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Da dove arriva l’acqua che sgorga dai nostri rubinetti? A quanti passaggi viene sottoposta prima di arrivare in casa nostra? Le risposte sono nel sistema idrico integrato, un modello organizzativo che comprende tutte le attività legate alla gestione dell’acqua, dalla captazione – ossia l’estrazione della risorsa in natura – sino alla depurazione per la restituzione all’ambiente. Ma quanto ne sappiamo davvero?
«Come cittadini siamo portati a vedere il servizio idrico come “l’acqua che arriva nelle nostre case”. Siamo molto meno consapevoli di cosa avviene prima e dopo», spiega Donato Berardi, responsabile degli studi su prezzi e tariffe idriche per REF Ricerche, di cui dirige anche il laboratorio sui servizi pubblici locali. Secondo lui è proprio nel prima e nel dopo il rubinetto di casa che la complessità cresce, divenendo un lavoro industriale. Vediamo più da vicino come funziona.
DALLA SORGENTE: L’ACQUA PRIMA DEL RUBINETTO
La captazione e l’adduzione sono le fasi in cui l’acqua grezza viene prelevata dalle sorgenti, per essere poi trasportata tramite acquedotti ai centri di trattamento e distribuzione. A questo punto avviene la potabilizzazione: l’acqua grezza viene trattata negli impianti di potabilizzazione per poter essere resa idonea al consumo umano. Con la filtrazione si rimuovono le impurità solide, la clorazione elimina i patogeni e infine i controlli chimici e microbiologici garantiscono il rispetto delle normative di qualità.
Ecco che inizia la distribuzione. Per immagazzinare e regolare il flusso vengono utilizzati grandi serbatoi e attraverso delle tubazioni, spesso molto complesse, con sensori per monitorare pressione e perdite, l’acqua potabile viene convogliata ad abitazioni, aziende e altre strutture.
L’ACQUA DOPO IL RUBINETTO
Cosa succede invece dopo i nostri innumerevoli usi? Le acque reflue, cioè non più idonee a un utilizzo diretto, vengono raccolte da una rete di fognature che le divide in acque nere, per acque domestiche sanitarie provenienti dagli scarichi dei WC o dalle cucine – se contaminata da residui alimentari significativi –, acque grigie provenienti da docce, lavandini, lavatrici e lavastoviglie e bianche per le acque meteoriche, ossia pioggia, neve sciolta e acque superficiali.
Gli impianti di depurazione rimuovono tutti gli inquinanti prima della re-immissione nell’ambiente attraverso tre fasi: quella primaria, in cui si rimuovono solidi e materiali grossolani; la secondaria, in cui vengono eliminate le sostanze organiche con trattamenti biologici; infine la terziaria, in cui si prevede un ultimo affinamento per garantire il rispetto degli standard ambientali. Dopo il trattamento, l’acqua depurata viene restituita all’ambiente, quindi a fiumi, mari e laghi.
IL SISTEMA IDRICO DIVENTA INTEGRATO: LA SVOLTA DELLA LEGGE GALLI
Storicamente il servizio idrico in Italia veniva gestito da una molteplicità di enti locali – Comuni, consorzi e aziende municipalizzate – con modalità spesso disomogenee e inefficienti; in più la carenza di risorse economiche impediva lo sviluppo e il mantenimento delle infrastrutture, senza contare che la qualità delle risorse idriche e delle acque reflue trattate risultava scarsa, con un impatto negativo sull’ambiente e sulla salute pubblica.
Per superare questa frammentazione gestionale, nel 1994 venne introdotta la legge Galli (L. 36/1994) che stabiliva che la gestione di tutto il ciclo idrico sarebbe dovuta diventare unica e integrata – dalla captazione, adduzione e distribuzione di acqua per usi civili fino alla depurazione delle acque reflue – e affidata a un solo soggetto in ogni Ambito Territoriale Ottimale, detto ATO. Una svolta storica per l’organizzazione moderna del servizio idrico in Italia.
Il gestore unico quindi ha il compito di garantire un servizio uniforme. A regolamentarlo il Decreto Legislativo 152/2006 – conosciuto anche come Testo Unico Ambientale – che ha riordinato le norme in materia idrica. L’intero sistema viene poi supervisionato dall’ARERA, l’Autorità di Regolazione per Energia, Reti e Ambiente, che definisce le regole e i criteri tariffari e vigila anche sulla qualità del servizio.
