Gli sguardi delle donne vittime di violenza ci parlano della relazione tra maltrattante e maltrattata
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Genova - In Italia circa il 31% delle donne tra 16 e 70 anni – parliamo di 6 milioni e 788mila donne, dice l’ISTAT – ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Questo dato complessivo, seppur angosciante, in realtà non considera episodi di violenza più sottili, meno conosciuti e per questo molte volte sottovalutati: dal controllo del cellulare ai tentativi di isolamento dagli affetti, passando per la limitazione all’autonomia economica e le continue richieste di informare immediatamente il partner per ogni variazione sulla routine della giornata, come il fermarsi a fare due chiacchiere con i colleghi dopo il lavoro.
Forse però l’enorme vastità di casi di violenza che toccano tutti e tutte noi più o meno direttamente è la leva che sta portando a un aumento di consapevolezza collettiva, come riscontrato dalle volontarie che operano nei centri antiviolenza di Genova. Da inizio anno sono state registrate quasi 500 telefonate al centro Per non subire violenza, 65 in più rispetto al 2023.
Dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin, che ha toccato nel profondo le coscienze di moltissime persone, ora sono sempre più numerose le amiche o i familiari della vittima che si attivano concretamente per supportare la donna in pericolo. C’è poi un dato sommerso, quello di tutte le donne che non hanno ancora avuto il coraggio di denunciare. Per riuscire a convincere anche loro, nei bagni di tanti teatri e cinema genovesi si stanno affiggendo pannelli con i numeri di riferimento dei centri antiviolenza e un esplicito invito a contattarli per chiedere aiuto.
Oggi, nella giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, nel capoluogo ligure sono in programma in ogni municipio tantissimi eventi che vogliono coinvolgere persone di tutte le età su un fenomeno che ci riguarda tutti. Tra le tante iniziative anche quest’anno si terrà Apnea, la mostra dell’artista Irene Tamagnone, che di anno in anno espone i suoi acquerelli che ritraggono proprio gli sguardi delle donne vittime di violenza – ve ne abbiamo parlato qui.
La mostra inaugura oggi pomeriggio a Sestri Ponente, nello studio d’arte del pittore Lorenzo Massobrio, in via D’Andrade 103 rosso, un luogo che sta diventando un punto di riferimento culturale in questo quartiere del ponente. Il giorno del finissage poi – il 30 novembre alle 17:30 – è previsto un dialogo tra Irene Tamagnone e la psicoterapeuta Nadia Porfido proprio sul tema della violenza di genere.
SGUARDO SPAVENTATO E SPAVENTANTE: COME LA VIOLENZA SI INTRECCIA CON L’ATTACCAMENTO
«La tematica della violenza sulle donne è molto vicina alla mia professione di psicologa nel servizio sociale, dove mi occupo anche di tutela di minori», spiega Nadia Porfido, che oltre a lavorare privatamente come psicologa e psicoterapeuta, fa parte dell’equipe di uno degli Ambiti Territoriali Sociali di Genova, che forniscono un servizio di accoglienza, ascolto, consulenza e orientamento.
«La violenza sulle donne infatti spesso coincide con la “violenza assistita”, quindi indiretta, nella quale si è spettatori di isolati o ripetuti episodi di maltrattamento perpetrati nei confronti di una persona cara. Di conseguenza la violenza sulle donne riguarda anche il maltrattamento dei minorenni. Anche se si parla quasi sempre di violenza contro le donne – puntualizza – il fenomeno può essere ovviamente visto specularmente, anche se la statistica dice che molto più si parla di femminicidio».
Ciò su cui è importante puntare i riflettori, secondo la psicologa, è che la violenza di genere è un fenomeno trasversale che riguarda tutti e tutte, al di là dell’età, del livello d’istruzione e del contesto sociale, economico e culturale di cui si fa parte. «Chiunque si può imbattere in relazioni violente che molto spesso hanno a che fare con il modello di attaccamento precedentemente appreso e sperimentato», sottolinea Porfido. «Gli sguardi colti dall’illustratrice sono sguardi di donne spaventate ma anche, come spesso succede, spaventanti, perché ci connettono alle tante diverse emozioni che hanno vissuto: paura, terrore, angoscia, senso di impotenza».
In che senso i maltrattamenti e le violenze hanno a che fare con la teoria dell’attaccamento? «Lo sguardo del caregiver, della madre ad esempio, è quello attraverso il quale si crea il ritmo della comunicazione con il proprio bambino. Una mamma che allatta il proprio piccolo dovrebbe essere collegata con lui anche attraverso lo sguardo, capace di regolare e sostenere la relazione. Il figlio si vede e si riconosce attraverso gli occhi e lo sguardo della mamma. Ci sono diversi tipi di attaccamenti, in quelli disorganizzati (Main, Solomon, 1986), caratterizzati da una certa instabilità emotiva, il caregiver assume comportamenti che disorientano i figli, i quali in età adulta possono sperimentare molte difficoltà nelle loro relazioni.
«Ecco perché gli occhi immortalati dall’illustratrice, che si è soffermata proprio su questo dettaglio, aprono a tematiche più ampie, dall’importanza dello sguardo e dell’essere visti all’essere “controllati a vista”, dal guardare all’osservare». Una prospettiva quindi che lega a doppia mandata il maltrattante con il maltrattato, che appaiono così il rovescio della stessa medaglia, e al tempo stesso rende anche ben visibili le conseguenze non solo nell’oggi ma anche nel domani del frutto della relazione tossica tra maltrattante e maltrattata.
«Una donna che subisce violenza nell’arco di una relazione potrebbe attivare con i figli un attaccamento disorganizzato, che può essere il modello che a sua volta ha sperimentato durante l’infanzia: l’atteggiamento della mamma è caratterizzato da una certa imprevedibilità, mostrandosi a volte accogliente, altre volte disinteressata e trascurante, dimostrando in generale una certa incapacità di stare dentro alla relazione», evidenzia Porfido.
«La donna che subisce violenza è chiaramente spaventata e il suo sguardo – come si osserva nelle opere di Irene – è anche spaventante, è disorganizzata a livello emotivo ed è incapace di esprimere sicurezza e calma, che è ciò invece di cui abbiamo bisogno come esseri umani per stare bene». Una volta mi è capitato di leggere una frase che trovo ora molto calzante: “La violenza è una mancanza di vocabolario”. Entrare realmente in contatto con queste emozioni allora non può far altro che rendere più consapevole chi guarda a un livello più profondo e senza la retorica dei tanti giri di parole che si affollano in ogni ricorrenza come questa.
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