Sandro Cappai: tra palcoscenico e reel, il rapporto tra social media e stand-up comedy
L’equilibrio tra comicità dal vivo e contenuti digitali, il rischio di adattare la stand-up alle logiche della viralità e come i social influenzano la carriera. Ne parliamo con Sandro Cappai.

Abbiamo incontrato Sandro Cappai, cagliaritano, stand-up comedian amatissimo nella Penisola e autore comico. Classe 1993, in questo momento è in tour con il suo nuovo live show “C’è un po’ di tensione”, dove parla “di cose serie in modo futile e di cose futili in modo molto serio”. Nella terza puntata della rubrica in cui parliamo del rapporto tra i social e i diversi aspetti della vita offline, abbiamo discusso con Sandro Cappai di come i social abbiano influenzato la sua carriera, dell’equilibrio tra visibilità online e autenticità artistica e di come la stand-up comedy resti, prima di tutto, un’arte che vive sul palco.
Come vivi il rapporto tra essere un artista per scelta e vocazione e un creator per necessità? Poter essere definito il Sandro Cappai “creator” invece che “comico” ti dà fastidio?
Forse sì, sai? La mia comunicazione sui social è diretta a portare la gente a vedermi dal vivo, solo e soltanto quello; se metto uno, due tre reel e dopo averli visti una persona decide di venire a vedere un mio spettacolo, ho raggiunto il mio obiettivo. Anche le rare volte in cui ho prodotto dei contenuti specifici esclusivamente per i social l’obiettivo per me è sempre stato quello.
Te l’hanno chiesto però?
Sì, è capitato di essere contattato da agenzie di comunicazione e mi sono chiesto se mi andasse di farlo ma in verità non voglio e non so farlo, ci sono dei creator comici bravissimi ma io non sarei in grado. Ho proprio una vocazione diversa. Io riporto le cose che ho fatto dal vivo nei canali social e quindi mi definisco un comico che fa spettacoli dal vivo e li promuove sui social. La stand-up è una delle poche discipline artistiche che puoi fare solo con un pubblico davanti: se fai un monologo di stand-up mentre sei da solo a casa non è un monologo di stand-up, mentre se suoni una canzone a casa tua stai comunque suonando una canzone.

La stand-up comedy è passata dall’essere un genere di nicchia a una dimensione mainstream nel giro di pochissimo tempo. Da utente a me è sembrato che sia successo in larga parte grazie alla viralità via social. Questo ti ha influenzato nella scrittura?
Questa è una bella domanda e no, è proprio una regola che mi pongo quella di non scrivere mai pensando ai social e di non salire sul palco pensando “questa cosa la pubblico”. Con questo non voglio sminuire il lavoro che faccio successivamente in fase di selezione della serata in cui il pezzo che voglio pubblicare sui social è venuto meglio o nel momento del montaggio. Ci lavoro io personalmente perché montare video è come riscrivere la battuta, mi diverte.
Il fatto di riscrivere per i social la stessa battuta non le fa prendere un taglio diverso? Non diventa proprio un altro linguaggio comico?
Da molto prima dei social ho una struttura di monologo rapida di blocchi di massimo tre minuti e forse questo casualmente mi ha aiutato a portare sui social quello che faccio sul palco. Quando fai l’operazione di riscrittura ovviamente vuoi che un video vada bene ma non vuoi che le persone capiscano un messaggio che non è quello che intendi veicolare. E lo dico non solo da un punto di vista etico – anche se c’è questo aspetto – ma anche perché se il lavoro sui social si fa per crearsi un pubblico dal vivo, poi non vuoi che arrivi qualcuno che si aspetta completamente altro da quello che porto live.
Per me quindi ha senso lavorare per contenuti che funzionino ma prestando sempre molta attenzione a questi aspetti, anche se lo scrolling compulsivo non aiuta in tal senso e una parte del pubblico si aspetterà sempre quella battuta che ha fatto 2 milioni di visualizzazioni: è inevitabile.

