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Hanno iniziato a comparire circa quindici anni fa e da allora si sono moltiplicate come funghi. L’ultimo report, che risale al 2017, ne censiva oltre duemila sparse in tutto il territorio nazionale. Le case dell’acqua – o casette o dispenser – sono diventate un elemento comune nelle nostre città. Si tratta di distributori automatici di acqua potabile collegati alla rete idrica pubblica. Si trovano spesso in piazze, parcheggi o altri luoghi pubblici.
Sono strutture simili a dei chioschi dove le persone possono riempire le proprie bottiglie con acqua naturale o frizzante, refrigerata o a temperatura ambiente. Sono spesso indicate come soluzione ecologica al problema dell’acqua in bottiglia, di cui in Italia siamo grandi fruitori, eppure l’impatto ambientale delle case dell’acqua non è banale e le abitudini che generano possono essere controproducenti, soprattutto se le paragoniamo all’utilizzo dell’acqua del rubinetto, che ha qualità praticamente identiche.
UN PO’ DI STORIA DELLE CASETTE DELL’ACQUA
Le prime case dell’acqua sono state installate in Italia intorno al 2010, principalmente nel Nord del Paese, in risposta alla necessità di ridurre il consumo di bottiglie di plastica e promuovere il valore dell’acqua pubblica. Questi distributori sono stati progettati per fornire acqua potabile prelevata direttamente dalla rete, spesso con trattamenti aggiuntivi che ne migliorano il sapore, come la rimozione del cloro.
Tra il 2010 e il 2017, secondo Utilitalia, il numero di casette è cresciuto rapidamente, passando da circa 200 a oltre 2.000 in tutto il territorio italiano, con una maggiore concentrazione nel Nord. La crescita è stata sostenuta sia da amministrazioni pubbliche sia da aziende private che hanno collaborato per gestire questi impianti. Dopo il 2017 Utilitalia, la federazione che rappresenta le imprese italiane operanti nei servizi pubblici di acqua, ambiente ed energia, ha interrotto l’aggiornamento annuale dei propri report e non sono disponibili dati più recenti a livello nazionale. Ma diversi report locali mostrano che il numero ha continuato a crescere.
Di pari passo anche le funzioni delle case dell’acqua sono aumentate. Inizialmente offrivano solo acqua naturale, ma presto sono state dotate di impianti per fornire anche acqua frizzante. I trattamenti integrati, come l’uso di lampade UV battericide e filtri a carboni attivi, hanno permesso di migliorare ulteriormente la qualità dell’acqua distribuita. Negli anni recenti alcune casette sono state dotate di pannelli solari per alimentarsi con energie rinnovabili, migliorando la loro sostenibilità.
CONTRO L’ACQUA IN BOTTIGLIA
Nonostante la qualità dell’acqua pubblica sia mediamente buona, in Italia una persona consuma in media 200 litri di acqua in bottiglia all’anno, una cifra quasi doppia rispetto alla media europea, che si aggira intorno ai 106 litri. Questo rende l’Italia il primo consumatore in Europa e tra i primi al mondo, insieme a Messico e Thailandia.
Un dato che si spiega anche con la presenza nel nostro paese di oltre 250 marchi di acque in bottiglia, che ogni anno investono milioni di euro in pubblicità. Il risultato è che ogni anno – ogni anno! – vengono usati e gettati via in Italia almeno almeno 10 miliardi di bottiglie di plastica solo per il consumo di acqua. Se mettessimo queste bottiglie in fila, farebbero 75 volte il giro della Terra.
In questo contesto le case dell’acqua sono state da sempre viste da amministrazioni e cittadini come un modo per consumare meno acqua in bottiglia. Eppure, se confrontiamo la diffusione delle casette dell’acqua con la vendita di acque in bottiglia notiamo che nello stesso periodo entrambe le tendenze si sono accentuate: secondo Ismea –l’Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare – dal 2009 al 2019, mentre si diffondevano le case dell’acqua, il consumo di acqua in bottiglia è passato da circa 5 miliardi di litri all’anno a 10 miliardi di litri all’anno.
Qualcosa non torna. Se questi dati sono corretti e ammettendo che il consumo complessivo di acqua sia rimasto all’incirca uguale nel tempo, sembra che le case dell’acqua siano andate a sostituire il consumo di acqua del rubinetto, più che quello in bottiglia. Possibile? Sì, anzi probabile, sulla base di quello che sappiamo della psiche umana.
UN PERICOLOSO EFFETTO PSICOLOGICO
La diffusione crescente di case dell’acqua che vengono promosse come luoghi in cui la qualità dell’acqua è superiore porta con sé una pericolosa convinzione implicita, cioè che l’acqua del rubinetto è di qualità scadente. In realtà l’acqua delle casette e quella del rubinetto sono quasi identiche. Secondo un’indagine di Altroconsumo del 2016, l’acqua delle casette subisce solo trattamenti leggeri – ad esempio riduzione del cloro e raffreddamento – e risulta simile a quella del rubinetto. Un’altra analisi del 2021 sugli acquedotti di 35 città ha valutato la qualità dell’acqua come buona o ottima in 31 casi, confermando che le differenze tra acqua minerale, domestica e delle casette sono minime.
