28 Marzo 2025 | Tempo lettura: 7 minuti
Ispirazioni / Io faccio così

Dopo il crollo del Ponte Morandi e il lockdown ecco come il quartiere è rinato

Oltre il Ponte Morandi. A Genova l’associazione Firpo porta avanti il suo impegno per chi abita in quella parte di città da quel tragico momento, che ha scosso l’intera comunità.

Autore: Valentina D'Amora
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In breve

L’associazione Firpo e la rinascita di Sampierdarena

  • Dopo il crollo del Ponte Morandi alcune donne hanno fondato l’associazione Firpo
  • Coinvolgendo gli abitanti hanno iniziato a ricostruire il tessuto sociale del quartiere messo in crisi dal crollo e poi dal lockdown
  • Fra le attività proposte ci sono corsi gratuiti di pattinaggio per consentire a tutti i bambini e le bambine di praticare sport ed eventi per stimolare la socializzazione
  • Uno dei valori fondanti di Firpo è la multiculturalità ed è per questo che l’associazione supporta le famiglie straniere nella compilazione di documenti, come iscrizioni scolastiche e pratiche sanitarie.
  • Dopo qualche anno di attività per strade e piazze all’associazione è stata assegnata una sede, che è diventata un punto di riferimento per la comunità

A Sampierdarena c’è un gruppo di persone che amano questo quartiere e che vogliono costruire insieme un nuovo modo di viverlo nel quotidiano, condividendo idee e realizzando progetti di partecipazione. “Impariamo a pensare insieme” è il mantra dell’associazione solidale Firpo, nata nei giorni immediatamente successivi al crollo del ponte Morandi, in un momento di grande incertezza per tutta la comunità.

In questi anni i volontari hanno portato avanti innumerevoli iniziative che stanno rafforzando il senso di comunità e coinvolgendo persone di tutte le età, come il corso di pattinaggio solidale e gratuito per offrire a bambini e bambine la possibilità di scoprire questo sport che aiuta a sviluppare equilibrio e coordinazione.

Ho conosciuto Sara Bacigalupi, la presidente e insegnante di una scuola infanzia, che mi ha accompagnato nella nuova sede dell’associazione: entrando ho sentito subito una vibrante energia. Alle pareti le foto degli eventi passati raccontavano sorrisi, traguardi e momenti di condivisione, come frammenti di una storia costruita, passo dopo passo, nel tempo. Mentre Sara mi preparava un caffè, uno scaffale pieno di libri ha catturato la mia attenzione: sono gli albori quella che presto diventerà una biblioteca di quartiere.

Esplorando le stanze si percepisce che qui c’è spazio proprio per tutto, per la fantasia, per l’apprendimento e per il gioco. Ma anche per il semplice ritrovarsi. Ogni angolo mi parlava di comunità, di sogni e di impegno, che rendono quel luogo molto più di una semplice sede: una casa aperta a tutti.

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Una manifestazione per la pace dell’associazione Firpo

Sara, il vostro percorso come associazione Firpo è stato guidato sin dall’inizio dalla volontà di reagire e di ricostruire – non solo materialmente ma anche socialmente – il territorio dopo il crollo del Ponte Morandi. Raccontaci i vostri primi passi.

Volevamo reagire al dolore di quel momento e sentivamo che dovevamo fare la cosa più semplice: unirci e unire le persone, permettere che si incontrassero e si sostenessero umanamente scambiandosi uno sguardo, un abbraccio oppure donando qualcosa che aiutasse gli altri ad andare avanti. Noi come insegnanti, per esempio, decidemmo di raccogliere il materiale didattico per i bambini.

Da allora non abbiamo mai smesso di regalare alle bimbe e ai bimbi del quartiere le occasioni per onorare la bellezza della vita, imparando insieme a loro e alle loro famiglie a lottare per la vivibilità del luogo in cui abitiamo. Noi come persone comuni siamo i protagonisti, le vere risorse per ricostruire le nostre strade, i nostri ponti e soprattutto il nostro tessuto umano.

Pochi giorni dopo il crollo abbiamo chiesto di aprire la nostra scuola infanzia ed è stata un’esperienza illuminante: c’era chi portava il tè, le mamme arrivavano con la merenda, si stava insieme. Certo, c’era anche chi piangeva, tanti bambini non avevano più un giocattolo, ma in quei giorni ci siamo dette: “Guarda un po’ che cosa sono la scuola e il tessuto sociale che ci si cuce intorno, è davvero un luogo di tutti”.

