Tyrrhenian Link: “La nostra lotta continua oltre lo sgombero del presidio degli ulivi”
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Cagliari - Del presidio degli ulivi di Selargius resta tanto. Certo, non le cose materiali: il sequestro preventivo a seguito della querela della società energetica Terna riguardo l’occupazione del terreno ha determinato il venir meno della struttura fisica, ma non ha smosso gli ideali della protesta. Nato grazie al contributo di mani, corpi, energie e piante provenienti da tutta l’Isola, il presidio degli ulivi era stato costituito a luglio per fermare i lavori del Tyrrhenian Link, il contestato cavidotto elettrico tra Sardegna e Sicilia, e in poco tempo è diventato un simbolo della resistenza nonviolenta alla speculazione energetica.
Un gesto collettivo, quello del presidio degli ulivi, volto anche a riaffermare il valore delle campagne come spazi vivi e significativi, a prescindere dalle destinazioni d’uso imposte. In un sistema votato alla produttività incessante, difendere l’utilità intrinseca dei luoghi naturali diventa cruciale per contrastare antropizzazione e consumo del suolo, evitando che l’incolto venga percepito come vuoto, inutile o da destinare a una produttività forzata.
ESPERIENZE COLLETTIVE DI RESISTENZA
«Sono arrivati per lo sgombero dalla mattina insieme a una settantina di operai Terna organizzati per chiudere e recintare l’area. Le piante che erano al presidio erano centinaia: un po’ sono state portate nel nuorese, altre sono state riposte in un terreno in prestito». Emanuele Mereu e Roberto Ladu raccontano ciò che è stato e quello che il presidio degli ulivi sarà, mentre smielano. Hanno le arnie nell’agro di Selargius, non troppo lontano dai terreni sotto esproprio e dai presidi – oltre quello degli ulivi, esiste «e resiste» quello di Sa Barracca – che anche loro hanno contribuito a costituire e animare.
«Lo sgombero ha abbattuto gli animi – raccontano –, è sempre un evento negativo e poi non eravamo collettivamente pronti». A mantenere però in vita il presidio è l’ideale che guida il dissenso: «Abbiamo creato un precedente pratico su cui le persone possono riflettere per opporsi a determinate azioni di sovradeterminazione delle volontà comunitarie, esistono mille strade da percorrere e questa è una di quelle, la mettiamo nella cassetta degli attrezzi delle esperienze collettive. Questo anche perché il Tyrrhenian link è una parte di tutto il processo di speculazione, ci sono vari cantieri aperti».
“IL TYRRHENIAN LINK HA POCO A CHE VEDERE CON LA TRANSIZIONE ECOLOGICA”
L’infrastruttura, ritenuta essenziale per la decarbonizzazione dell’Isola – ne abbiamo parlato anche qua –, impegnerebbe 17 ettari di territorio ed è proprio la questione relativa all’occupazione e consumo del suolo uno dei temi su cui si concentrano le contestazioni. «Noi vogliamo mettere in discussione il paradigma che crea e vuole creare questi impianti senza consultazioni, senza un approccio comunitario. Il Tyrrhenian link serve agli scopi di una classe padronale che non ha interesse a risolvere i problemi del cambiamento climatico, ma deve risolvere il problema della produzione energetica, è differente».
Per i due apicoltori la questione è semplice: «Non puoi parlare di transizione energetica senza uno sguardo plurale, senza problematizzare il turismo di massa ad esempio, l’industria o l’inquinamento delle basi militari. Questi investimenti non guardano al reale futuro di una transizione energetica che miri a un cambiamento sociale ideale. La nostra Isola viene bombardata quotidianamente da esercitazioni militari, è una contraddizione improbabile in questo scenario parlare di opere per una maggiore sostenibilità. Non si parla di riforestazione, di consumo del suolo o ad esempio di come viene prodotto il cibo: è un discorso parziale».
E anche le questioni alimentari, in tempo tra l’altro di nomina proprio del cappero selargino come presidio Slow Food anche in virtù del ruolo di tutela del paesaggio agrario periurbano, si intersecano con la lotta. Gli agri interessati dal mega progetto sono anche luogo di produzione e autoproduzione agricola, di allevamento, apicoltura. «Costruire il Tyrrhenian link significa industrializzare tutta la zona. Le campagne qui erano dedicate alla produzione vitivinicola, il paese girava attorno a questa attività. Una vocazione che ha iniziato a scricchiolare con la prima centrale energetica costruita nel 1985: prima l’economia circolare qui era molto più forte e anche la consapevolezza; è diverso mangiare ciò che arriva dal tuo territorio rispetto all’andare al supermercato».
