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Il luogo è un elemento fondamentale per l’identità personale e collettiva: la cultura non riesce a prescindere dalla sua connotazione locale, soprattutto in società di origini semplici a radicamento agro-pastorale. In questi contesti il paesaggio assume un ruolo centrale attorno al quale inserire categorie strutturali che delineano uno sguardo complessivo di reciproca appartenenza. Nelle isole il fenomeno è ancora più evidente grazie alla circoscrizione naturale. Ma nella nostra Isola, in questo momento di crisi legata alla speculazione energetica e alle contraddizioni del sistema democratico, assume caratteristiche predominanti.
IDENTITÀ E TERRA
All’interno di un contesto isolano, la simbolizzazione di sangue e radici è fisiologicamente rilevabile ed è molto forte. I cognomi tipici della nostra cultura – che in lingua sarda si chiamano Sangunau, con chiaro riferimento proprio alla genetica – frequentemente si ispirano a riferimento di elementi naturali. A noi studiose di simbologia e operatrici tradizionali piace credere che indichino la funzione esoterica e sociale, ma soprattutto il talento, Su Donu che ogni albero genealogico tramanda di generazione in generazione, certe volte in modo cosciente ma spessissimo in modo del tutto inconsapevole.
Un po’ potrebbe ricollegarsi al concetto di costante resistenziale sarda, che per forza culturale centripeta tende a conservare le energie verso l’interno, ma non si può non prendere in considerazione la grande dicotomia tra interno e coste. Se all’interno il radicamento è collegabile alle vocazioni agropastorali, sulle coste è reso apparentemente più blando dall’urbanizzazione, dalla cultura italiana egemone e dalla multiculturalità post globalizzazione. Al centro o sulle coste, in ogni caso e in modo irrimediabile, la tradizionalità si basa sulla simpatia naturale, e gli elementi magico-religiosi sono sempre collegati alla ciclità degli elementi naturali: agli alberi, alle erbe officinali, agli animali e quindi a sangue e terra.
SU LOGU, L’APPARTENENZA RECIPROCA
In lingua sarda adoriamo problematizzare la realtà, tanto che Su logu – il luogo – non indica solo lo spazio fisico che l’etnia sarda occupa, ma anche il rapporto di profondo radicamento tra le popolazioni sarde e i territori a cui appartengono e che gli appartengono. Chi tra noi ora non ha pensato alla Carta de Logu, la raccolta di leggi in lingua sarda destinata ai Giudicati sardi, mente. In questo senso di reciproca identità, su logu miu – il mio territorio – è da identificare come la regione storica in cui i miei antenati si son radicati per generazioni oppure il villaggio in cui son cresciuta o anche il luogo in cui ho deciso di piantare il mio seme che diverrà albero.
Tutto dipende da chi pone la domanda usando questo termine. Potrei chiedere a un barbaricino “Ita novas in logu tuu? – Che novità ci sono nel tuo luogo?”, e in base al grado di confidenza tra noi saprebbe se mi riferisco ai suoi terreni, al suo villaggio o alla sua regione storica. Ma che diverrebbe più chiaro se dicessi “Ita contant in logu de osatrus? – Cosa si racconta nei vostri luoghi?”.
La risposta sarebbe con grande probabilità di stampo sociale, raccontando le difficoltà naturali del ciclo annuale e aggiungendo i disservizi e i problemi economici moderni. Se dovessi nominare su logu nostu – la nostra terra, invece è più probabile che mi riferisca all’intera Isola intesa come Grande Madre, la nostra nazione. Il paesaggio diventa corpo di emozioni identitarie personali, collettive, condivise, violate e manipolate ma difficilmente represse.
GLOBALIZZAZIONE DERADICANTE
Il mondo del nuovo millennio che tutte le generazioni stanno vivendo in questo momento storico è un mondo ormai liquido e sradicato che teme il concetto stesso d’identità, quasi fosse una categoria lapidaria che impedisca il fisiologico divenire personale e culturale. L’antropologo Marc Augè ha coniato il termine “non-luogo” in contrapposizione ai luoghi antropologici di cui è espressione privilegiata il paesaggio. Il non-luogo invece è un luogo di passaggio, senza identità e caratterizzazione: luoghi per vendere e comprare, luoghi per comunicare in cui l’individuo non è membro di un gruppo, ma utente di un servizio e mero medium comunicativo.
Riporta esempi come i centri commerciali, le stazioni, gli aeroporti, ma io aggiungerei altre due categorie fondamentali in questo delirio post moderno. Il primo è senza dubbio il web, che ormai è diventato patrimonio di tutta l’umanità e incarna in ogni aspetto il non-luogo per eccellenza al punto di aver creato una meta-realtà. Il primo sito web italiano nasce da una ricerca sarda probabilmente perché siamo un popolo che sa sognare forte. Ma c’è da dire che gli stessi sogni sono spesso stati tramutati in incubi quando Su Logu è stato oggetto di urbanizzazione o industrializzazione forzata.
Scardinando i meccanismi di radicamento territoriale con relativa deturpazione dei paesaggi, ci ritroviamo eredi di territori devastati, inquinati, non abitati: non-luogo. Non luoghi sono le miniere abbandonate e le cave dismesse, non luoghi sono le cattedrali nel deserto di rovelliana memoria, non luoghi sono i poligoni militari, non luoghi sono le località marittime di lusso e oggi non luoghi sono però anche i parchi eolici e fotovoltaici. Parlando de Logu miu, la zona industriale di Perd’ e Cuaddu in Sarcidano è un non-luogo, e aspetto con grande piacere che qualcuno mi smentisca.
ORRORE DEL NON-LUOGO E TRANSIZIONE ENERGETICA
Alla luce delle affermazioni del paragrafo precedente, è evidente che ciò che smuove corpi, menti, animi e spiriti sardi in questo impegnativo e pregnante dibattito sulla speculazione energetica [maggiori informazioni in merito qui NDR] è l’orrore verso la trasformazione della Sardegna intera in un non-luogo istituzionalizzato. A causa della devastazione del territorio sulcitano a scopo minerario, si è reso un non-luogo una regione meravigliosa e antichissima. A causa di decenni e decenni di occupazione militare straniera, si son resi i selvaggi e energetici territori del Salto di Quirra un non-luogo.
La costa smeralda intesa come complesso turistico è un non-luogo, forse un parco giochi mediterraneo, ma di certo fatica a esprimere l’identità dello splendido popolo gallurese che tentano di relegare e addomesticare, con fatica. Sarà un non-luogo il Thirrenian Link come stanno trasformando in un non-luogo Uta tra parchi eolici, fotovoltaici e altre amenità. Per dirla alla Ernesto De Martino, padre di tutti gli antropologi nostrani: il popolo sardo è in piena crisi della presenza. Annusiamo tutto l’orrore della morte della nostra sorgente identitaria, viviamo nel terrore di non poter esistere più come popolo, fagocitati dall’anomia della forza bruta della speculazione e del landgrabbing.
Quando un popolo ha paura di non poter continuare a esistere e si vede decimato e derubato della propria anima di solito si parla di genocidio, ma in questo mondo orwelliano duepiùdue fa cinque – Gaza docet. Ad ogni modo, pare che alla crisi della presenza l’essere umano risponda col pensiero magico. Per quanto bistrattato dalla deriva iper-razionalista della logica predatoria, il pensiero magico-religioso, grazie alla terra, in Sardegna ancora cresce florido e forte protetto dalle sue Janas e Cogas. Che ogni sardo si senta chiamato in causa, ora.
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