LE COMPLESSITÀ DEL SISTEMA IDRICO INTEGRATO
In Italia il sistema idrico integrato affronta oggi numerose complessità che derivano da questioni tecniche, gestionali, ambientali ed economiche. «Prelevare l’acqua dall’ambiente e trattarla per destinarla al consumo umano, quindi raccogliere quella sporca che esce dalle nostre città per riportarla nelle condizioni idonee per la reimmissione nell’ambiente, è un lavoro fatto di reti, impianti, reagenti, filtrazioni, energia, competenze tecniche e industriali, ossia la differenza che passa tra l’acquedotto ai tempi dell’antica Roma e un moderno impianto di depurazione in grado di restituire acqua riutilizzabile in agricoltura», ha sottolineato Berardi.
Non solo dispersioni e perdite quindi, ma anche controlli per garantire la sicurezza dell’acqua: sul tavolo ci sono gli impegni delle direttive europee per estendere le reti fognarie e la depurazione anche ai centri abitati minori, i trattamenti più avanzati necessari nei centri di maggiori dimensioni per rimuovere microplastiche, farmaci e altri inquinanti dagli scarichi e proteggere l’ambiente e ancora gli interventi necessari a evitare che le città si allaghino per l’aumentata intensità delle piogge, gli sforzi per ridurre le emissioni di anidride carbonica per i grandi consumi di energia necessari a potabilizzare, sollevare, depurare, sino alle nuove dighe e invasi per accumulare l’acqua nelle stagioni in cui è abbondante e conservarla per quando è scarsa.
«E poi c’è anche il grande tema del dissesto idrogeologico: basta vedere cosa è nuovamente accaduto nella nostra Romagna, colpita dalle alluvioni per la terza volta in un anno e mezzo. Tutto questo è il lavoro del gestore del servizio idrico nel XXI secolo», sottolinea Donato Berardi.
C’è poi un altro aspetto da analizzare parlando di acque reflue, cioè quello degli inquinanti: esse infatti ne contengono parecchi, alcuni dei quali particolarmente difficili da eliminare. Qualche esempio? I metalli pesanti come piombo, mercurio, cadmio, cromo e arsenico non essendo biodegradabili tendono ad accumularsi nell’ambiente e negli organismi viventi. Microplastiche derivanti dal lavaggio di capi realizzati in fibre sintetiche oppure frammenti di plastica contenuti in cosmetici come glitter, dentifrici con microgranuli e scrub esfolianti avendo dimensioni microscopiche, sfuggono ai sistemi di depurazione convenzionali come la filtrazione meccanica.
Ci sono poi i farmaci – per esempio antibiotici e ormoni – e alcuni prodotti per la cura personale – il triclosan contenuto nei prodotti per la cura per la parodontite ad esempio o i filtri UV – che richiedono tecniche avanzate di trattamento come l’osmosi inversa, l’ozonizzazione o la nanofiltrazione. Oli minerali, vegetali e grassi animali tendono a formare uno strato superficiale che impedisce l’ossigenazione e richiedono separatori specifici o processi di emulsionamento.
E ancora, sostanze come azoto – nitrati, ammoniaca – e fosforo – fosfati – provocano l’eutrofizzazione delle acque, ossia l’aumento di sostanze nutrienti che favorisce la crescita di alghe e di conseguenza la carenza di ossigeno che può portare stati di sofferenza negli organismi che vivono in stretta relazione con il sedimento e causare morie di pesci.
E qui si apre un nuovo scenario, quello del recupero dei fosfati dalle acque scure – le acque reflue contenenti materiali organici e feci –: pare infatti che questa sia una delle strategie più promettenti per far fronte alla scarsità di fosfati – una risorsa non rinnovabile – a cui stiamo andando incontro. Le riserve globali di fosfato minerale sono limitate e si prevede che nei prossimi decenni la domanda supererà l’offerta. Recuperare in modo sistematico queste sostanze quindi non solo riduce l’eutrofizzazione, ma diminuisce anche la dipendenza dalle riserve minerarie e valorizza un rifiuto potenzialmente inquinante, convertendolo in un una importante risorsa.
