Genocidio in Palestina: se il silenzio è complicità, il boicottaggio può fermarlo
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Cagliari - Oltre 44mila persone palestinesi uccise, tra cui 11mila donne, 17mila bambini, e oltre 700 neonati. Famiglie intere cancellate, migliaia le persone sotto le macerie e migliaia le persone che hanno subito amputazioni, spesso senza anestesia. A Gaza solo 17 dei 36 ospedali rimangono parzialmente funzionanti, “scheletri nel deserto delle macerie” come scrive la relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati Francesca Albanese. Resti di bombardamenti e assedi, con le immagini dei pazienti bruciati vivi che sono entrate via social nella quotidianità del mondo intero. In Palestina è un genocidio che si consuma davanti agli occhi di troppi e assistere, attraverso cronache e social, fa sentire spettatori impotenti di un orrore senza fine.
Eppure una possibilità di azione esiste: scegliere di boicottare, disinvestire e fare pressione affinché ci sia una presa di posizione istituzionale, ad esempio. Si può fare da ovunque. A Cagliari, Potere al Popolo (PaP) Cagliari e il Comitato Sardo di Solidarietà con la Palestina stanno promuovendo una petizione con cui sollecitare anche l’adesione del Comune al movimento internazionale per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni (BDS) contro aziende e istituzioni israeliane coinvolte nelle violazioni del diritto internazionale nei Territori Palestinesi Occupati (TPO). Perché la sensazione di impotenza non sia sinonimo di indifferenza, ma si trasformi in una pressione collettiva capace di affermare il diritto universale alla libertà.
BOICOTTARE L’ECONOMIA A SUPPORTO DEL GENOCIDIO
Sospendere i rapporti commerciali e contrattuali, escludere dai bandi pubblici e dagli investimenti comunali le società che partecipano alla costruzione o al mantenimento di colonie illegali o strumenti di oppressione e adottare una politica di trasparenza che in merito tenga informata la cittadinanza. La richiesta di boicottaggio avanzata da PaP Cagliari e dal Comitato Sardo di Solidarietà con la Palestina, parla chiaro.
«Noi non chiediamo solo la fine del genocidio, che è il minimo – spiega da PaP Claudia Ortu –, chiediamo la fine dell’apartheid e dell’occupazione: il boicottaggio dovrebbe partire da quando consegniamo le firme a quando Israele interromperà l’occupazione. Ci sono sempre tante urgenze altre, ma finché c’è un genocidio in atto ci sembra che impedirlo debba avere la priorità su tutto. Non dobbiamo rendere economicamente possibile la continuazione del genocidio e dell’apartheid».
Il movimento BDS, fondato nel 2005, ha costruito negli anni una vasta rete globale, contribuendo all’isolamento di Israele per il suo regime di apartheid. Questo ha portato diverse multinazionali (e non solo) a ridurre o interrompere la loro collaborazione con attività coinvolte nelle violazioni dei diritti delle persone palestinesi. Puma ad esempio, dopo cinque anni di boicottaggio internazionale, ha annunciato che dal 2025 non sponsorizzerà più la Federcalcio israeliana; nuovo sponsor sarà l’italiana Erreà contro la quale è stata già annunciata la volontà di boicottaggio. Il Senato accademico dell’Università di Torino ha escluso la collaborazione con istituzioni israeliane e Barcellona ha interrotto ogni relazione con Israele.
In questo panorama, la situazione economica di Israele evidenzia una forte crisi, aggravata dall’inasprimento del conflitto, dall’escalation di brutalità e dalla conseguente e sempre più forte volontà di ostracismo economico e istituzionale. «La possibilità di portare avanti politiche genocidiarie si basa sul funzionamento dell’economia – prosegue Ortu – e nel momento in cui il meccanismo si inceppa, ogni governo è chiamato a correggere il tiro: sono gli stessi portatori di interessi economici a fare pressione perché il governo cambi la propria politica».
AZIONI OLTRE LE PAROLE
L’intento della petizione va oltre i gesti simbolici: è un richiamo a trasformare il dissenso in atto, a dare corpo all’indignazione e renderla pressione tangibile contro l’ingiustizia. «Le parole sono importanti, possono creare realtà, ma al momento non cambiano le condizioni materiali nelle quali si perpetra il genocidio», spiega sempre Claudia Ortu. «Israele ha dimostrato che non teme il sentirsi isolato dal mondo che riconosce lo stato di Palestina, gli interessa non essere isolato dagli Stati Uniti e dal mondo occidentale che si muove con loro e finché avrà le armi per creare il suo “nuovo Medio Oriente”, le popolazioni che incontrerà in questo percorso continueranno a essere sempre e solo oggetti da rimuovere, ostacoli».
