Il regista Vincenzo Caricari racconta il cinema calabrese, fra ‘ndrangheta e restanza
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Reggio Calabria - La Calabria negli ultimi anni è diventata un’importante filiera dell’industria cinematografica, un’occasione per il rilancio culturale ma anche per quello economico e professionale. L’arrivo dell’industria cinematografica è davvero una risorsa per i calabresi? Lo abbiamo chiesto a Vincenzo Caricari, regista e insegnante di Storia del cinema e pratica sul set presso la Scuola Cinematografica della Calabria, nata nel 2019 a Siderno (RC) con l’obiettivo di formare attori e maestranze.
Oggi Vincenzo ha una sua piccola casa di produzione in Calabria. L’ha chiamata Streets video, come il suo primo cortometraggio autobiografico. I suoi lavori sono una lente che ci permette di osservare uno spaccato complesso, quello della Locride: dal racconto dei giovani di Locri – quelli noti come i ragazzi di “ammazzateci tutti” – a quello della guerra di Mario Congiusta per la ricerca di verità e giustizia per il figlio Gianluca, ammazzato dalla ’ndrangheta nel 2005, fino alla Riace di Mimmo Lucano.
Vincenzo, com’è nato l’amore tra te e il cinema?
È nato a Rimini nel 2003. Là studiavo economia del turismo per stare vicino alla mia fidanzata, adesso mia moglie, che studiava Dams a Bologna e io non sapevo che diavolo fare nella vita, non avevo un obiettivo. L’unica cosa che mi stuzzicava era il turismo, ottenni la borsa di studio e sembrava che iniziasse una passione. Invece, dopo un anno e mezzo e nove esami mi sono bloccato con la matematica e sono caduto in depressione. Un grande classico.
Vagavo per Rimini e, abitando vicino alla biblioteca cinetica, andai a vedere una rassegna su Fellini. Mi chiusi là e davano “Otto e mezzo”, ricordo che arrivai a metà film, e mentre assistevo alla proiezione mi chiedevo cosa stessi guardando, non lo capivo. Non sapevo cos’era il cinema, per me era solo intrattenimento. Uscii da lì sconvolto. Me ne tornai a casa un po’ disturbato e stuzzicato da questa cosa. Il giorno dopo, tornai alla cineteca per vedere altri film di Fellini. E inizia tutto così. Se Fellini fosse nato a Cesena, a quest’ora io sarei stato laureato in economia del turismo e magari avrei avuto sei alberghi [scherza, ndr].
Hai scoperto che oltre al cinema commerciale e d’intrattenimento c’è anche un cinema d’autore. A quel punto?
Ho continuato a fare ricerche, ho scoperto gli autori che utilizzano lo strumento cinematografico per parlare di se stessi, comunicare il loro punto di vista su alcuni argomenti. Dopo Fellini ho scoperto Martin Scorsese, che è diventato il mio regista di riferimento. Mio figlio si chiama Martin. In fondo sentivo l’esigenza di raccontare, di comunicare, ma non l’avevo ancora capito. Ho mollato l’università a Rimini e sono andato a Roma, a studiare Cinema all’università “La Sapienza”.
Parallelamente da autodidatta guardavo più o meno due film al giorno. Andavo spesso a teatro, al cinema, alla Casa del Cinema. Ma avevo una voglia di prendere una camera in mano che neanche ve lo immaginate. Quando mi è arrivata la seconda rata della borsa di studio di Rimini, l’ho spesa tutta per acquistare la mia prima videocamera. Una videocamerina Panasonic GS400, era un oggetto prezioso, desiderato da mesi. Quando mi è arrivata era il giorno più bello della mia vita.
Che hai fatto con quella telecamera?
Quattro documentari e sei cortometraggi.
Tutti in Calabria.
Sì, ho un legame forte con la Calabria, non sono uno di quelli che se n’è andato perché non vuole sapere più niente, anzi non vedevo l’ora di tornare. Cercavo l’occasione. Mi chiedevo se ci fossero registi calabresi, così li ho cercati su internet e ho trovato Gianni Amelio, Mimmo Calopresti, Vittorio De Seta. Ho iniziato a guardare i loro film e mi sono innamorato del cinema di Gianni Amelio. Ho preso l’elenco telefonico, ho cercato Amelio Giovanni, l’ho chiamato e lui mi ha risposto.
Che gli hai detto?
All’epoca gli artisti avevano spesso la segretaria telefonica. Dissi: “Salve, signor Amelio, sono un aspirante regista calabrese e adoro i suoi film, mi stanno influenzando”. E lui ha preso subito la chiamata. Il giorno dopo ero a casa sua. L’ho incontrato ed è iniziata una bella amicizia, gli mandavo ogni cosa che sfornavo.
