del male, ma dobbiamo tendere a ricucire le ferite attraverso il dialogo e la riconciliazione».

Iniziamo sgombrando il campo dagli equivoci: perdono non significa condono né amnistia, non significa grazia né assoluzione, non significa oblio né giustificazione, non significa porgere l’altra guancia a tutti i costi, in modo acritico. Piuttosto significa deporre il carico di rancori, risentimenti e odi che ci intossica. Ecco perché è un dono che fa bene prima di tutto a chi lo concede: «Perdonando ci rischiariamo, ci liberiamo dalla rabbia e dalla malmostosità, chiudiamo un capitolo, generiamo energia positiva. Certo, non è semplice né automatico: è sempre frutto di un percorso interiore di riflessione, di tormento e anche di autocritica».

Una persona disponibile a perdonare non cerca scorciatoie, ma ha il coraggio di imboccare una strada faticosa e in salita, necessariamente lunga e lenta, poiché quando è troppo frettolosa e impulsiva rischia di essere anche poco autentica. Eppure forse, secondo Filippo Roma, è proprio questa difficoltà nel concederlo e nell’ottenerlo a renderlo così prezioso.

Ognuno di noi ha costantemente il bisogno di essere perdonato e, direi, anche il dovere di perdonare

«Il perdono ha un grande valore. Anche a me è capitato più volte, in amicizia, di commettere errori di cui mi sono pentito e il perdono che ho ottenuto dagli amici che avevo ferito ha regalato al rapporto una crescita, lo ha portato a un livello più alto e più profondo. Ha tolto i veli delle menzogne, degli inganni e delle simulazioni e ci ha permesso di proseguire all’insegna della verità».

La nostra società odierna, manco a dirlo, è ben poco abituata al perdono: sui social network, nei mezzi d’informazione, nelle istituzioni non ha quasi diritto di cittadinanza il concetto che le persone che hanno commesso errori, anche gravi, meritino una seconda chance, perché possono cambiare e redimersi. E sotto questo aspetto anche il mondo dell’informazione, di cui Filippo Roma è un importante interprete, gioca spesso un ruolo controproducente.

«Trovo che negli ultimi decenni la società sia diventata molto più giudicante e bigotta, forse anche per sfogare le proprie frustrazioni e insoddisfazioni», osserva il conduttore televisivo. «Anche il giornalismo accompagna questo sentimento collettivo: spesso si vedono servizi dal sapore manicheo, che sembrano concepiti con l’unica intenzione di mettere al rogo un personaggio e soddisfare l’opinione pubblica. In parte lo facciamo anche noi de Le Iene, ma personalmente sto cercando di mettere in atto un meccanismo nuovo: raccontare la malefatta, ma cercare anche di capire le motivazioni di chi l’ha commessa, senza esprimere un giudizio definitivo sulla persona».

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Per non parlare dell’amministrazione della giustizia: guardando al modo in cui sono ridotte le carceri italiane, si ha l’impressione che la volontà di riabilitare i detenuti e reinserirli nella società rimanga solo una bella dichiarazione d’intenti, ma con effetti pratici quasi nulli. «Il tema interessa a pochi», conferma Filippo Roma. «L’uomo della strada non si interessa a come vive il carcerato, anzi, quasi quasi se ne compiace: ha rubato, ucciso, rapinato, quindi ben gli sta. Invece lo Stato non deve mettere in atto una vendetta, deve avere come principale obiettivo la rieducazione di chi ha sbagliato».

Insomma, il perdono è un territorio che oggi come oggi tendiamo tutti a frequentare sempre meno, eppure così fertile e rigoglioso che vale la pena di essere riscoperto e di ritrovare un posto nelle nostre mappe. Provando a modificare i nostri modi di pensare e di rapportarci con gli altri, a partire dalla vita di tutti i giorni: «Bisogna cominciare rimettendo in discussione se stessi», conclude Roma. «Anche quando abbiamo ragione o siamo noi ad avere subìto un torto, però non dobbiamo mai dimenticare l’autocritica. Questo è il modo che abbiamo per migliorare se stessi e dare il nostro contributo al miglioramento della società».