Carnevale, maschere e memoria: il battito antico di Tertenia contro l’oblio
Michele Petza dell’associazione Su Maimoni e Is Ingestusu racconta il lavoro di ricerca che ha riportato alla luce il Carnevale di Tertenia, un rito antico tra memoria, identità e resistenza culturale.

C’è un luogo di Ogliastra dove la comunità vuole custodire le sue radici più antiche. Siamo a Tertenia, paese di tradizione agropastorale dove un gruppo di appassionati ha intrapreso un viaggio nella memoria, alla ricerca delle tracce un tempo dimenticate di un Carnevale che affonda le sue origini in quotidianità lontane, ma sempre vive. Riuniti nell’associazione Su Maiomoni e Is Ingestusu, portano avanti da anni un meticoloso lavoro di ricostruzione, riscoprendo le maschere e i riti che un tempo animavano questa terra.
Il percorso di studio prende ufficialmente il via nel 2017, ma inizia già nel 2015, quando le prime ricerche iniziano a delineare un passato che rischiava di svanire nell’oblio. Rievocare queste tradizioni non è però solo un esercizio di memoria storica: è un atto di resistenza culturale. In un mondo sempre più globalizzato, dove le differenze tendono ad appiattirsi e le identità locali rischiano di essere sommerse da un’omologazione imperante, riscoprire il proprio passato diventa una forma di consapevolezza e appartenenza.

Il territorio, con le sue unicità, non è quindi solo uno spazio geografico, ma un intreccio di storie, simboli e gesti che parlano di chi siamo stati e di chi vogliamo continuare a essere. A guidare questa riscoperta, oltre alla passione dei membri dell’associazione, c’è anche la collaborazione con l’antropologa Claudia Zedda. Le sue ricerche hanno portato alla luce il legame profondo tra le maschere del Carnevale terteniese e i culti primordiali dell’acqua, elemento vitale per l’isola, ma anche i riti propiziatori legati all’agricoltura e alla pastorizia, attività cardine della cultura locale.
Ma non si tratta solo di storia o folklore. Il coinvolgimento della comunità, ieri come oggi, dimostra quanto il bisogno di appartenenza sia radicato nell’essere umano. Al di là delle trasformazioni sociali e delle influenze esterne, il Carnevale di Tertenia continua a essere un momento di aggregazione, un ponte tra passato e presente, tra l’individuo e la collettività. Un rito che racconta con le sue maschere e i suoi gesti un’identità che resiste, vive e si rinnova.
IL CARNEVALE TERTENIESE
La cerimonia del Carnevale terteniese si apriva con l’arrivo de Is Ingestusu, figure vestite di pelli animali, con il volto irriconoscibile e corna sulla testa. Il loro cammino era accompagnato dal suono dei campanacci e segnava con fragore l’inizio della sfilata, avvisando così la comunità che la festa stava per avere inizio. Dopo seguivano nel corteo gli infoddinausu, uomini travestiti da pastori, accompagnati da altri personaggi mascherati da animali antropomorfi; nell’insieme si andavano così a ricreare delle atmosfere pastorali.
Il Carnevale terteniese è il riflesso di una cultura antica, profondamente radicata nel territorio e nei suoi cicli naturali
Il rituale poteva ora entrare nel vivo: tra questi si faceva largo s’urzu, il cinghiale, simbolo di pericolo per il bestiame. Il pastore allora doveva ucciderlo, in una lotta quasi ancestrale per difendere il suo gregge. Il corteo era poi caratterizzato dal passaggio di due carri. Entrambi accomunati dalla presenza dell’otre di vitello, che veniva riempito di vino, e talvolta frittelle. Il primo carro prende il nome s’urdi, e veniva accompagnato da donne in lutto che intonavano canti funebri. Il secondo carro ospitava invece Carnevali o Maimoni, un fantoccio con sembianze di gatto, il quale veniva poi impiccato per rappresentare simbolicamente la fine dell’inverno e l’arrivo della primavera.
Il rito culminava nel banchetto collettivo, dove venivano consumate le prelibatezze dei carri. Le famiglie più abbienti in tale circostanza si adoperavano per realizzare le fave con il lardo per la comunità, un’iniziativa che in qualche modo rimanda ulteriormente all’importanza della condivisione. Michele Petza, tra i membri dell’associazione, a proposito del personaggio presente nel secondo carro chiarisce: «Su Maimone, l’uomo gatto, è caratterizzato da una maschera di legno di cui abbiamo anche un esemplare antico. È una personificazione del carnevale e secondo alcuni studi le sue radici affondano nell’antico Egitto, legato sempre al culto dell’acqua».
Quello che l’associazione è riuscita a dimostrare è come la gamma di personaggi del carnevale sardo fosse più ampia rispetto a quella tradizionale. Oltre agli Ingestusu, Is Infoddinausu, S’Urzu, ad animare ulteriormente la festa c’è s’Ingrastula, una donna vestita a lutto che portava con sé topi morti e cenere, lanciandoli tra la folla per generare scompiglio. Tutti elementi che rivelano quanto il Carnevale terteniese sia il riflesso di una cultura antica, profondamente radicata nel territorio e nei suoi cicli naturali; una tradizione che l’associazione si impegna a preservare e tramandare.

