19 Nov 2024

CereAMO: per mangiar bene dobbiamo “tornare indietro” di 80 anni

Scritto da: Benedetta Torsello
Intervista di: Paolo Cignini

Nato da una ricerca costante di colture resilienti e ricche di sostanze nutritive, CereAMO combina innovazione al recupero di saperi antichi, cereali da riscoprire e tradizioni agricole da ravvivare.

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Bologna, Emilia-Romagna - Sin da ragazzo Enrico Capurro, fondatore di CereAMO, ha sempre coltivato un legame profondo con la terra. Difficile dimenticare quando a soli quattordici anni, insieme al suo migliore amico, guidava il trattore nei campi aiutando le aziende agricole del circondario nei periodi di semina e raccolto. «Studiare agraria – racconta – è stato il naturale proseguimento di questo amore a prima vista, accompagnato da un grande rispetto per ogni dono della terra», ricorda.

UN PASSO INDIETRO LUNGO OTTANT’ANNI

CereAMO nasce l’anno scorso come spin off di Bethical Hemp srl, una startup innovativa specializzata nella ricerca nel mondo della canapa, un alimento ricchissimo di nutrienti. Perito agrario e imprenditore, da oltre dieci anni Enrico Capurro si dedica alle ricerche in questo ambito, oggi affiancato anche da suo nipote Matteo Marani. «In particolare sull’estrazione dei cannabinoidi e sul potenziale nutrizionale della canapa, in primis dei suoi semi e dei fiori».

CereAMO
Enrico Capurro (a sinistra) insieme a Paolo Cignini (a destra), Presidente dell’APS di Italia Che Cambia

Quando si parla di tavola e nutrimento, Enrico Capurro non ha dubbi: «Occorre fare un passo indietro di circa ottant’anni e riportare sulla tavola degli italiani la qualità e i nutrienti di quelle colture abbandonate dall’industria».  CereAmo infatti è incentrata sul recupero della coltivazione di cereali antichi come il monococco, un grano primordiale con una quantità di glutine tollerabile rispetto ai grani moderni. E come il sorgo, un cereale antico della famiglia delle graminacee originario dell’Asia e poi diffusosi in Africa e Medio Oriente.

ALLA RISCOPERTA DEL SORGO

Uno degli obiettivi a cui sta lavorando CereAMO è proprio quello di diffondere la coltivazione del sorgo e produrre una serie di prodotti derivati dalla lavorazione di questo cereale, con una filiera esclusivamente italiana, da registrare al Ministero della Salute. Il sorgo infatti è naturalmente senza glutine e grazie alla sua composizione può essere usato per controllare il diabete, offrire un’opzione alimentare alle persone che soffrono di celiachia e migliorare la salute dell’apparato digerente e la densità delle ossa.

La terra è bassa e faticosa, ma tornare a custodirla è l’unico modo per costruire il futuro

Si tratta di un cereale altamente digeribile e facilmente assimilabile, che contiene importanti sali minerali come ferro, calcio, potassio e vitamine come la niacina (vitamina B3) e la vitamina E. Inoltre offre antiossidanti naturali come fitosteroli e flavonoidi, che contribuiscono ad abbassare l’incidenza di cancro, diabete e malattie cardiovascolari. Coltivare il sorgo potrebbe essere una scelta fondamentale per l’agricoltura di domani. Per le sue radici lunghe in grado di scendere in profondità e resistere a lunghi periodi siccitosi, è considerata una pianta cammello.

COLTIVARE CON CONSAPEVOLEZZA

Ma il progetto i CereAMO non si limita alla riscoperta di colture antiche. Ormai da anni Enrico Capurro porta avanti un percorso di consapevolezza e sensibilizzazione sul lavoro della terra. «Non smetterò mai di mettere in guardia gli agricoltori sul pericolo di ammalarsi loro stessi a causa di un uso smodato della chimica e di conseguenza le loro terre, anche per un eccesso di meccanizzazione e gestione sbagliata delle acque. Le colture resilienti vanno seminate, controllate, accarezzate e accolte. Si evitata l’entrata in campo dei trattori, l’aratura e si tornano a scavare i fossi affinché l’acqua possa essere drenata pian piano e non finisca immediatamente nei corsi d’acqua».

CereAMO

Il lavoro nei campi oggi è molto diverso da settanta o ottant’anni fa. Oggi i semi sono brevettati e ci si dedica di più a colture produttive, a discapito di quelle più nutrienti e utili alla nostra alimentazione. «Da agricoltore ti ritrovi nel laccio del lavoro e non sei più un agricoltore libero nella tua terra, ma dipendente dei consorzi. Si è creata una sorta distopia dell’arricchimento», sottolinea con amarezza l’ideatore di CereAMO.

Una riflessione sull’importanza della tutela dei suoli è inevitabilmente legata alle conseguenze generate da eventi climatici estremi come gli ultimi registrati nella stessa Emilia-Romagna. «Tutto nasce a monte, l’acqua – diceva mio nonno – non ha le ossa e va verso il basso per gravità», commenta Capurro. «La pianura padana è devastata dalla catastrofe che viene giù dalle colline. E invece bisognerebbe ritornare ad abitarle. Purtroppo sono stati costruiti dei paesi laddove sorgevano le casse di espansione. Abbiamo abbandonato non solo le colline, ma anche la saggezza dei nostri vecchi, che facevano allagare parti di campagna lasciando che l’acqua venisse assorbita dal terreno e tornasse in falda. Oggi quelle acque non sono più potabili come un tempo, purtroppo».

CereAMO
Il team di CereAMO

Sarebbe interessante, riflette Capurro, dare vita a un processo di ricostruzione storica dei paesaggi agricoli oggi stravolti, andando a recuperare le fotografie di qualche decina di anni fa: «Questo ci permetterebbe di vedere dove erano distribuiti i fossi e le colture. Si coltivavano le specie arboree con ampi spazi tra un filare e l’altro, dove trovavano posto le coltivazioni dei cereali. Oggi purtroppo non è solo il paesaggio a essere cambiato. Numerose patologie colpiscono le colture perché abbiamo eliminato gli antagonisti naturali, pensando di poterli sostituirli con quelli chimici. E questo ci ha portato solo a impoverire i suoli».

La soluzione forse è quella di ravvicinare le nuove generazioni alla cura della terra, delle colture antiche e di quei saperi che ancora oggi hanno molto da insegnarci. «La terra è bassa e faticosa – conclude Capurro – ma tornare a custodirla è l’unico modo per costruire il futuro. Non possiamo fare altro. La Terra se ci pensiamo ha oltre quattro miliardi di anni, noi al massimo potremmo viverne cento. Che pretesa abbiamo di cambiare le cose? Dovremmo chiedere il permesso per ogni albero tagliato». E se in prospettiva il nostro passaggio sulla Terra diventa infinitesimamente insignificante, ogni nostro gesto consapevole, seppur piccolo, può diventare rivoluzionario.

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