La Slovenia, la NATO e il movimento pacifista: facciamo il punto con Aurelio Juri
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Aurelio Juri – 75 anni, di Capodistria – è un membro della comunità nazionale italiana in Slovenia. Da quindici anni in pensione dopo quasi venti di giornalismo a Radio e TV Capodistria e altrettanti di politica a tempo pieno – sindaco, parlamentare nazionale ed europeo –, Juri è attento soprattutto ai temi internazionali, della politica estera, dei diritti umani e delle minoranze nazionali, nonché dell’ambiente, votato al pacifismo e alla nonviolenza. A lui abbiamo chiesto una lettura dei principali avvenimenti che stanno scuotendo il mondo in questi giorni, dalle elezioni americane alla mobilitazione della galassia pacifista contro le guerre in corso.
Una tua considerazione sulla nuova ascesa alla Casa Bianca di Trump.
Mi si passi una briciola di maleducazione che di tanto in tanto vien bene per dar sfogo a quanto ti tieni dentro e che peraltro non dovrebbe scandalizzare nessuno dopo quanto sentito nella campagna elettorale per le presidenziali in America, soprattutto dalla bocca stravincente di Donald Trump.
Se tanta cafoneria la si concede all’alta carica di un capo di stato, per altro dello stato più potente al mondo, perché non a un povero mortale sul viale del tramonto, desideroso solo di percorrerlo in pace? E la ragione di tale richiesta è che costui vuol esprimere un giudizio un tantino più diretto, spontaneo e saporito nei confronti di chi oggi ne condiziona la vita, le aspettative, le sorti, sua e dei suoi nipoti e lo fa in malo modo.
Come si inserisce questa elezioni nello scacchiere geopolitico europeo, in particolare rispetto alla guerra in Ucraina?
Nelle settimane scorse, al cambio della guardia alla guida della NATO, sentendo il nuovo segretario generale Mark Rutte, promettere all’Ucraina un percorso certo e rapido verso la piena adesione all’Alleanza atlantica, mi son chiesto: ma è mai possibile che oltre due anni e mezzo di guerra, decine di migliaia di morti, danni stimati a 120 miliardi di euro, milioni di ucraini espatriati, il rischio di un’escalation atomica e rapporti col vicino dirimpettaio più forzuto pregiudicati forse per decenni, non abbiano fatto scuola? bisogna esser proprio idioti – mi son detto ancora – per non capire le ragioni che hanno fatto scattare la furia di Putin.
Quali sono gli accordi che aveva richiesto Putin agli Stati Uniti?
Prima che ciò accadesse – ricordiamolo – il capo del Cremlino aveva chiesto a Stati Uniti e NATO due cose: garanzie di sicurezza per il proprio paese – sostanzialmente che l’Alleanza atlantica, nella sua corsa europea verso la Federazione russa, si fermasse ai confini ucraini – e l’implementazione degli accordi di Minsk del 2014/15 sull’assegnazione di una certa autonomia alle province ucraine di Donetsk e Lugansk, con consistente presenza di popolazione russa autoctona. Gli si poteva rispondere almeno con un “sediamoci e discutiamone”. Probabilmente la guerra si sarebbe evitata. E invece Stoltenberg, predecessore di Rutte, ha detto che “ogni paese sovrano ha il diritto di scegliere con chi stare” e che “la NATO tiene le porte aperte”.
Parliamo di pacifismo: anche la Slovenia, a Lubiana, ha assistito al passaggio della Marcia Mondiale per la pace e la nonviolenza?
Sabato 16 novembre, Lubiana, la capitale della Slovenia, ha dato il proprio benvenuto alla Terza Marcia mondiale per la pace e la nonviolenza e l’ha fatto con un raduno pacifista in Piazza France Prešeren, la più piccola nel cuore della città, ma dal nome importante di colui – chiamiamolo “il Dante sloveno” – che nel 1844 scrisse la Zdravljica, cioè “Il brindisi”, una poesia in otto strofe di cui la prima e la settima compongono l’inno nazionale. Con questi versi Prešeren intendeva non solo esaltare la Slovenia, ma anche brindare a tutti i popoli del mondo, a quando – superati odi e guerre – avrebbero visto in quelli confinanti non più “il diavolo”, ovvero il nemico, ma il buon vicino di casa.
Che eco ha avuto questo evento sui media?
Sono state rare le apparizioni di qualche esponente pacifista – e abbiamo nomi importanti, fra cui due ex capi dello Stato, Milan Kučan e Danilo Türk, oltre a molti accademici – nei confronti televisivi sulle ragioni, le colpe e le prospettive di soluzione dei conflitti in atto. Qualche minuto nei telegiornali e la pubblicazione di qualche lettera nelle apposite rubriche della stampa. È tutto qua lo spazio “elargito” al pacifismo o comunque a chiunque abbia solo pensato ad alta voce che i “cattivi” non fossero solo Putin e Hamas.
Fra loro ci sei anche tu, con riflessioni sulle guerre, in particolare quelle che hanno più eco sui media al momento.
Avrò scritti un centinaio e più di riflessioni, appunti, analisi, commenti sulle ragioni e le responsabilità dello scontro sempre più segnatamente russo-americano sul territorio ucraino e sull’eccidio-genocidio di Israele sul popolo palestinese. E al centro delle mie denunce i doppi pesi e le doppie misure dell’Occidente, classe politica slovena compresa, nell’affrontare i due drammi. Non mi stanco di ricordare come in un terzo della durata della guerra in Ucraina Netanyahu abbia ucciso a Gaza 4 volte più civili e 7 volte più bambini di quanto sia imputabile a Putin a spese degli ucraini, ma nei confronti del Governo israeliano ancora nessuna sanzione, anzi lo si continua ad armare.
Recitano ipocrisia a tutto spiano i richiami del presidente americano uscente, Biden e del suo segretario di stato Blinken a Netanyahu a stare un tantino più attento alla popolazione civile e a consentirle l’assistenza umanitaria, mentre allo stesso tempo gli promettono altri 20 miliardi di dollari in caccia, bombardieri, missili, carrarmati, blindati, navi, munizioni e via dicendo.
Quanto di buono ha fatto per i palestinesi il tuo paese in quest’ultimo anno anche in qualità tua di membro provvisorio del Consiglio di sicurezza dell’ONU?
È stato riconoscerne finalmente lo Stato, fornir loro aiuti umanitari e redarguire, per bocca del premier Golob all’Assemblea generale, Netanyahu di finirla col massacro.
Perché non è sufficiente tutto questo?
È mancato, ahimè, il coraggio di dirgliene un paio, con tutta la gentilezza possibile, anche alla Casa Bianca. Negli appelli che lanciamo al governo, alle forze politiche e all’opinione pubblica vi è anche quello a uscire alla NATO – io mi dichiarai contrario all’ingresso già al referendum del 2003 – e alla proclamazione di una neutralità, sì armata, ma nei minimi termini, che si faccia interprete in terra europea dei principi del non allineamento. La Jugoslavia ne fu la guida, la Slovenia ne potrebbe essere un valido erede.
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