5 Marzo 2025 | Tempo lettura: 6 minuti
Ispirazioni / Meme!

Maldestro, il figlio del boss di Scampia che ci invita a pensare con la nostra testa

Un’infanzia vissuta all’ombra della camorra, la strada per il riscatto attraverso musica e teatro, una produzione artistica ricca di inviti al pensiero e all’azione. Abbiamo incontrato il giovane cantautore Maldestro.

Autore: Fulvio Mesolella
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Antonio Prestieri, in arte Maldestro, è un gigante di un metro e 91 con un carattere oggi forte e sicuro. Difficile immaginarlo come un ragazzino timido di periferia, bollato come tale dalla scuola, imbranato ma guardato con un po’ di distanza e timore dai suoi compagni per il cognome che porta, che lo collegava a un boss di Scampia, suo padre, della cui vita non sapeva niente. Lui così si racconta. In tutt’Italia è finalmente conosciuto come cantautore, classificatosi secondo a Sanremo nel 2017 – categoria Nuove proposte – con Canzone per Federica, raccogliendo in quell’occasione numerosi altri premi, tra cui quello della critica. 

Quando era ancora piccolo la madre scoprì la strada che stava prendendo il marito, che «lei credeva un onesto operaio e coraggiosamente, nonostante avesse perso la vista proprio in conseguenza del parto, si separò rimanendo da sola con me e mia sorella più piccola». Cosa spinse Maldestro verso la musica, la cultura, il teatro? «All’età di 9 anni mia madre mi regalò un vero pianoforte, che mi portò sulle note di Bach e Beethoven». Proprio lui, che aprendo la finestra sentiva che nel quartiere si ascoltavano solo neomelodici, che all’epoca odiava cordialmente.

«Poi venne la frequentazione di un piccolo gruppo teatrale e del comico Rosario Verde, che mi spinse ad ascoltare Giorgio Gaber, in particolare il lungo brano Io se fossi dio: così mi sentii conquistato dalla coscienza politica e dal pensiero critico». Antonio è molto orgoglioso di pensare con la propria testa, i suoi miti sono diventati poi Massimo Troisi e Gino Strada. Da qui è nato il mix musicale e filosofico che lui riempie di note, di parole, di azioni teatrali, negli ultimi anni anche di podcast di cui, insieme alla sua compagna, l’attrice Rosaria Vitolo, è diventato autore oltre che conduttore. 

Fu quel pianoforte – dice – “a portarmi oltre i confini culturali e fisici di Scampia”, il quartiere all’epoca più degradato di Napoli. Durante la nostra chiacchierata Maldestro sente di dover dire che «il mio cambiamento è continuo, è inevitabile, è nelle cose della vita, ma ciò che mi ha più cambiato, oltre il pianoforte, è stato il teatro, conosciuto nel percorso scolastico e unica vera fortuna di quegli anni, per lo più disastrosi e umilianti». Come si addice, sottolineo amaramente, a tantissimi veri talenti ed artisti, incompresi, emarginati e condannati dalla scuola…

«Spostarmi a vivere da Scampia al centro storico di Napoli è stato più che altro un cambiamento geografico, perché mi ha dato la possibilità di confrontare la periferia con il centro di Napoli e arrivare a sentire che la periferia è uno stato mentale, una condizione di ghetto che fa che le persone si sentano confinate esse stesse». E aggiunge che quelle periferie abbandonate sono preda dei clan perché, siccome lo Stato si allontana, i servizi di “prossimità”, di vicinanza alla gente sono offerti dai boss. 

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Maldestro (a destra) con il nostro Fulvio Mesolella

Antonio lamenta questa situazione che non gli piace e lo fa arrabbiare, facendo però una constatazione: «La camorra dà lavoro, offre assistenza e una sorta di giustizia locale, risolvendo piccoli conflitti, garantendo casa e sicurezza a chi appartiene ai clan. Ma Scampia è ben altro, è umanità vera, è famiglia e, perfino la musica dei neomelodici, dopo averla rifuggita per anni, è ora per me una forma di incontro».

Al mio disappunto di educatore, che mi preoccupo della caduta del gusto e dell’affermarsi di un genere che percepisco come lamentoso e triste, Antonio risponde che «è lo star system che non propone di meglio come cultura giovanile: ai ragazzi è questo che viene passato e in qualche modo quelle canzoni interpretano il loro disagio privo di parole, indefinibile, forse impronunciabile». La camorra in sostanza non gli sembra molto diversa dalle “politiche internazionali degli stati imperiali, diventati tutti canaglie”, come lui sottolinea nello spettacolo su Gino Strada, una persona «che faceva le cose in concreto e che raccoglieva le simpatie di tutti», sottolinea Maldestro. 

Il mio cambiamento è continuo, è inevitabile, è nelle cose della vita

E qui scivoliamo a chiacchierare di ego: «Ego che gestiscono le strade e le piazze di spaccio, ego che gestiscono gli stati e manovrano le persone», che manipolano i gusti di altri ego, mi sento di aggiungere, chiedendogli degli ego al centro anche di un suo album, Egosistema. E finiamo per ridere dei nostri ego a confronto sulle parole, di come nella sua attività di autore e d’intervistatore sui social network si diverta a prendere in giro tutti i commentatori che non conoscono i fatti di cui parlano, così le nostre chiacchiere diventano più leggere e, con Rosaria, la sua compagna, finiamo per prenderci tutti un po’ in giro, autoironicamente.

E al di là di questa inevitabile parte di ego, c’è un artista impegnato? «Si, impegnato a comunicare ciò che penso, la mia visione critica. Sento di propormi come tramite per offrire ad altri le chiavi interpretative che mi sono arrivate». Io direi che offre le occasioni che fortunosamente lo hanno aiutato a uscire allo scoperto e riconoscersi: oggi Antonio sente di fare questo «semplicemente raccontandomi, non pretendendo di convincere nessuno»», spiega Maldestro. C’è sincera umiltà nel suo proporre la propria storia “per aiutare gli altri a essere se stessi”, dando modo, a chi se la senta, di uscire finalmente anche un po’ dal proprio “egosistema”.

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Maldestro sta preparando ora un disco che raccoglie i suoni della casa della madre a Scampia, un modo per tornare a quelle armonie e quegli aromi in cui è cresciuto, sostenuto da Luca Nottola di Arealive, un caro amico sempre presente sia umanamente che economicamente, produttore anche di Enzo Gragnaniello, James Senese, Peppe Servillo, Raiz, la Nuova compagnia di canto popolare e altri artisti.

E la sua storia indubbiamente, con i suoi cambiamenti, lo presenta umano e al tempo stesso vicino a chi ama la buona musica: un giovane cantautore, un artista che ha ancora tantissimo da dire in diversi linguaggi a chiunque voglia riflettere con la propria testa e provare anche a cambiare sempre in meglio, come cerca di fare per se stesso, a suo dire sempre in un modo un po’ maldestro…