Viaggio sentimentale ad Alghero: perla nel Mediterraneo, sarda e catalana insieme
Alghero, la sua storia, la sua cultura e le bellezze naturali attraverso le parole di due scrittori: Enrico Costa e Gaston Vuillier.

In questo articolo vi proponiamo un viaggio nella Alghero di ieri, attraverso le parole di due viaggiatori ottocenteschi: lo scrittore sardo Enrico Costa e il paesaggista francese Gaston Vuillier. Un collage di impressioni, racconti e descrizioni tratte dalle loro opere, che restituisce uno sguardo d’altri tempi su una città unica, sospesa tra Sardegna e Catalogna. L’obiettivo è quello di riscoprire – attraverso le fonti storiche – lo spirito, le bellezze e le contraddizioni di Alghero, città dalla forte identità linguistica e culturale, amata dai sovrani spagnoli e oggi meta turistica tra le più affascinanti dell’isola.
«Fondata, secondo il Fara, dai Doria nel XII secolo, la città di Alghero passò agli Aragonesi nel 1353, dopo una battaglia navale impegnata coi Genovesi. L’anno seguente venne assediata per terra e per mare dal re Don Pedro il Cerimonioso, e fu convenuto di mandar via tutti gli antichi abitanti (troppo partigiani dei Genovesi) per surrogarli con una colonia di catalani; i quali vi ebbero lunga stanza lasciandovi una certa gonfiezza cavalleresca che andò man mano scemando, e la lingua, che, sebbene corrotta, vi si parlò sempre e vi si parla tuttora. […] Alghero è dunque un’antica colonia spagnuola […], la prediletta dei sovrani di Spagna, dai quali ebbe il battesimo di fedelissima; più d’uno di essi vi sbarcò, prodigandole onorificenze, franchigie e privilegi d’ogni sorta».
In queste righe che lo scrittore e giornalista Enrico Costa, nato a Sassari nel 1841, riporta nel libro Alla grotta di Alghero. Appunti e spigolature troviamo alcune curiosità sulla città, oggi famosa e apprezzata meta turistica. Al di là degli eventi storici, l’interesse per questo luogo incantevole si perde nel tempo per la felice posizione sul mare e per la sua bellezza, che rendono la città, oggi come allora, un unicum. Costa ne esalta proprio questo aspetto, facendo presente ai suoi lettori che «tanto per frutti di mare, quanto per frutti di terra, Alghero non può temere la concorrenza di alcun paese sardo».

Barceloneta nelle parole di Gaston Vuillier
Nel XIV secolo, più volte la Corona d’Aragona cercò di conquistare la città della Nurra, ma la strenua resistenza degli Algheresi rese ardua l’impresa. Nel 1354, tuttavia, i primi ebbero la meglio e bandirono dalla città tutti i Sardi. Alghero venne quindi popolata esclusivamente da Catalani e la situazione rimase tale fino alla fine del Quattrocento, quando il re Ferdinando il Cattolico permise l’attribuzione della cittadinanza anche a chi catalano non era, compresi i Sardi. Quel secolo e mezzo di cultura catalana ha però lasciato un segno indelebile nella città, che perdura ancora oggi.
«Ho attraversato Alghero, ho visto il suo piccolo porto, la cattedrale edificata dai Doria, il teatro costruito con il denaro dei canonici, di cui la città brulica. […] Non sono più in Sardegna, ho l’illusione di essere in Catalogna; tutto contribuisce a rendere vera questa sensazione: i visi, le case, il suono delle voci, la stessa lingua. […] Mi rivolgo a questa gente nella loro stessa lingua, il catalano; ed essi sono contenti di conversare con uno straniero che suppongono sia della loro stessa razza».
Queste parole di Gaston Vuillier, paesaggista e scrittore francese dell’Ottocento, scritte nel libro Le isole dimenticate dopo il suo viaggio in Sardegna compiuto nel 1890, ci ricordano per l’appunto una delle peculiarità da cui non si può prescindere se si parla di Alghero: la sua lingua. Usato sempre meno, il catalano è oggi oggetto di tutela da parte della Regione Sardegna al pari del sardo e delle varietà alloglotte – gallurese, sassarese, tabarchino –, tutela che si esplica anche nella possibilità di ottenere le relative certificazioni linguistiche. Per una vera conservazione della lingua, però, è necessario che la si continui a parlare e a usare nella quotidianità, proprio come accadeva in quel passato di cui Vuillier è stato testimone.
Il saccheggio di stalattiti e stalagmiti
Capo Caccia e l’Antro di Nettuno tra bellezza e depredamenti
«Era qualche cosa di grandioso, d’imponente, d’indescrivibile. Quell’immenso scoglio, tagliato a picco sul mare, quasi tutto d’un pezzo, incute terrore, ed allo stesso tempo trasporta all’ammirazione»: nel libro Alla grotta di Alghero. Appunti e spigolature, Enrico Costa racconta appunto una gita in quella che è conosciuta come Antro o Grotta di Nettuno, e con queste parole ci descrive la maestosità di Capo Caccia, il promontorio calcareo che custodisce questa e altre cavità. Oltre alle lodi quasi poetiche che l’autore tesse del luogo, non mancano numerosi e interessanti riferimenti storici, riflessioni su chi per primo abbia scoperto questa perla e persino il racconto di una piaga senza soluzione di continuità: il saccheggio di stalattiti e stalagmiti.
Anche Gaston Vuillier, ne Le isole dimenticate, riporta al riguardo una notizia spiacevole: pare che il comandante di una fregata sarda avesse introdotto un cannone nella grotta e avesse sparato al suo interno per abbattere le colonne naturali e portarle via per decorare la sua casa. E per giunta, riferisce Vuillier, non fu l’unico a compiere tale atto.