Unire le persone fa stare bene tutti

Da lì abbiamo deciso di radicarci sul territorio in un modo innovativo, sganciandoci dall’istituzionalità della scuola. Subito abbiamo costituito un comitato, affinché fosse d’aiuto e di supporto alle persone, ma non dal punto di vista assistenziale, perché l’intento era che fosse anche e soprattutto di partecipazione. All’epoca non avevamo ancora una sede, lavoravamo per strada, nelle piazzette, ma abbiamo portato avanti moltissime iniziative. Poi improvvisamente è esploso il Covid e con il lockdown è emerso di nuovo il bisogno di una risposta emergenziale: durante i collegamenti online con i bambini io e altre colleghe ci siamo rese conto che tante famiglie non avevano nemmeno l’essenziale.

Le comunicazioni all’epoca avvenivano solo attraverso gli schermi: come ve ne siete accorte?

Il nostro gruppo è formato da insegnanti della primaria, del nido e della nostra scuola infanzia, da cui tutto è nato, ma anche genitori, nonni e nonne del quartiere. Alla semplice domanda “come state?” arrivavano i pianti. E poi bastava affacciarsi alla finestra: la fila davanti a Sant’Egidio e alla chiesa del Don Bosco per ritirare gli aiuti diventava ogni giorno sempre più lunga.

Abbiamo capito che c’erano problemi, tensioni, criticità. Le case spesso sono piccole e diverse famiglie hanno convissuto insieme 24 ore su 24, in tanti all’interno di spazi molto ristretti. Abbiamo cominciato a fare spese solidali grazie anche alla sensibilità di tutti i commercianti della zona, che hanno donato alimenti freschi, come frutta, verdura, carne e pesce – solitamente nei pacchi alimentari si trovano riso, pasta e alimenti in scatola – e abbiamo di nuovo chiesto l’autorizzazione per aprire la scuola. E l’abbiamo ottenuta.

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Il saggio di Natale dei corsi di pattinaggio solidale

A quel punto abbiamo iniziato a fare distribuzioni di pacchi alimentari nel cortile e quegli appuntamenti, nonostante tutto, sono stati momenti preziosi per rivedersi. Ho scattato bellissime di quel periodo. A Natale di quell’anno, quando poi i papà dei bambini pian piano hanno ricominciato a lavorare, le mamme hanno comprato i pandori per tutti. Ed è questa, secondo me, la forza che ci ha permesso di crescere: il nostro approccio non si basa sull’assistenzialismo, perché offrire assistenza passiva significa non coinvolgere realmente le persone.

E il territorio invece risponde molto bene ai vostri input.

Sì. Poi qui c’è una enorme ricchezza culturale, in questa parte di quartiere le etnie non si contano. Appena abbiamo intuito la potenza del lavoro interculturale che stavamo mettendo in piedi, abbiamo realizzato che non avere una sede iniziava a starci stretto: nel tempo si era costituito un gruppo umano molto attivo nella difesa del territorio, con tantissimi progetti da realizzare. Per partecipare ai bandi pubblici poi bisogna essere un’associazione, quindi ci siamo costituiti come organizzazione di volontariato. Oggi ci sostentiamo grazie all’autofinanziamento, quindi aperitivi, cene, eventi in piazza.

E come siete arrivate a questo spazio?

Cercavamo un luogo che fosse appartenente al quartiere per stoccare il materiale, ma anche per vederci, riunirci, progettare. Il Municipio ci ha proposto un fondo al piano di sotto di un asilo nido, accanto alle scuole Vespertine. Quando siamo entrati per la prima volta a vederlo, abbiamo detto no, non ce la sentiamo. Invece ci siamo riuscite: ci siamo rimboccate le maniche, lo abbiamo sistemato e adesso è la nostra sede. La giornata d’inaugurazione è stata bellissima, sul tavolo del buffet era presente un dolce di ogni etnia: è stato un importante momento di condivisione.

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Uno scatto del Pavanello Village, il campus estivo organizzato dall’associazione Firpo per chi ad agosto resta in città

Strada facendo siamo diventati anche un punto di supporto nella compilazione dei documenti, per le iscrizioni scolastiche e le pratiche sanitarie, che per chi non ha permesso di soggiorno sono molto complesse, soprattutto per le mamme di molti bambini che non sono alfabetizzate.

Si può dire che stiate migliorando la vivibilità di questo territorio: in questi anni avete fatto tanta strada e ne farete ancora molta.

Per me il merito è della rete, non di una singola realtà. La “goccina” che secondo me ha messo l’associazione Firpo è stata aver intuito che unire le persone fa stare bene tutti. E questo è importante: camminare insieme e riuscire ad avere tutti qualcosa in più vale tantissimo, è un insegnamento importante. D’altronde nessuno si salva da solo.

Crescere dei bambini, delle bambine, dei ragazzi, delle ragazze in “un’isola felice” – che sia un quartiere o una porzione di città – dove si realizza che se si sta insieme ce la si fa è qualcosa di molto più grande che pensare esclusivamente al lavoro e allo stipendio che si porta a casa a fine mese. Io credo che sia proprio una questione di sopravvivenza morale in questo mondo già tanto disgregato.