«Nelle risoluzioni Onu – precisa Ortu – emerge come sia la maggioranza del mondo a sostenere la fine dell’occupazione israeliana, ma la realtà è ostaggio di una combriccola di pochi Stati che detengono potere economico e militare e finché la situazione sarà tale gli atti simbolici non saranno sufficienti, servono quelli concreti. In Palestina si gioca l’essenza dell’umanità: se vuoi salvarti come genere umano devi salvare la Palestina, che al momento è un concentrato di tutte le ingiustizie del mondo».
IL PREZZO DELLE VITE UMANE
Un boicottaggio che sia rivolto non solo contro aziende e prodotti, ma anche contro le istituzioni. «Il Comune può ad esempio evitare di acquistare strumenti della Hp. Le altre marche costano di più? Ma la differenza si paga in vite umane. Oppure, Cagliari può evitare di invitare o incontrare l’ambasciatore: se le istituzioni possono creare legami, possono anche scioglierli, perché non si può normalizzare qualcosa che normale non è. Non c’è una mira individuale, l’intenzione è contro non l’individuo ma il ruolo».
«Israele ha dimostrato più volte come questi singoli e singole rappresentanti istituzionali siano pedine utilizzate per normalizzare l’occupazione e far sembrare l’apartheid come un qualcosa di non problematico, per cui avere rapporti culturali con un’entità che discrimina e toglie diritti a persone solo perché palestinesi, diventa possibile. Io dicendoti che non voglio fare affari con te rendo visibile quello che si vuole invisibilizzare, scoperchio l’anormalità della situazione».
Togliere quindi le basi al genocidio minandone l’economia e la possibilità di profitto, perché «aziende e istituzioni sono complici». Il quarto rapporto Don’t Buy into Occupation – Non fate affari con l’occupazione – svela in modo chiaro le azioni di numerosi istituti e società europee che finanziano imprese attive nei territori occupati da Israele. A presentarlo è una coalizione di 25 organizzazioni della società civile unite e tra le 58 aziende citate nel rapporto, c’è anche Airbnb.
La società nel 2019 attraverso un comunicato stampa ha dichiarato di ritirare gli annunci di abitazioni collocate negli insediamenti israeliani in Cisgiordania, ma anche nel database 2023 Onu delle imprese implicate in attività legate agli insediamenti nei TPO Airbnb continua a comparire. «Il capitalismo ha risvolti tragici in Palestina e negativi per le classi subalterne nel resto del mondo, Airbnb è un esempio magistrale. Rende affittabili case nelle colonie, quindi nei territori espropriati ai palestinesi, ed è anche l’azienda che qui più di tutte ha contribuito alla turistificazione. Un fenomeno che significa anche qua espulsione. Il boicottaggio è quindi anche contro un capitalismo predatorio che usa tutto quello che ha intorno e lo sputa dopo averlo prosciugato».
LIBERTÀ RADICALE
Attraverso il boicottaggio, ogni azione locale diventa eco di una richiesta globale. «Cagliari può provare a resistere e isolarsi rispetto al buio che avanza, farsi sempre più piccola cercando di mantenere il privilegio, ma è una strategia che sconfigge, nessuno si salva da solo». Usare il privilegio di scegliere, per schierarsi quindi contro il genocidio e l’oppressione. «Cagliari questo privilegio dovrebbe metterlo a disposizione, usare la tranquillità che abbiamo per fare in modo che anche il resto del mondo diventi un posto migliore», spiega Claudia Ortu in conclusione.
«Abbiamo una responsabilità e boicottare significa dire “io mi astengo” dall’essere al centro del Mediterraneo per cose sbagliate, come portaerei ad esempio. C’è bisogno di radicalità, di prendere una posizione, o non ci sarà più possibilità di cambiare. Firmare la petizione, boicottare il genocidio è un nostro dovere di solidarietà: non si è solidali per buonismo o per simpatia, ma perché si riconoscere nel benessere degli altri la possibilità di benessere per se stessi. Quando si dice che siamo tutti e tutte palestinesi significa che supportare la causa significa agire per la garanzia di diritto alla vita, all’autodeterminazione di tutti i popoli. Come disse Nelson Mandela, la nostra libertà non sarà mai completa senza quella dei e delle palestinesi».
Per sapere dove firmare a Cagliari la petizione, clicca qui.
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