IL LAVORO DELL’ASSOCIAZIONE
Il progetto di recupero di una memoria comunitaria, nasce dalla curiosità verso la tradizione locale di Michele Petza. «L’associazione tramite testimonianze scritte, orali e grafiche è riuscita a ricostruire almeno in parte il Carnevale terteniese», racconta. Uno degli aspetti emersi da tali studi, è come l’Isola faccia i conti con la siccità da tempo immemore. Consapevoli dell’importanza vitale dell’acqua, ci si adoperava affinché tale risorsa fosse presente e sono anche i riti del carnevale a confermarlo. Ad esempio, secondo alcune fonti anche la tipica danza dei Mamuthones può essere interpretata come una sorta di danza della pioggia.
Michele Petza racconta con orgoglio come la comunità abbia accolto con entusiasmo l’iniziativa di riscoprire il Carnevale terteniese. Inizialmente, raccogliere informazioni dalla tradizione orale non è stato semplice: tra gli anziani vigeva una sorta di timidezza, quasi una reticenza nel parlare di usanze che parevano sbiadite dal tempo. Ma poi, una volta rotto il ghiaccio, i racconti fluivano senza sosta. «Avrebbero potuto parlare per ore», segno di quanto quelle memorie fossero ancora vive.
Tra le testimonianze raccolte ce n’è una particolarmente vivida, quella della zia di Michele, oggi novantaquattrenne, che riporta alla luce un episodio accaduto quando aveva appena quattro anni. Ancora ricorda lo scompiglio portato da Is Ingestusu, il suono cupo dei campanacci che rimbombava nelle strade. Spaventata, cercò riparo nella prima casa che trovò aperta, senza sapere che lì dentro si stava svolgendo una veglia funebre. Il sovrapporsi del sacro e del profano, della paura e della festa, della vita e della morte.

La comunità, anche nei momenti di lutto, non smetteva di riconoscere l’importanza del Carnevale. Non era solo un periodo di divertimento, ma anche un rito di passaggio: la fine dell’inverno e l’attesa della primavera, un momento di sospensione in cui l’ordine delle cose si capovolgeva, per poi ristabilirsi sotto una nuova luce. A rafforzare questa visione c’è un’antica leggenda popolare, tramandata di generazione in generazione: si racconta che, durante il Carnevale, un grosso felino si aggirasse silenzioso tra le case del paese.
Non era un predatore, ma un guardiano della festa, un’entità che vigilava affinché tutti partecipassero con il giusto spirito. Il suo compito era chiaro: assicurarsi che nessuno dimenticasse il valore di quei giorni, che tutti – senza eccezione – si lasciassero coinvolgere dal rituale collettivo. Il Carnevale infatti non era solo un momento di svago, ma segnava una transizione importante nella vita della popolazione. Rappresentava la fine dell’inverno e l’inizio della primavera, un passaggio che visto come essenziale per assicurarsi una stagione favorevole al raccolto.
LA RESTANZA
Ma cosa succede quando il frastuono della modernità, con la sua frenesia e logiche di mercato, soffoca le voci del passato? La globalizzazione e la società capitalistica, nell’ampliare il proprio spazio di mercato, hanno inevitabilmente sotterrato la dimensione locale. Tuttavia, nonostante queste tendenze, le culture sotterrate riemergono grazie al vento soffiato dai polmoni di chi resiste e una volta riemerse mostrano la loro capacità di parlare ancora all’animo umano.
Attraverso la consapevolezza della propria identità è possibile radicarsi al territorio e alla comunità, conoscendo e riconoscendo sé stessi. Le maschere di carnevale d Tertenia con il loro rituali legati all’acqua, rimandano a una riflessione verso un elemento vitale di cui anche la gente del XXI secolo non può fare a meno. Il felino che si assicura che tutti siano a fare festa ci dà il monito importante di fermarci, tutti quanti, in una visione democratica e partecipativa di ciò che effettivamente dovrebbe essere un momento di festa: condivisione e riflessione.
Per partecipare agli eventi dell’associazione consigliamo di seguire le pagine social Su Maiomoni e Is Ingestusu
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