Tesori da preservare e contemplare
Comportamenti deprecabili che, seppure con metodi diversi e solo apparentemente meno dannosi, proseguono ancora oggi. Da emulare sarebbe invece la sensibilità di Enrico Costa, che si lasciò rapire dalla bellezza di questo tesoro naturale semplicemente contemplandolo.
«Vedevo la piccolezza umana fra i crepacci del regno minerale. Abbracciai con uno sguardo quella specie di vestibolo: era severo, imponente. Una volta spaziosa, ma irregolare, che sfumava nell’ombra; qua e là sulle pareti dei crepacci, degli incavi in cui brillava un lumicino, come faci all’ingresso di un sepolcro scavato nel sasso; in mezzo una colonna tronca, conica, che si disegnava in oscuro; sul capo, qua e là, delle sporgenze capricciose, qualche lembo piovente, qualche rara frangia isolata; lo scoglio che faceva argine al lago, levigato, marmoreo, madido di sudore, le pareti di un color fosco, di un grigio verdone…»
Lo stupore di Costa nel vedere tale meraviglia naturale e le parole usate per esprimerlo trasportano il lettore non solo nel luogo descritto, ma anche nella ricchezza stilistica – oggi considerata stucchevole dai più, ma sempre affascinante – di una lingua d’altri tempi. Nel tempo dell’eloquio scarno, è di conforto leggere di luoghi straordinari con parole che restituiscono nel significato e anche nel suono e nella forma tale grandezza.

Alghero, una città da scoprire
Raccontare tutte le bellezze di questo lembo di terra e mare sarebbe impossibile. Non resta che visitare la città e provare a scoprirle. Noi concludiamo questo breve – e senza dubbio incompleto – viaggio sentimentale con le parole di Gaston Vuillier, che facciamo nostre per riassumere, almeno in parte, la magia di Alghero che speriamo possa conquistare anche i nostri lettori.
«Là, seduto sulla riva, ho davanti agli occhi questa antica città racchiusa da bastioni, da cui emergono campanili gotici, cupole, i baluardi d’una roccaforte, le case bianche. Il tramonto colora vagamente il cielo, l’aria è calma, la terra sembra assopita; solo le onde, a intervalli regolari, si precipitano mugghiando attraverso gli scogli che spruzzano di schiuma. Il profilo di questa città spagnola alla pallida luce del tramonto, il volo lento di qualche uccello marino, la poesia dell’ora indefinita, il dondolio delle onde, tutto favorisce i capricci dei miei pensieri erranti. E dolcemente il mio spirito se ne va verso Barcellona, verso le incantevoli Baleari, dove i sorrisi di vecchi amici, sorpresi e sbalorditi nel rivedermi, si schiudono sulle rive, come i riflessi di un dolce sole».
Testi da cui sono stati estrapolati i brani:
Enrico Costa, Alla Grotta di Alghero. Appunti e spigolature, a cura di Daniela Lilliu, Cristina Murranca e Giorgia Porcu, Cuec, 2012
Gastone Vuillier, Le isole dimenticate. La Sardegna, Zonza Editori, 2008
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