A scuola si insegna la felicità: il progetto di una preside della Basilicata
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Matera, Basilicata - «Ciao tesoro, che cosa avete fatto oggi a scuola?».
«Un’interrogazione di matematica, una spiegazione di italiano e poi… un’ora di felicità».
Me lo immagino così l’incontro, alla fine di una giornata di lezioni come tutte le altre, tra una mamma e suo figlio che frequenta l’istituto comprensivo Giovanni Paolo II di Policoro. Già, perché dallo scorso anno, questo complesso di 950 alunni, suddivisi dall’asilo alle medie, nella terza città più grande della Basilicata – dopo i due capoluoghi Potenza e Matera –, ha introdotto una materia d’insegnamento decisamente insolita e all’avanguardia: quella che si occupa del benessere psicofisico dei ragazzi.
L’idea è nata dalla preside Maria Carmela Stigliano, che ormai da undici anni – cioè da quando ha assunto questo ruolo dirigenziale – assegna di volta in volta un tema diverso di lavoro, un filo conduttore che ogni insegnante è chiamato a declinare a suo modo, in base alla disciplina di cui si occupa: il sogno, il viaggio, la musica.
Nel 2023 la scelta è caduta proprio sulla felicità: «Del resto ho pensato – sorride la professoressa – che non ci fosse un tema più importante di quello». Così ha visto la luce il progetto “ascuoladiFelicità”, concluso nel giugno scorso con un evento in piazza, di cui è stato ospite l’attore Alessandro Preziosi, e coronato con una lettera d’encomio ufficiale addirittura dal ministro Valditara.
«Siamo partiti da una domanda, tanto semplice quanto profonda: i nostri alunni sono davvero felici di venire a scuola?», racconta Stigliano. A oggi purtroppo è spesso difficile dare una risposta positiva. La mente corre alle tante difficoltà che i nostri giovani incontrano, dentro e fuori dalle mura dell’istituzione: fragilità, vulnerabilità, insuccessi, dispersione scolastica, abuso di sostanze, depressione. «Da mamma ho toccato con mano che ci sono stati anni in cui, per mia figlia, andare a lezione era tutt’altro che una gioia», confessa la docente.
Ma le cose devono andare per forza così o esiste un’alternativa? La scuola è condannata a essere un luogo dove si forniscono solo conoscenze e nozioni oppure può occuparsi anche della crescita personale, psicologica, affettiva, a tutti i livelli dei nostri ragazzi? «Il curriculum ministeriale non va mai trascurato, le competenze nelle varie discipline sono basilari – precisa la preside – ma apprendere e crescere non esclude che si possa essere anche felici. Perché no? Non è una contraddizione, anzi, è un binomio indissolubile, che procede di pari passo».
Di più: se si è felici di andare a scuola, si impara anche meglio: «Ho toccato con mano l’entusiasmo e la condivisione di tutti gli alunni, dai tre anni fino ai diciotto. Li ho visti tutti più partecipi, volitivi, presenti». Lo aveva capito già quasi due millenni or sono il filosofo Plutarco, che scrisse un celebre quanto emblematico aforisma: «Gli studenti non sono vasi da riempire, ma fiaccole da accendere». Concorda Stigliano: «L’insegnamento fine a se stesso è sterile: manca l’anima, la passione, il senso di appartenenza. La felicità diventa uno strumento metodologico per imparare, a partire dalla scuola primaria. Possiamo insegnare ai bambini la matematica o la grammatica e allo stesso tempo a riconoscere meglio le loro emozioni».
Sarebbe un grave errore derubricare la pretesa di felicità a un banale capriccio: al contrario, è il fine ultimo dell’essere umano, l’unico che valga la pena perseguire, per se stessi ma soprattutto in relazione con gli altri. E se questo è vero, allora il compito degli insegnanti non può essere solo quello di crescere adulti competenti e acculturati, ma anche capaci di essere felici. «La felicità è un valore assoluto, fa parte del nostro essere, quindi dobbiamo portarlo anche a scuola», riassume la dirigente di Policoro.
Persino i genitori sembrano essere convinti della proposta avanzata dalla dirigente scolastica: «Non ci crederà, ma mi hanno fatto arrivare tutti un grande consenso, perché hanno visto che quest’ora alla settimana in cui si parla di felicità non è una perdita di tempo, bensì la affrontiamo con serietà, come una lezione a tutti gli effetti».
Una lezione che si coniuga in attività diverse a seconda dei vari ordini scolastici: da quelle più ludiche o pratiche per la scuola dell’infanzia – arte, teatro, condivisione di storie o fiabe – a momenti di riflessione guidata, lettura di libri, visione di film a tema, ma anche la scrittura di un quaderno della felicità con appunti, disegni o brani alle elementari. Fino ai workshop, ai laboratori manuali e musicali, agli esercizi fisici di rilassamento e meditazione, allo scambio di biglietti di complimenti o incitamenti tra compagni di classe alle medie.
Il progetto ha sortito un tale successo che in quest’anno scolastico da sperimentale che era è stato inserito a pieno titolo nel programma dell’istituto. «E siamo andati un passo oltre», rilancia ancora la preside. «L’ora della felicità diventa anche uno strumento per promuovere l’inclusione. L’attività è proiettata sull’aspetto delle relazioni, positive e propositive, con l’obiettivo di far diventare la scuola un luogo di tutti e di ciascuno». Ed ecco che la felicità può diventare anche un formidabile antidoto contro il bullismo, il razzismo, l’omofobia, l’emarginazione.
Insomma, sarà forse eccessivo affermare che un’ora alla settimana dedicata a questo tema possa cambiare l’atteggiamento dei ragazzi verso l’istruzione, ma di sicuro qualche effetto positivo, dopo appena una manciata di mesi, si inizia già a vedere: «La scuola viene affrontata con maggiore consapevolezza e con qualche sorriso in più, anche da parte di chi la viveva solo come un’imposizione o un dovere». Come iniziativa, mi pare che meriti una promozione a pieni voti.
Leggi anche l’intervista di Fabrizio Corgnati a Michael Plant, fondatore del Happier Lives Institute.
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