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Sulla carta è lavoro autonomo, ma in realtà per i rider la libertà è una chimera: devono sottostare alla vigilanza serrata di algoritmi e sistemi di valutazione che monitorano quanto tempo si lavora e quanto veloci si va, ma non solo. In alcuni casi il software stabilisce anche i turni e le ore di lavoro, penalizzando chi si assenta o non accetta ordini. Possibilità di replica? Nessuna. In pratica, ai rider non resta che correre all’inseguimento del punteggio e del cliente.
Sono in tanti ad aver intrapreso questa attività durante la pandemia, quando la ristorazione è stata limitata alle consegne a domicilio. Al tempo si guadagnava bene e in tanti hanno deciso di trasformare le consegne nella propria occupazione principale. Me le continue assunzioni hanno finito per creare un sovraffollamento di lavoratori e il numero di “viaggi” per ciascun rider è diminuito. Così per sopravvivere alcuni provano ad aggirare il sistema attraverso programmi automatizzati [bot, ndr] in grado di accettare gli ordini più velocemente.
Se in molti hanno iniziato a protestare per le condizioni di lavoro, anche l’Unione Europea ha provato a dare un quadro per gestire con più garanzie l’attività dei rider. Oggi, in Italia si sta discutendo dell’attuazione della direttiva comunitaria adottata lo scorso aprile e Deliveroo sta testando a Milano nuove forme contrattuali. Eppure la vita dei fattorini che sfrecciano per le strade delle nostre città è ancora difficile.
IN SARDEGNA TROPPI RIDER E SENZA AGEVOLAZIONI
Durante le proteste dei rider di Glovo dello scorso luglio a Olbia «abbiamo chiesto di sospendere le assunzioni», ci racconta Toma Albetino, rider della città gallurese. «Siamo troppi rispetto al numero di consegne». I reclutamenti della società si basano sulla media annuale degli ordini, un parametro che in una città come Olbia è pesantemente influenzato dalle presenze turistiche durante l’estate. Tra giugno e agosto infatti «Olbia passa da 70.000 a 100.000 abitanti, ma già da settembre la situazione torna alla normalità», aggiunge la rider.
Albetino ha inforcato la moto per recapitare pizze e panini nel 2020, in pieno Covid, dopo aver chiuso la propria azienda di spettacoli itineranti. «All’epoca lavorare per Glovo era un vantaggio per tutti. Eravamo in 15, ora siamo in 70». Lo sciopero che chiedeva il blocco delle assunzioni si è sgonfiato in un paio di giorni, perché alcuni rider sono rientrati al lavoro con la promessa di un aumento del 10% su alcuni bonus, «poi disattesa dall’azienda». Oltre al soprannumero, restano aperti i soliti vecchi problemi. A cominciare da quelli che riguardano il tempo di lavoro. A ogni rider viene infatti assegnato un punteggio da cui dipendono le ore di servizio.
La ratio è chiarissima: se ottiene un risultato elevato, il fattorino lavora di più. Ma se il punteggio cala, le ore diminuiscono, come i guadagni, ragion per cui diventa difficile riconquistare i punti persi. In Sardegna esistono poi alcuni problemi che non si presentano altrove. Nelle altre regioni i rider di Glovo beneficiano di «agevolazioni con gommisti, autofficina, tagliandi, svariati sconti, mentre sull’isola no. Abbiamo chiesto più volte perché, ma non ci rispondono», commenta Abetino. Ci sono infine alcune questioni legati alla città di Olbia.
Il perimetro di consegna dovrebbe limitarsi al centro urbano, ma nei mesi estivi viene esteso alle spiagge. «I dintorni di Olbia sono pieni di turisti, ma la gente sotto gli ombrelloni non sempre è rapida nel ritirare la consegna». E se il rider deve aspettare, perde tempo e punteggio, con conseguente penalizzazione da parte del sistema. Albetino ha avuto anche dei problemi di salute, che ne hanno pesantemente condizionato il lavoro. C’è un’assicurazione in caso di sinistri, ma l’algoritmo penalizza chi si assenta per malattia. «Ho avuto 2 infarti e sono stata ferma per alcuni mesi. Quando sono ritornata mi hanno abbassato il punteggio da 4,3/5 a 2,9/5. Adesso lavoro mezz’ora al giorno, rispetto alle 8 di qualche tempo fa».