Questo può accadere per via di un effetto psicologico legato alla percezione della qualità attraverso il contesto o l’intervento esterno. Due concetti psicologici possono spiegare questo fenomeno. L’effetto framing, ovvero il fatto che le modalità con cui un’opzione viene presentata influiscono sulla percezione della stessa. Le case dell’acqua sono spesso promosse come una “miglioria” rispetto all’acqua del rubinetto, con enfasi su trattamenti come la rimozione del cloro o la gasatura.
Questo framing può far sembrare l’acqua del rubinetto meno desiderabile, allo stesso modo in cui un prodotto “premium” fa percepire i prodotti standard come di qualità inferiore. Inoltre anche il bias di conferma potrebbe aver avuto un ruolo: le persone che già nutrono dubbi sulla qualità dell’acqua del rubinetto potrebbero interpretare la presenza delle casette come una conferma delle loro convinzioni. L’idea che l’acqua delle casette subisca trattamenti aggiuntivi rafforza la percezione che quella del rubinetto “non sia abbastanza buona”.
POCHI PRO E MOLTI CONTRO
La qualità è spesso quasi identica, ma l’impatto ecologico è ben diverso. Se l’acqua del rubinetto ha un impatto ecologico irrilevante, lo stesso non si può dire per quella erogata dalle casette. Le case dell’acqua infatti utilizzano energia per i processi di trattamento – ad esempio, filtraggio, lampade UV battericide – e per il raffreddamento dell’acqua. Secondo le stime di alcuni operatori, questo consumo si aggirerebbe fra i 5 e i 10 kWh al giorno, l’equivalente di un condizionatore acceso per circa 10 ore. Quindi, soprattutto se l’energia proviene da fonti non rinnovabili, ciò contribuisce alle emissioni di CO2.
Inoltre quasi sempre le persone si recano a riempire le bottiglie in macchina. Anzi: sono progettate e posizionate in modo da facilitare il prelievo in auto, come ha confermato ad esempio Alberto Sebastiani, direttore di Adriatica Acque, una società che gestisce oltre 400 distributori sul territorio nazionale, secondo cui le case dell’acqua vengono costruite in luoghi ben illuminati, facili da identificare e facilmente accessibili con le automobili. Ciò significa altra CO2 in atmosfera e altre polveri sottili nell’aria che respiriamo.
In alcuni casi poi il consumo di acqua prelevata potrebbe comportare maggiori rischi rispetto a quella che arriva nei rubinetti. Come afferma Elena Dogliotti, biologa nutrizionista e supervisore scientifico per Fondazione Veronesi, «l’utilizzo di contenitori non sterili […] in caso di scorte che non vengono consumate in breve tempo, potrebbe aumentare il rischio di contaminazione».
E, continua la biologa, «a questo proposito, solitamente sono gli stessi Comuni a fornire indicazioni utili ai consumatori che vogliano utilizzare le casette dell’acqua, come l’uso di contenitori nuovi, preferibilmente in vetro o altrimenti in plastica per alimenti». Ovviamente, se si preleva l’acqua con contenitori nuovi ogni volta, il guadagno ecologico rispetto all’acqua imbottigliata diventa praticamente nullo.
QUANDO LE CASE DELL’ACQUA HANNO SENSO E COME HA SENSO USARLE
Sgomberato il campo dalle false soluzioni, è lecito chiedersi: esistono anche alcuni casi in cui installare delle case dell’acqua ha senso? La risposta è sì. Installare casette dell’acqua potrebbe essere sensato in zone dove gli edifici sono molto vecchi e l’ultimo tratto delle tubature, quelle condominiali, potrebbero rilasciare metalli e altre sostanze nel tratto non controllato dalle analisi ufficiali.
Un altro caso è quello dei Comuni in cui l’acqua che arriva ai rubinetti di casa non è potabile in quanto contaminata da qualche inquinante come arsenico, PFAS, alcuni batteri. In entrambi questi casi però l’installazione di case dell’acqua dovrebbe essere vista come una soluzione momentanea, utile a tamponare un problema e non a risolverlo. Ciò che osserviamo spesso è invece che le casette diventano una “scusa” per non investire nel corretto ammodernamento della rete idrica.
In generale, bere l’acqua del rubinetto continua a essere la soluzione migliore dal punto di vista ecologico e nella maggior parte dei casi non comporta alcun svantaggio in termini di qualità. Per chi non può bere l’acqua del proprio condominio o del proprio Comune o per chi è amante dell’acqua frizzante e ha una casetta dell’acqua nelle vicinanze, il consiglio è di non prendere l’auto solo per andare a riempire le bottiglie ma di inserire la tappa alla casetta dell’acqua all’interno di percorsi già previsti, in modo da ridurre l’impatto del trasporto.
Per saperne di più leggi anche il nostro approfondimento sul sistema idrico integrato.
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