I tuoi lavori hanno la chiara vocazione all’impegno sociale e civile.
Ho sempre avuto uno stimolo nei confronti dell’impegno sociale e civile. Già a scuola la mia tesina si intitolava “La denuncia sociale”, parlavo di Marx, Charles Dickens e Giovanni Verga. Quindi ho cercato di sfruttare il mezzo cinematografico per raccontare ciò che mi circonda e ciò che mi fa stare male. E quale migliore occasione della reazione dei “GGGiovani” della Locride nel 2005, quando hanno ammazzato il vicepresidente del consiglio della Regione Calabria Francesco Fortugno.
Era il 32esimo omicidio in due anni nella sola Locride, volevo raccontarlo. E allora mi è venuto in mente di infilarmi tra i “gggiovani” – con tre g, come li chiamavano tutti da queste parti – che si erano ribellati scendendo in piazza e accendere la camera. Sono stato sei mesi con loro, sono diventato uno di loro. Quello è stato il mio primo documentario, per raccontare devo diventare quello che voglio raccontare.
E subito dopo hai accompagnato il compianto Mario Congiusta nella sua battaglia alla ricerca di verità e giustizia per l’uccisione del figlio Gianluca nella tua città, Siderno, nel 2005.
Sì, ho conosciuto Mario mentre raccontavo i ragazzi di Locri, tra di loro notavo questo signore anziano e magro. Nello stesso anno dell’omicidio Fortugno, pochi mesi prima, aveva subito l’omicidio di suo figlio Gianluca, un imprenditore di Siderno, una delle persone più pulite che abbia mai conosciuto. Non si ammazzano solo tra di loro, ricordo che quando è successo mentre camminavo in macchina se mi suonava qualcuno mi spaventavo, avevo paura. Inizia a diventare amico di Mario Congiusta, il padre di Gianluca che lottava per avere verità e giustizia. Appena finito il primo documentario ho subito deciso di seguire Mario, così è nato La guerra di Mario, dopo averlo seguito per almeno tre anni.
Quando hai capito che non era solo passione ma anche il tuo lavoro?
Da subito. Mi ero ritrasferito in Calabria, non avevo grosse spese e avevo la possibilità di sperimentare. Mi rendevo conto che la Calabria era la regione meno cinematografata d’Italia. Di registi calabresi ce ne sono ma hanno fatto pochissimo qui in Calabria, come per esempio una sequenza nel Ladro di bambini di Gianni Amelio o poco altro.
La meno cinematografata ma parecchio cinematografica. E adesso la Calabria è diventata una filiera dell’industria cinematografica. È davvero di aiuto a chi fa cinema nella nostra regione?
Io grazie al cinema in Calabria mi sono sposato e ho fatto due figli. In Calabria siamo in pochi a essere interessati al cinema ma quando sono iniziate ad arrivare le grosse produzioni si sono dovute rivolgere a noi, alla gente del territorio. Noi facciamo cinema in piccolo ma ne sappiamo di cinema, siamo diventati un bel gruppo di ragazzi tra Reggio e la Locride, il Cosentino e il Vibonese, collaboriamo con le grosse produzioni che arrivano da fuori. Chiedono a noi di fare i casting, i sopralluoghi. Il percorso di formazione di un regista che si fa a Roma io l’ho fatto in Calabria, è stato un grande privilegio.
Il mio primo set è stato quello di Wim Wenders, quando girò Il Volo a Riace, poi ho lavorato con Francesco Munzi con Daniele Vicari, Stefano Sollima e con alcuni tra i migliori autori casting director, come Laura Muccino, che è venuta a Siderno per fare il casting di “Zero zero zero” per Roberto Saviano. Con l’arrivo del cinema e delle serie in Calabria abbiamo avuto la possibilità di lavorare con i migliori a livello nazionale e internazionale. Ci siamo resi conto che alla fine venivano selezionati attori siciliani, pugliesi, napoletani, così ci siamo detti: perché non li formiamo noi? Perché i ragazzi devono andare fuori che poi si perdono?
Così è nata la scuola dove insegni Storia del cinema e pratica sul set.
Ci sono molti ragazzi affascinati dal fatto che è arrivato il cinema in Calabria, vogliono fare perlopiù gli attori ma la scuola non fa solo formazione di attori, piano piano abbiamo allargato il campo perché ci siamo resi conto che mentre gli facciamo fare esperienza sul set scoprono tutto ciò che sta dietro la camera: la scenografia, la scrittura, il fonico. È difficile certo, però abbiamo avuto una bella soddisfazione perché alcuni dei nostri ragazzi in questi anni sono stati selezionati in serie tv importanti e in film importanti girati in Calabria.
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