IL SISTEMA IDRICO INTEGRATO IN ITALIA: I CASI STUDIO
Grandi città come Roma e Torino hanno sistemi complessi che gestiscono milioni di metri cubi d’acqua al giorno. Roma, gestita da Acea, si avvale di acquedotti storici – Anio Novus, Acqua Marcia – combinati con tecnologie moderne. Fra storia, innovazione e sfide contemporanee, Roma rappresenta un esempio di come gestire un sistema idrico complesso in contesto urbano, soprattutto perché si tratta della città più grande d’Italia, il che richiede un sistema idrico capillare.
Quello attuale infatti sa integrare gli elementi storici, dimostrando come una città possa coniugare il patrimonio culturale con le esigenze di oggi. Alcuni degli antichi acquedotti romani sono ancora in uso e altri hanno influenzato le infrastrutture odierne: sifoni invertiti, archi e condotte in piombo hanno ispirato i sistemi idrici successivi. Come non citare i “nasoni” di Roma, le iconiche fontanelle della città la cui origine risale al 1874, quando il sindaco Luigi Pianciani decise di installarle per uso pubblico. Realizzate in ghisa, incentivano il consumo di acqua potabile, contribuendo a ridurre l’uso di bottiglie di plastica, e continuano a garantire a tutti il diritto di accesso all’acqua.
Torino invece è una città che parte avvantaggiata perché ha un’acqua di ottima qualità grazie alla vicinanza alle Alpi e alle risorse idriche. Promuove e incentiva l’utilizzo dell’acqua plastic free attraverso i numerosi punti acqua perfettamente inseriti nelle aree urbane. In tema di efficienza del sistema, SMAT investe in innovazione tecnologica anche per ottimizzare la sostenibilità dei processi. Un esempio è il telecontrollo in tempo reale della rete idrica per individuare e riparare in breve tempo eventuali perdite.
Sono poi considerati all’avanguardia i sistemi di trattamento delle acque reflue, tra i più grandi e tecnologicamente più avanzati in Europa, perché vengono impiegate tecnologie di depurazione biologica e processi di recupero energetico. SMAT gestisce anche un importante centro di ricerca che collabora con università e istituti internazionali proprio per innovare il settore idrico.
LE SFIDE DI OGGI
Oggi le sfide del sistema idrico integrato in Italia sono molteplici e riflettono la diversità geografica, economica e sociale del Paese. Eventi climatici estremi, lunghi periodi di siccità e inondazioni improvvise, difficoltà nell’adozione di strategie integrate a livello nazionale, oltre a perdite significative che mettono in luce la necessità di investire in nuove infrastrutture, in manutenzione e in tecnologie avanzate rendono chiaro quanto occorra un approccio coordinato che coinvolga governi, enti locali, settore privato e cittadini.
Ma c’è di più. «Se si prende la mappa dell’Italia delle procedure di infrazione nella depurazione e la si mette a confronto con quella delle ordinanze di non potabilità dell’acqua le si troveranno molto simili. Prendendo poi quella che fotografa le gestioni dirette da parte dei Comuni e quelle cessate che continuano a operare non avendo titolo ci si renderà conto che sono la stessa cosa», ha commentato Berardi.
Qual è il motivo? «I cittadini pagano il prezzo delle resistenze di certa politica locale verso una gestione industriale dell’acqua». Alcuni enti locali preferiscono mantenere il controllo diretto sulla gestione dell’acqua, per motivi che includono pressioni politiche, interessi economici locali o una visione dell’acqua come bene comune che non dovrebbe essere soggetto a logiche di mercato. Alcuni temono che la gestione industriale, soprattutto se affidata a soggetti privati, possa portare a un aumento incontrollato delle tariffe e a una perdita del controllo pubblico su una risorsa fondamentale come l’acqua.
«Le gestioni dirette dei Comuni investono meno di 10 euro all’anno pro capite nel servizio idrico, le gestioni industriali organizzate in bacini territoriali ottimali ne investono più di 70». Se da un lato la resistenza a un approccio più industriale del servizio idrico integrato ha contribuito a perpetuare inefficienze che gravano sui cittadini sia in termini economici che di qualità del servizio, dall’altro essa deve essere equilibrata da un forte controllo pubblico per garantire che resti orientata al bene comune.
Per farlo, i cittadini e le istituzioni locali dovrebbero avere un ruolo attivo nel monitoraggio e nella governance, definendo tariffe che coprano i costi reali del servizio, ma che siano accessibili ai tutti, specialmente alle fasce più vulnerabili, puntando però sempre di più a una gestione unitaria, per superare la frammentazione attraverso una pianificazione integrata a livello regionale o nazionale.
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