Speculazione energetica: perché i mega-impianti non sono “solo un problema estetico”
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Forse la bugia (fàula) più grossa che è stata detta in questi mesi sulla mobilitazione sarda contro la speculazione energetica – cioè il rischio che grandi multinazionali dell’energia sfruttino la Sardegna come “serbatoio” per poi rivendere quanto prodotto fuori dall’Isola, secondo una logica predatoria – è che gli impianti di produzione di energia rinnovabile proveniente da eolico o fotovoltaico abbiano prevalentemente un impatto estetico, sul paesaggio.
Una premessa: l’impatto visivo è certamente un aspetto della realizzazione di questi impianti che preoccupa le comunità mobilitate contro i mega-progetti, fosse anche solo perché il più intuitivo, soprattutto per quanto riguarda le pale eoliche. Ma attenzione, perché un focus esclusivo sulla preoccupazione estetica può portare facilmente a raccontare i sardi come un popolo di egoisti, che si preoccupano per la bellezza del proprio territorio quando il mondo intero va in fiamme.
Se si trattasse di una questione meramente estetica, tutto si potrebbe ridurre a un dibattito tra chi ritiene che gli impianti siano “brutti” e chi invece li trova “belli”. Solo alimentando questa narrazione sono concepibili storture come il progetto “Parchi del vento” di Legambiente, una guida realizzata per delineare itinerari turistici dentro e intorno ai parchi eolici, usando gli impianti come attrattori di un turismo spendibile tra le bellezze del territorio. In questo modo le pale eoliche non sono più raccontate come un’alterità rispetto al luogo in cui sono inserite, ma diventano un elemento peculiare dello stesso – emozionante, emotivo, evocativo – qualcosa che aggiunge… in particolare al paesaggio.
Questa manipolazione del modo in cui i mega-impianti vengono raccontati è una pratica piuttosto diffusa nel panorama della speculazione energetica globale. Studi accademici che spaziano dalla Catalogna al Messico hanno già osservato che le multinazionali delle rinnovabili, per acquisire consensi, tendono a descrivere i territori in cui vogliono realizzare gli impianti come privi di valore, marginali e dimenticati: luoghi a cui i mega-parchi restituirebbero o aggiungerebbero valore. Ovviamente, si parla di valore economico.
Manipolando a piacimento la questione dell’estetica – “ma sai che queste pale in fondo le trovo belle?”, si sente commentare – si può arrivare a dire che i mega-impianti di produzione di energia rinnovabile aggiungono esteticamente al paesaggio: se non bellezza, comunque un qualcosa – quel “non so che”, fosse anche solo in termini di visibilità – che può essere spendibile nel mercato turistico.
SPECULAZIONE ENERGETICA: LE ISTANZE DEL MOVIMENTO SARDO
Per comprendere davvero la mobilitazione popolare che da mesi sta scuotendo la Sardegna contro la speculazione energetica, dobbiamo sì prestare attenzione alla preoccupazione che i mega-impianti alterino negativamente l’aspetto del paesaggio sardo, ma questa va messa sul tavolo insieme a tutte le altre istanze del movimento. Perché sono istanze serie e non possono essere sminuite come un mero capriccio tra brutto e bello.
Innanzitutto, anche l’impatto visivo degli impianti non è una questione esclusivamente estetica: ciò è piuttosto chiaro in alcuni strumenti legislativi, come la Valutazione di Impatto Ambientale (VIA), cui i progetti devono essere sottoposti prima della loro approvazione. Capita spesso di sentir dire che la tutela del paesaggio non dovrebbe sovrastare quella dell’ambiente. Eppure, la Norme in materia ambientale (d.lgs. n. 152/2006) che disciplinano la VIA definiscono come “impatto ambientale” qualsiasi effetto significativo tanto sulla biodiversità e sul territorio – suolo, acqua, aria – quanto sul “patrimonio culturale” e sul “paesaggio”, così come sull’interazione tra tutti questi fattori.
Questo ci dice innanzitutto che, quando parliamo di ambiente e di danno ambientale non intendiamo solo la natura, ma anche la componente antropica di un luogo. Le popolazioni umane che abitano i territori sono da tutelare quando se ne progetta la trasformazione, tanto più quando si parla di mega impianti. La mobilitazione sarda contro la speculazione energetica è importantissima perché sta mostrando le contraddizioni delle attuali politiche green: che transizione rispettosa di un territorio possiamo pensare se questa non include le popolazioni che lo abitano?