L’ALGORITMO
Ma come funziona l’algoritmo? Ce lo spiega Mirko Argiolas, un altro rider di Olbia, che con Glovo ha il miglior punteggio della città: 5 su 5. Anche la sua storia è legata alla pandemia. «Ho iniziato un mese prima del lockdown del 2020. Finito il lavoro stagionale ero alla ricerca di qualcosa da fare e da allora non ho mai smesso di fare consegne». Chi pensa che sia un’attività semplice dovrebbe però ricredersi. «È un impiego molto stancante. Lavoro 8 ore al giorno e nel fine settimane 11 ore», con gli straordinari consentiti dalla legge. E anche lui si lamenta per il numero di colleghi. «Siamo in tanti Glovo sta facendo assunzioni di massa e ancora arrivano nuovi rider».
La conseguenza? «Noi siamo spesso fermi in strada. In otto ore ne lavoro effettivamente sei, mentre per due ore sto fermo. Il peggio arriva durante il fine settimana: in undici ore ne trascorro tre o quattro in attesa». Tuttavia, per quanto spesso si rimanga fermi al palo, disconnettersi dal proprio account e staccare dal lavoro può avere ripercussioni. Il punteggio infatti viene calcolato in base alle consegne giornaliere: più se ne fanno, più si scala la classifica. «Più è basso il punteggio, meno ore trovi», continua Argiolas.
Le ore assegnate da Glovo sono visibili in un calendario a disposizione dei fattorini: in base all’algoritmo, ogni rider può prenotare una fascia oraria in cui ricevere le consegne. «Ogni punteggio scala di 5 minuti: per chi ha un rating di 4,9 su 5 si aprono degli slot alle 16.05, per esempio. Per chi ha 4,8, gli slot si aprono alle 16.10 e via dicendo». In altre parole, chi lavora di più viene premiato con più lavoro.
AGGIRARE IL SISTEMA
Alì è un rider pachistano che lavora a Sassari per Deliveroo, che ha un algoritmo e un sistema diverso da Glovo. È andato via dal suo paese sette anni fa e dopo esser transitato in Turchia e Grecia è approdato prima a Trieste e poi Sardegna, dove oggi campa facendo il rider. Una storia comune a tanti pachistani, disposti ad accettare situazioni complicate pur di sbarcare il lunario, come del resto fanno molti italiani. «Da sette anni non torno in Pakistan», racconta.
«Ho viaggiato tanto, ma adesso non voglio più spostarmi, mi trovo bene in Italia. Il mio viaggio è stato molto difficile, ma ora che ho i documenti posso tornare a visitare la mia famiglia e poi rientrare a Sassari», prosegue. «Lavoro solo con Deliveroo, che paga alla consegna. Io posso scegliere quale ordine recapitare e quale no». Più che di libertà si tratta di un’illusione: se non si accettano ordini, non si guadagna a sufficienza. Ecco, con questa piattaforma il problema è proprio questo e cioè aggiudicarsi le consegne messe in palio dal software. Con Deliveroo infatti i rider sono in competizione tra loro, ma ci sono degli escamotage.
Alcuni programmi automatizzati o bot accettano gli ordini in automatico appena ne compare uno sulla lista. Inoltre tanti rider prestano il proprio account ad altri, chiedendo una percentuale sulle consegne. «Un rider di Milano con un account inutilizzato può inviare le sue credenziali a una persona che lavora qui, chiedendo il 22% del guadagno come contropartita», spiega Alì. Così il fattorino di Sassari può avere più consegne da account diversi ed evitare i limiti fiscali imposti dalla legge di 5.000 euro annui per chi lavora con la ritenuta d’acconto.. «Non ci sono molti controlli, ma se Deliveroo se ne accorge, l’account viene bloccato», continua Alì, che non manca di far trasparire indignazione.
Per ovviare a questo problema, è stato introdotto il riconoscimento facciale. Glovo ha due riconoscimenti facciali all’inizio e alla fine del turno quotidiano. Deliveroo solo al momento dell’apertura dell’account. «Ma chi compra gli account può sempre chiedere al titolare del conto di farsi inviare una schermata con la foto della propria faccia in tempo reale e il rider che usa l’account in prestito esegue l’accesso con quella foto». Contatto da Indip, l’ufficio stampa italiano di Deliveroo ha evitato qualsiasi commento.
In ogni caso, così il delivery si trasforma in una guerra fra poveri, una sfida a chi corre più veloce, a chi è disposto ad accettare meno garanzie o a chi trova l’espediente migliore per aggirare il sistema. Alle società poco importa: contano i numeri e la vita dei rider non è affar loro.
Puoi leggere l’inchiesta integrale su Indip.
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