Seguici su:
Venezia, Veneto - Assolutamente soddisfatto. Si definisce così Antonio Montani, dal 2022 presidente del CAI, che ha organizzato a Venezia gli Stati Generali del turismo outdoor, due giorni con operatori, associazioni e istituzioni per parlare di cammini, sentieri, montagna, natura e turismo – in questo articolo avevamo anticipato alcuni dei temi sul piatto. «È andata meglio delle aspettative perché erano presenti 60 sigle diverse, con 180 persone che a loro volta ne rappresentavano tante altre», sottolinea con orgoglio Antonio in apertura della nostra chiacchierata.
TURISMO OUTDOOR: UN MONDO ETEROGENEO
Non era scontato, ma «è andata molto bene in termini di sostanziale intesa fra tutti gli operatori, che sono diversi fra loro», assicura il presidente. «Noi del Club Alpino siamo un’anomalia perché fra tutti i presenti eravamo l’unica realtà costituita esclusivamente da volontari che nella vita fanno altro, ma anche chi lo fa di mestiere è mosso da una grande passione. Ed è stata proprio questa passione che ci ha portato a condividere le tante riflessioni scaturite dalla due giorni».
Quello dei cammini e del turismo outdoor in generale è un settore relativamente giovane – «esiste da una ventina d’anni in maniera strutturata», precisa Antonio Montani – ma le aspettative sono molto alte e sono confermate dai trend di crescita degli ultimi anni – secondo un sondaggio dell’osservatorio Human Company lo scarto in positivo fra il 2023 e il 2022 è del 2%. In questo scenario di prospettive incoraggianti rimangono comunque degli aggiustamenti da fare.
«Un aspetto che emerso con forza è che non c’è ancora pieno accordo sulla definizione di “cammino”. Bisogna partire dall’interrogarsi su cos’è un cammino, perché non sempre ciò che viene definito sulla carta trova riscontro sul territorio», spiega Antonio, che si chiede: «Questo Governo ha riversato parecchi fondi, ma sono stati erogati in maniera opportuna? Quali sono i ritorni in termini di attività ed economia concreta?».
IL DIALOGO CON LE ISTITUZIONI
Uno degli obiettivi degli Stati Generali del turismo outdoor era quello di consolidare e ampliare il rapporto con i vari livelli del mondo istituzionale, dal Ministero del Turismo – che ha partecipato ai lavori con diversi rappresentanti – fino ai piccoli enti locali, passando per le Regioni – 14 quelle che hanno inviato i propri delegati.
«Il Ministero del Turismo era presente con una folta delegazione e una delle istanze emerse è stata la necessità di avere un osservatorio indipendente in grado di misurare gli esiti delle risorse erogate. È proprio ciò che manca oggi: un metodo scientifico di misurazione di presenze, fatturato, indotto e in generale ricadute sul territorio. Questo è necessario, ma oggi le uniche realtà che riescono a farlo sono le grande stazioni sciistiche, che però sono poco rappresentative». Antonio conferma che il ministro ha indetto un incontro per l’istituzione di un tavolo propedeutico all’osservatorio sul turismo outdoor.
LA SOSTENIBILITÀ NON È UN’OPZIONE
«Il turismo outdoor o è sostenibile o non è», afferma senza mezza misure il presidente Montani, sottolineando come questo concetto si declini in tre ambiti: quello ecologico, quello sociale e quello ambientale. Il discorso torna sul comparto sciistico, che rappresenta nell’immaginario collettivo il turismo montano per eccellenza. «Quello delle grandi stazioni sciistiche è un modello insostenibile; noi non vogliamo cancellarlo, ma bisogna pensare prioritariamente a un’alternativa. Se crediamo che rinnovando gli impianti di innevamento artificiale risolviamo tutto non abbiamo capito nulla!».
Antonio fa anche notare che in Italia si associa il turismo outdoor alla montagna e non se ne parla mai in riferimento ad altri tipi di territori. Ma in montagna spesso le cose vanno diversamente rispetto alla pianura: «L’economia montana si basa sulle piccole microeconomie locali ed esse sono qualcosa di “democratico”. Tuttavia, contrariamente a quanto avviene all’estero, in Italia quando arrivano tanti soldi per fare un’infrastruttura si genera un fenomeno di disgregazione sociale e chi ne beneficia è portato a perdere il senso di comunità tipicamente montano, mentre chi non ne beneficia ha degli atteggiamenti di contrasto che portano alla carenza di dialogo».
