18 Dic 2024

Riabitare l’appennino creando comunità: ecco tre storie di chi ha scelto di restare (o di tornare)

Scritto da: Paolo Piacentini

Verusca, Luca e Fabrizio sono testimoni del fermento che anima i borghi e le valli dell'appennino centrale, un'area che vuole rinascere attraverso festival, ecomusei, cooperative e altri strumenti per tenere vivo il tessuto sociale.

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“Casa non è fatta da quattro mura ma dal territorio tutto“. Questo dice con passione e una vena di commozione Luca, uno dei giovani che sta ridando vita a quel fazzoletto di terra incastonato tra due parchi nazionali: Monti Sibillini e Laga-Gran Sasso. Nella frase di Luca c’è la sintesi perfetta di quello che vado dicendo da anni rispetto a quale deve essere la soluzione per riabitare l’Appennino.

Il territorio che diventa la nostra casa o ancora meglio, lo spazio fisico di quel “noi” che bisogna ricostruire con una tessitura lenta ma necessaria. Tante parole si spendono intorno al concetto di comunità e di come ricostruirle dopo le ferite drammatiche come quella del terremoto del 2016/17. Il mio pensiero è che le collettività territoriali si ricostruiscono intorno ad attività nuove o antiche fortemente fondate sul genius loci, un’entità astratta legata al luogo stesso, con al centro i principi di condivisione e solidarietà.

appennino 1

Le storie di Luca e Fabrizio che sono al centro di questa mia narrazione si intrecciano con il lavoro straordinario portato avanti dalle Brigate di Solidarietà Attiva subito dopo il terremoto. I volontari delle BSA, coordinati dall’ottima Verusca, sono riusciti, in collaborazione con le associazioni locali, a non far morire una rete solidale frantumata dal dramma delle scosse che hanno stravolto non solo i paesi ma l’anima stessa delle persone e del tessuto sociale. Hanno lavorato per mesi sostenendo le persone nei bisogni primari più immediati senza tirarsi indietro nel mettere in campo idee e progetti di rinascita concreti e innovativi.

Da questa loro presenza costruttiva nasce, in collaborazione con le realtà locali con il vicesindaco di Roccafluvione e la Comunanza Agraria di Forca di Montegallo, la cooperativa di comunità del Ceresa. Dalle parole della stessa Verusca:
«La coop di Comunità del Ceresa nasce dall’idea che oltre a ricostruire gli edifici fosse necessario ricostruire la comunità in un momento in cui venivano proposti “dall’alto” progetti faraonici che non coinvolgevano il territorio e chi lo aveva vissuto».

«L’intento della cooperativa –aggiunge – è quello di favorire la coesione sociale e sviluppare nuove progettualità partendo dalle caratteristiche del territorio per un sostegno concreto ai residenti e come richiamo a nuovi residenti per un ripopolamento della montagna». Intorno alla cooperativa si riattivano molte attività legate al recupero della rete di sentieri in collaborazione con le associazioni locali, la coltivazione dei lamponi e tante altre iniziative che cercano di coinvolgere una fascia sempre più ampia di popolazione.

appennino 2

Uno dei progetti di maggior impatto sulla rinascita dell’antico tessuto economico legato alla montagna è il recupero dei castagneti abbandonati. Sempre dalle parole appassionate di Verusca: «Da qualche anno la cooperativa recupera, coltiva, innesta, pota, coinvolge piccoli produttori, commercializza i marroni del Ceresa attraverso una rete di gruppi di acquisto solidali, botteghe di qualità, gruppi di persone consapevoli, cooperative di comunità, associazioni, una libreria…».

Ad arricchire questa storia di rinascita non potevano mancare Luca e Fabrizio, storie di vita dissimili che si intersecano in questo microcosmo appenninico. Luca inizia la sua avventura di impegno verso un territorio che non aveva mai abbandonato, qualche anno prima del terremoto collaborando con il Festival dell’Appennino e riuscendo a portare a Forcella settecento persone. Un paese che veniva dato per moribondo vide di nuovo una piccola luce all’orizzonte.

Una torinese, capitata per caso in quell’angolo di mondo invisibile a qualsiasi radar mediatico, si complimenta con gli organizzatori e dice a Luca che deve ritenersi un uomo fortunato a vivere in quel piccolo paese. Un incoraggiamento inaspettato che funziona come un interruttore per illuminare pensieri e idee sopiti da una certa apatia. Si parte e allora arriva l’associazione Amici di Forcella e un festival autogestito, il Forcella Folk Festival. La manifestazione fu l’occasione per ripulire e rendere agibile un sentiero storico che conduce alle Cascate di Forcella. A generare questi bellissimi e selvaggi salti tra le rocce è il torrente Tallacano , affluente del Tronto.

