Boschi vetusti: l’Italia è il primo paese in Europa ad avere una rete che li tutela
Da pochi giorni è diventata operativa la Rete dei Boschi Vetusti, ovvero quelli che da oltre sessant’anni non sono soggetti all’azione umana. Cosa comporta questa novità e come si inserisce nel dibattito sulla gestione e tutela del patrimonio forestale?

Il Testo Unico su Foreste e Filiere forestali nel 2018 stabiliva la tutela dei Boschi Vetusti e la creazione della Rete Nazionale degli stessi. Ci sono voluti un po’ di anni ma finalmente lo scorso 21 marzo, in occasione della Giornata Internazionale delle Foreste, quell’idea si è trasformata in realtà. Il Masaf , Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, ha dato infatti avvio alla Rete Nazionale dei Boschi Vetusti.
La rete è stata istituita con decreto Masaf del 5 aprile 2023 per tutelare gli scrigni più belli e più preziosi del patrimonio forestale italiano e per la loro conservazione. Il passo successivo è stato compiuto nel 2021, con l’approvazione del decreto 18 approvato dall’allora ministero delle Politiche agricole a braccetto con il ministero della Transizione ecologica. Il testo conteneva le linee guida utili a definire la aree identificabili come “boschi vetusti”. Il testo incarica ciascuna Regione e Provincia autonoma di stilare la propria lista, dunque la completezza di questa “mappatura” dipenderà dal lavoro delle singole amministrazioni.
Entrando nel merito, sono ricomprese nella definizione di boschi vetusti le aree forestali di almeno 10 ettari dove, a seguito della mancanza dell’azione antropica da oltre 60 anni, è possibile individuare tutti gli stadi evolutivi del bosco, dalla fase di rinnovazione con gli alberi più giovani alla fase della senescenza – ovvero alberi maturi, morti in piedi o caduti – e alberi di importanti dimensioni ed età, appartenenti a più specie arboree e arbustive autoctone e con un suolo ricco di sostanze organiche.

L’Italia vantava già la presenza di 13 faggete vetuste riconosciute dall’UNESCO come patrimonio mondiale dell’umanità che adesso, all’interno della Rete, faranno parte di una sezione speciale. Il nostro è anche il primo paese in Europa ad aver creato una Rete Nazionale dei Boschi Vetusti con circa 60 boschi pronti per essere inseriti e un potenziale di oltre 100 boschi vetusti da aggiungere entro un anno. Anche dal punto di vista climatico quella della messa a terra della rete è un’ottima notizia, poiché i boschi vetusti – come ha rilevato uno studio condotto in Italia – resistono molto bene ai cambiamenti climatici.
Perché è così importante individuare e salvaguardare i boschi vetusti? «I boschi vetusti sono delle riserve importantissime di carbonio e di biodiversità. Sono ecosistemi che riescono ad accumulare quantità di carbonio molto elevate e che continuano ad assorbirne dall’atmosfera, sia grazie al bilancio positivo degli alberi di maggiori dimensioni che della presenza al loro interno di porzioni di bosco in stadi successionali precoci, per non parlare dell’accumulo di carbonio nel suolo», spiega Sabina Burrascano, docente di Conservazione delle Risorse Forestali all’Università La Sapienza di Roma.

Ma c’è di più. Il mantenimento di una quantità importante di boschi vetusti permette di comprendere meglio come funzionano gli ecosistemi forestali, non disturbati dall’azione antropica, e migliorare le conoscenze utili alla selvicoltura e alla gestione forestale attiva. «La parola d’ordine deve essere equilibrio. I conflitti? Si risolvono con la pianificazione forestale», ci aveva detto il dottore forestale e giornalista Luigi Torreggiani durante una puntata del podcast A tu per tu dedicata alla gestione forestale.
Quello dell’istituzione della rete dei boschi vetusti è un importante tassello che va ad arricchire un quadro abbastanza complesso in materia di gestione e tutela delle risorse forestali. Il dibattito infatti è aperto anche in seno alle realtà che si battono per proteggere boschi e foreste ed è ben sintetizzato in questo articolo curato da Paolo Piacentini, presidente onorario di FederTrek, secondo cui “le posizioni si sono incancrenite e si è chiuso qualsiasi spazio di confronto per arrivare a una sintesi in cui la centralità di una nuova gestione dovrebbe essere il valore ecologico del bosco nel suo complesso”.
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