IL TERRITORIO CHE FA IL POPOLO
Il paesaggio della Sardegna, per le sarde e i sardi, non è una questione meramente estetica. Studi recenti mostrano che il territorio sardo è un elemento fondamentale della nostra identità come popolo, più di altri fattori identitari come la lingua, le tradizioni, persino i legami affettivi e famigliari. Evidentemente un’alterazione del paesaggio non può che essere percepita come una minaccia anche all’identità sarda. Questo danno è vissuto con un senso storico di espropriazione, ultimo atto di un fenomeno storico di saccheggio ed esportazione delle risorse sarde da parte di poteri esterni, in particolare le istituzioni nazionali.
Questa non è demagogia: non è strano né è una novità che le necessità e le istanze della popolazione sarda siano passate in secondo, se non in terzo piano nel quadro dell’agenda nazionale. Le sarde e i sardi non sono riconosciuti dalle istituzioni dello Stato italiano come un “popolo” che ha diritto all’autodeterminazione, a decidere i propri modi di vita nelle proprie terre. Il territorio sardo è gestito come territorio nazionale e le risorse sarde come appartenenti prima di tutto alla nazione, non ai sardi. Solo secondo questa logica è possibile volgere alla Sardegna delle critiche per la mancata volontà di fare la sua parte nell’interesse della Nazione.
In questo modo le istanze della mobilitazione sarda contro la speculazione energetica possono essere sminuite anche da tanta parte della classe politica sarda. Preoccupazioni che nascono da una realtà quotidiana di vita nel territorio, articolata in un’esperienza che interessa la percezione sensoriale – il vedere, il toccare, il sentire – e mille altre – l’emotività, la razionalità, la complessità dell’esperienza umana – sono sminuite e considerate di poco conto o al massimo come una questione di danno al settore turistico.
Lo si legge ad esempio nelle parole del ministro degli Affari Esteri Antonio Tajani: “Bisogna soltanto impedire che un numero smisurato di pale eoliche possa danneggiare l’immagine della Sardegna di fronte ai turisti”. In altri termini “bisogna farle al largo” e “soltanto nelle aree interne. Non possiamo mettere di fronte a Porto Rotondo un gruppo di pale eoliche”. A pochi sembra importare il dolore di chi nasce, cresce, vive in un luogo, radicandovi delle memorie che sono fondamentali per la sua persona e la sua identità – individuale così come famigliare, amicale, di paese, etnica – e vede quel mondo stravolto, impotente nell’impedirlo.
“QUESTA NON È TRANSIZIONE MA SPECULAZIONE ENERGETICA“
Tutti i paesaggi sono culturali: sembrerebbe un fatto universalmente riconosciuto, da quando l’UNESCO ha introdotto il concetto. Eppure i cultural landscapes dell’UNESCO sono solo luoghi di eccezionale bellezza ed emblematicità: che riconoscimento ottengono invece i luoghi ordinari, pieni di significato e valore, paesaggi della vita quotidiana di ognuno? L’alterazione tra persone e territorio in Sardegna va ben oltre l’impatto visivo.
Durante la mia ricerca sul campo a Villanovaforru, paese della Marmilla da anni impegnato contro la speculazione energetica, mi aveva colpito come il problema della visibilità degli impianti venisse raramente menzionato dalla popolazione, pur essendo molto presente negli articoli di giornale. Si parlava invece di impossibilità di mantenere le pratiche tradizionali – in particolare l’agricoltura – o di avviare progetti di sostenibilità intorno ad attività più recenti, come il turismo, a causa dei mega-impianti o della minaccia dell’esproprio dei terreni. Si menzionava l’impatto acustico: il rumore delle pale eoliche, continuo e ripetuto, che altera il modo in cui le persone stanno e interagiscono con il territorio, in particolare con la campagna.
Ma allora, se manca il rispetto per il territorio e coloro che lo abitano, possiamo davvero parlare di transizione energetica? I comitati sardi sono chiarissimi su questo punto: non è in corso una transizione, ma una speculazione energetica, dove l’urgenza di mettere in campo politiche green è usata come l’ennesima occasione per generare profitto a vantaggio di pochi. È solo ascoltando le voci della popolazione locale che si può vedere l’alterazione profonda del territorio e l’impatto ambientale di progetti altrimenti presentati come sostenibili.
È in corso un conflitto di autorità riguardo alle scelte d’uso del territorio: i sardi stanno di fatto combattendo con le istituzioni per esercitare il diritto di decidere rispetto alla gestione delle terre che abitano. Evidentemente non è una questione solo estetica, ma anche profondamente identitaria e culturale, oltre che politica, che investe il rapporto di vita tra persone e luoghi e il ruolo fondamentale di questo rapporto per il benessere di chi li abita.
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