IL LAVORO SUL DISSESTO IDROGEOLOGICO
Uno degli output più interessanti degli Stati Generali del turismo outdoor è stato il lavoro svolto sui territori emiliano romagnoli colpiti dall’alluvione del maggio 2023: «È stata una sfida, ma in un mese siamo riusciti a consegnare un progetto con una ricognizione puntuale di tutti i dissesti causati dall’alluvione dello scorso anno sulla rete emiliano romagnola con un piano di intervento organico. La presidenza del consiglio dei ministri ha deciso di finanziarlo con 700mila euro, che ora dovremo allocare sui territori».
Ma il valore di questo percorso va oltre le ricadute più concrete, che pure saranno preziosissime per una regione che da più di un anno e mezzo è vittima di un inaccettabile immobilismo politico. «La cosa interessante – fa notare Antonio in proposito – è che questo finanziamento deriva dai fondi previsti per le infrastrutture. Questo vuol dire che di fatto il sentiero viene riconosciuto come infrastruttura ed è fantastico perché questo cambio di prospettiva inaugura nuovi scenari e nuove possibilità».
ACCESSIBILITÀ
L’accessibilità di cammini e sentieri e in generale dei territori in cui si pratica il turismo outdoor alle persone con disabilità motorie è uno dei temi che ha fatto più discutere. «Oggi “rendere accessibile la montagna” è un concetto collegato quasi esclusivamente ad azioni come il rinnovamento degli impianti di risalita, ma il nostro concetto di accessibilità e inclusività è diverso e molto più ampio», sottolinea Antonio Montani.
Il presidente ricorre a un esempio per spiegare meglio il concetto: «Anni fa in Val di Mello si decise di realizzare un sentiero accessibile e per farlo venne semplicemente mandata una ruspa a spianare la strada. Questa però è una modalità che non ha nulla a che fare con l’accessibilità e non è accettata dalle persone che frequentano i cammini, prime fra tutte quelle con disabilità motorie». L’alternativa è «andare a cercare quei luoghi che sono già accessibili: se c’è un ostacolo bisogna creare delle alternative».
Ma come? «Serve un grande lavoro di ricognizione, poiché siamo convinti che buona parte dei percorsi allo stato naturale sia accessibile: se ci sono dei passaggi non percorribili da persone con disabilità motorie basta trovare un tracciato alternativo, che quasi sempre esiste. Però non si può lasciare quest’onere a chi ha l’esigenza specifica, dobbiamo prenderlo in carico noi e lo facciamo tramite delle griglie e degli strumenti di mappatura. Il sogno è avere una mappa dei sentieri accessibili e livello nazionale, senza dimenticare il discorso dell’accessibilità delle infrastrutture, come i rifugi e gli impianti».
UNO SGUARDO AL FUTURO
La mia chiacchierata con il presidente del CAI Antonio Montani si conclude con uno sguardo verso l’immediato futuro. Come spesso accade, l’incognita maggiore sono i fondi, non solo la loro consistenza ma anche le modalità attraverso cui essi vengono erogati. «Quello che serve è un coordinamento, la sua mancanza è un problema strutturale per quanto riguarda le competenze delegate alle Regioni, come il turismo», osserva Antonio in conclusione.
«Ciò che è emerso è la necessità di dare ai Comuni fondi dedicati, abbiamo parlato a lungo della manutenzione – che è la principale spesa strutturale – sottolineando ancora una volta come sia necessario seguire la strada del “no” a sentieri nuovi e “sì” alla manutenzione e al ripristino. E se è vero che il sentiero è un bene pubblico – e le riflessioni scaturite durante i lavori degli Stati Generali del turismo outdoor concordano su questo – allora se ne deve fare carico l’amministrazione».
Per commentare gli articoli abbonati a Italia che Cambia oppure accedi, se hai già sottoscritto un abbonamento