La stand-up comedy è famosa per essere politicamente non corretta e ha i suoi standard, tra cui rientra lo scambio acceso tra il comico e il pubblico. Sui social vediamo tanti contenuti di questo tipo e la cosa decontestualizzata dal consenso tacito che c’è in un club o in un teatro a me spesso, da fruitrice, risulta inopportuna.
C’è un patto non scritto nel contesto live che rischia di perdersi sui social sicuramente, ed è il rischio del togliere le cose dal loro contesto; ma anche nel setting corretto a volte le cose non vanno necessariamente nella direzione giusta: in questo momento in Italia ci sono moltissimi comici e tantissimi open mic [spettacolo dal vivo, ndr] e quando c’è meno esperienza magari si pensa di poter interagire con il pubblico come fa Matt Rife e spesso il risultato non è lo stesso.
Sei attento a capire come cambiano i temi che girano di più sui social?
In questo periodo va molto lo scontro, il sangue. Succede che si crei una polemica nei commenti a un video e che l’algoritmo lo spinga moltissimo. Mi è capitato che andasse virale anche qualche video leggero nello stesso periodo quindi non è una verità assoluta. Diciamo che se c’è un pezzo che non faccio più dal vivo allora lo pubblico, ma cerco di impormi di non fare l’inverso.
Sento dei comici che dicono “faccio questo minuto sulla notizia X del giorno così poi mi faccio il reel”, a volte lo dicono persino sul palco – “con questa battuta ci facciamo il reel” – e io mi rendo conto che lo pensano davvero e questo è pericoloso perché bisogna farlo per il pubblico dal vivo, altrimenti diventa altro. Non voglio sembrare un purista, io ci lavoro tanto sui social e mi hanno aiutato moltissimo, però è importante capire quale sia il giusto compromesso per far coincidere tutte queste cose e a volte si sbaglia.
I social danno ai comici molta forza contrattuale e molta libertà
Sandro Cappai, in conclusione nella tua carriera c’è stata una progressione evidente, immagino dovuta in gran parte alla viralità su Instagram. Quali sono quindi gli aspetti positivi della tua esperienza online?
Ce ne sono tanti. Come prima cosa vorrei evidenziare che i social danno ai comici molta forza contrattuale e molta libertà perché se tu hai la gente che ti vuole venire a vedere, il produttore televisivo a cui magari non piaci ha meno potere. Io iniziavo a girare con il mio primo spettacolo e ancora non avevo un pubblico quando ho fatto i primi provini per Comedy Central e sono stato scartato ogni volta, quindi a un certo punto mi sono detto: “O mi organizzo un progetto da solo o non verrà nessuno a darmi spazio di sua spontanea volontà”.
Poi c’è stato il Covid, grande paradosso per i comici perché ci è stato impedito di fare serate, ma subito dopo abbiamo sperimentato un’attenzione enorme sulla stand up comedy, un’ondata di ritorno. Un’attenzione che non conoscevamo perché la gente magari aveva visto Luca Ravenna sui social e diceva: “Questa cosa la fanno anche qui, andiamo a vedere”. Alla fine del primo tour avevo deciso di registrare lo special, ma non avevo molto seguito e quindi ho iniziato prima a lavorare, a montare i video a mettere i sottotitoli in italiano, beccandomi anche delle prese in giro perché non lo faceva ancora praticamente nessuno.

Ho studiato la comunicazione di comici americani che mi piacevano ma che non erano ancora a uno status di super big, quelli che con le dovute proporzioni potevano essere nella mia situazione, e li ho emulati. Questo mi ha dato una crescita importante, ma il vero punto di svolta nella creazione di un pubblico reale l’ho visto dopo che ho messo lo spettacolo completo su Youtube.
Un reel che ti porta 2 milioni di visualizzazioni non ti darà lo stesso risultato in termini di pubblico dal vivo quanto 100.000 visualizzazioni di uno spettacolo completo, perché quando scrolli non leggi.
L’algoritmo magari ti ripropone i reel in continuazione perché ne hai guardato più di uno, però così si crea una base di pubblico fatta di persone che non ti conoscono, quelle che mi fermano e mi chiedono se sono “quel ragazzo sardo di Instagram”. Uno spettacolo intero chiede intenzionalità nell’essere guardato tutto. In ogni caso questa è stata la mia esperienza, ma probabilmente la situazione è già cambiata perché tantissimi comici hanno iniziato a metterli e quindi gli special su Youtube saranno i nuovi reel. Va bene, è nell’ordine delle cose.
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