Oggi invece? «Parliamo di una zona sempre più inglobata dall’area metropolitana, dove però ci sono anche aziende vitivinicole, persone che coltivano ortaggi, chi ha le api, ci sono allevatori; qui si lavora ancora la terra. Il fatto non è però che i giovani non vogliono lavorare in campagna, è che ci si è dimenticati di avere un agro utilizzabile. Oggi anzi si dice: c’è da fare una centrale? Facciamola lì!». E alla domanda “come immaginate quelle stesse campagne tra dieci anni”, Emanuele Mereu e Roberto Ladu preferiscono non rispondere. «Sarebbe meglio chiedersi che cosa ci poteva essere», dicono.
«Si parla di queste zone come campagne abbandonate, ma anche se veramente lo fossero in toto, questa non è una zona cementificata. Le zone antropizzate sono irrecuperabili, sono la privazione del valore naturale che ci ha cresciuti e resi quello che siamo adesso. Anziché porsi i giusti problemi, come ad esempio il perché ci sia un allontanamento dal lavoro nelle campagne, si risponde con una colata di cemento. Quello che dobbiamo chiederci è: che cosa ci sarebbe stato in quei terreni se ci fossimo posti degli altri tipi di problemi? Se non si fosse scelto di sottrarre gli spazi per scelte personali legate alle logiche economiche capitaliste? Se non si fossero imposti legami di dipendenza che disidentificano territorio e persone?».
L’AVVOCATA GIULIA LAI: “IL TYRRHENIAN LINK CI LIMITERÀ PER SEMPRE”
Con lo sgombero completato, i lavori per il Tyrrhenian Link si avviano a entrare nel vivo, ma la situazione resta complessa. L’avvocata Giulia Lai, che segue i presidianti, spiega: «L’esproprio del terreno del presidio degli ulivi non è ancora concluso. Lo sgombero è stato disposto a seguito di un esposto presentato da Terna alla procura, che ha portato a un sequestro preventivo: l’area è ora in possesso della società energetica, ma la proprietà rimane ancora del legittimo proprietario».
La vicenda però solleva questioni più ampie, che riguardano non solo il territorio ma anche la capacità delle istituzioni di agire in difesa della Sardegna. «Il Tyrrhenian Link è una grande opera e in quanto tale per la distribuzione dell’energia rientra nelle competenze concorrenti tra Stato e Regione. Noi non abbiamo un atto legislativo ma uno amministrativo che prevede il Tyrrhenian Link e in questo scenario una legge prevale sugli atti amministrativi. Questo significa che la Regione avrebbe il diritto di legiferare, chiedere una sospensione dei lavori e rinegoziare l’approdo del cavo. Invece si accetta una prevaricazione da parte di una società privata sul territorio, in totale silenzio da parte delle istituzioni: questo ci butta giù».
Secondo l’avvocata, il problema non si limita all’aspetto ambientale o amministrativo, ma tocca un punto nevralgico: il futuro stesso della Sardegna. «Il Tyrrhenian Link renderà l’Isola un punto strategico da cui attingere energia e risorse, vincolandola per sempre. Come già avviene con i poligoni militari, ci troveremo a subire imposizioni esterne, senza poter intervenire». In questo scenario, la battaglia contro l’infrastruttura diventa simbolo di una resistenza più ampia: quella per un modello di sviluppo che consideri i territori non come uno spazio da sfruttare, ma come un luogo da tutelare e valorizzare, nel rispetto delle comunità e della storia.
In merito, Emanuele Mereu e Roberto Ladu non hanno dubbi sul futuro della mobilitazione: «Manca un luogo, ma non la volontà di proseguire la lotta», affermano con determinazione. «Il presidio era uno spazio fisico, ma ciò che conta davvero è l’idea, la consapevolezza che ha generato e la rete umana che si è creata attorno. La lotta contro la speculazione energetica non finisce così».
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