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Il festival cresce di anno in anno in qualità e quantità attraverso iniziative mai viste come qualcosa di troppo sporadico ed etereo. A unire le forze arriva l’Ecomuseo del Monte Cerasa, di cui Luca attualmente è presidente. Non si tratta del classico museo racchiuso entro quattro mura, ma di uno strumento di promozione che si fa carico di sostenere le associazioni territoriali partendo dall’alto valore storico, paesaggistico e naturalistico ricompreso nel territorio tra Acquasanta Terme e Roccafluvione.

Dalle parole di Luca: «L’animazione di questo territorio passa attraverso un festival che si contamina con diverse forme di arte e che è in grado di coinvolgere maestri di conservatorio, compagnie teatrali e le Cascate diventano la coreografia ottimale per giochi di luci, improvvisazioni, assoli, recite e altro. Attività che accolgono anziani e bambini si collocano in questo contesto ridando luce ad antichi mestieri e giochi per bambini».

A rompere questo cammino virtuoso arriva improvviso e devastante il terremoto che si porta via non solo le case o le rende inagibili ma ancor peggio a migrare, spesso per sempre, saranno anche le persone. Il mondo sembra crollare addosso a Luca e alla sua piccola comunità ma lo sbandamento dura poco e sono sempre le parole di Luca a narrare con incisività la capacità di non mollare e anzi rilanciare: «Non ci siamo fatti abbattere dalle circostanze ma abbiamo tirato fuori tanta forza partendo da uno spazio comune, la vecchia bottega di mia nonna e prima osteria del paese».

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«Con l’aiuto dei paesani abbiamo ristrutturato il circolo di Forcella, uno spazio autogestito dove ognuno paga ciò che consuma e con i soldi in cassa vengono acquistati i gelati per i bambini o il caffè e a fine anno quello che avanza viene utilizzato per il paese. Con i primi soldi abbiamo sistemato il campo di bocce. Nel Circolo ospitiamo in cambio di una offerta. La nostra ospitalità viene da lontano, è un gesto naturale sedimentato dalle generazioni passate che hanno sempre accolto il viandante, l’artigiano di passaggio».

A dare manforte a Luca arriva Fabrizio, uno di quelli che vengono definiti come “ritornanti”. Insieme vanno a formare una coppia di soci straordinaria. Fabrizio dopo una laurea conseguita Urbino e un master a Bologna che poteva proiettarlo in lunghi periodi all’estero cambia strada e inizia a riannodare i fili delle sue origini. Le classiche storie di precarietà di molti giovani e un’insoddisfazione latente per alcune scelte lavorative sono la molla che lo avvicinano all’esperienza lavorativa estiva come woofer – viaggiatore-lavoratore presso aziende agricole biologiche – presso alcune aziende agricole nell’appennino reggiano e in una malga in Trentino dove passa molti mesi da solo.

Dopo queste esperienze arriva l’occasione di tornare vicino casa come curatore di un volume sulla storia dei partigiani jugoslavi che avevano combattuto sui Monti della Laga. Nel 2023 nasce l’azienda Orti e sentieri, che Fabrizio ci racconta con queste poche parole appassionate e che danno fiducia a chi come me cerca da anni i semi e i frutti di nuove storie appenniniche: «Ad oggi l’azienda gestisce tre orti, un campo di officinali, un pollaio, un piccolo meleto e si prende cura di due asinelli, Martino e Jam».

Abbiamo tirato fuori tanta forza partendo da uno spazio comune, la vecchia bottega di mia nonna e prima osteria del paese

«Anche se la nostra idea di agricoltura è ancora “in costruzione” e noi stessi ci cimentiamo nei lavori in un’ottica di apprendimento continuo, coscienti di aver molto da imparare, possiamo dire di ispirarci a un tipo di coltivazione naturale, con minimo impatto sull’ecosistema. Per questo utilizziamo solo concimi naturali, difendiamo le piante attraverso la lotta biologica, pratichiamo consociazioni e rotazioni delle colture. Infine, cosa per noi importante, cerchiamo di integrarci il più possibile con il contesto sociale e le tradizioni del luogo, ascoltando i consigli degli anziani e valorizzando le memorie di un territorio in passato votato essenzialmente all’agricoltura».

“Nato al mare ora vivo sui monti”. Queste le parole piene di luce che Fabrizio mi consegna durante un breve ma empatico incontro. Parole di speranza che mi porto dietro per dare spazio, in un prossimo articolo, ad altre storie dell’altra sponda del Tronto, quella magica e selvaggia dei Monti della Laga.

Clicca qui per leggere il resoconto di Missione Parchi, iniziativa volta a rivitalizzare l’appennino dell’Italia centrale.

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