A Pollenzo si studia il cibo tra consapevolezza, piacere e conversione ecologica
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Cuneo - L’Italia è tra i paesi più conosciuti e apprezzati nel mondo anche per le eccellenze culinarie che raccontano un’identità e una storia senza confronti tra cibi tradizionali e sapori unici che rispecchiano i territori. Per contrastare una massificazione del panorama alimentare e salvaguardare questo straordinario patrimonio, a metà degli anni ‘80 è nato il movimento Slow Food. Già allora si sentiva l’esigenza di controvertere la forte industrializzazione dei processi produttivi dei cibi, la standardizzazione e l’omologazione delle tendenze alimentari globali.
Partendo da questi ideali – che hanno caratterizzato sempre il movimento – di riscoperta di una produzione di piccola scala, di una biodiversità alimentare e agricola, della necessità di un cibo buono al palato, ma anche a basso impatto per l’ambiente e remunerato bene per tutti gli attori della filiera, vent’anni fa Slow Food ha dato vita all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, un’università interamente dedicata al cibo. La prima in Italia e unica nel mondo.
Un percorso di studi che forma gastronomi capaci di conoscere tutta la filiera alimentare, dal campo alla tavola. Non un’università per imparare a cucinare, ma per studiare il cibo a 360 gradi. Agricoltura, zootecnia, microbiologia, chimica, fisica, economia, diritto, marketing, comunicazione, sociologia, antropologia sono gli ambiti e le materie approfondite per parlare di cibo, conoscerne l’identità, la cultura e la sua evoluzione insieme alle comunità che lo hanno prodotto e consumato.
«Siamo molto piccoli ma con una grande vocazione internazionale: la metà degli studenti proviene da paesi esteri. La nostra proposta formativa è costituita da un corso di laurea triennale, un corso di laurea magistrale, master residenziali, executive master e Hybrid Master in Local Food Policy. Siamo l’unica università al mondo legata al cibo. Pian piano negli anni questa sensibilità è cresciuta: parlare di cibo vuol dire affrontare e rendersi conto del modo in cui abitiamo il pianeta. Quasi 1 miliardo di persone è malnutrita o soffre di fame, 2 miliardi soffrono di obesità e sovrappeso. Di fatto, la metà del mondo ha problemi nella sua relazione con il cibo», racconta Rinaldo Rava, Vice Presidente UNISG.
Ed è per questo che a Pollenzo si punta a una speciale figura professionale: il gastronomo. Si tratta di una nuova generazione di operatori culturali in grado di conoscere, promuovere e valorizzare le diversità del cibo; di giovani imprenditori, manager e dirigenti che possono guidare i processi di riconversione dei sistemi alimentari lungo l’orizzonte della sostenibilità ambientale, culturale e sociale e dell’economia circolare; di esperti delle sovranità alimentari in grado di contribuire alla realizzazione di soluzioni volte a costruire sistemi alimentari partecipativi culturalmente appropriati.
La produzione alimentare è il comparto che produce più gas climalteranti, circa il 35% delle emissioni totali, ma è anche il primo a patire gli effetti dei cambiamenti climatici. La necessità di adattare i sistemi produttivi a un mondo e a un clima che cambiano rapidamente, di gestire la relazione tra una popolazione sempre più urbanizzata e sfamarla – entro il 2050 quasi il 75% della popolazione mondiale vivrà in città –, di garantire a tutta la popolazione un cibo di qualità e che non impatti e distrugga ulteriormente gli ecosistemi e i sistemi naturali, richiede risposte innovative e attuali oltre a un approccio multidisciplinare.
«Il nostro organico è costituito da giuristi, economisti, sociologi, fisici chimici, antropologi, tecnologi alimentari, agronomi. I nostri studenti intraprendono strade molto diverse, ma li accomuna una forte sensibilità a certi temi e la capacità di leggere questa complessità. Non esistono risposte semplici a questioni complesse e il dibattito sul cibo è tra i più complessi che l’umanità si trova ad affrontare».
«Le soluzioni ci sono, vengono già applicate, tante sono le esperienze fruttuose che intercettiamo a Pollenzo. Non abbiamo un approccio esclusivo, abbiamo una rete di aziende che fanno parte del network dell’Università, che sostengono la ricerca, che fanno progetti di sviluppo e innovazione e sono tra i principali player dell’agroalimentare che si stanno chiedendo come procedere. Cerchiamo di accompagnarli perché si rendono conto che il loro modello di business è a rischio», continua il Vice Presidente Rava.
Il progetto formativo dell’UNISG coniuga studio, pratica e viaggi didattici in tutto il mondo. Il 20% dei laureati riesce a fare impresa e i tassi di occupazione sono alti: molti sono diventati piccoli imprenditori, qualcuno porta avanti progetti sostenibili con ONG a livello locale o internazionale, altri insegnano in scuole o istituzioni e sono anche responsabili di progetti educativi in aziende. C’è anche chi lavora nella ristorazione con diversi ruoli: dal F&B manager allo chef al sommelier, o chi si è messo in proprio e lavora per diverse realtà. Inoltre Pollenzo, per quanto sia un piccolo borgo, è un generatore di idee e incontri che permette di creare e trovare risposte al complesso sistema alimentare.
«In vent’anni abbiamo creato una community di alunni che supera le 4000 unità. Si sono appena riuniti per creare un’associazione che, seppur indipendente, incarna la nostra visione che considera la gastronomia e le Scienze Gastronomiche come ambiti privilegiati per la comunione umana e culturale, nonché per l’innovazione e il progresso collettivo. Una rete propulsiva con giovani che provengono da 101 paesi del mondo, che promuove il networking professionale, incentiva la formazione continua e collabora strettamente con la nostra Università», continua Rinaldo Riva.
L’UNISG infatti mantiene nel tempo un contatto con i propri studenti, accompagnandoli nella ricerca e nell’evoluzione del loro percorso lavorativo. Sapere dell’esistenza di giovani professionisti con una formazione così variegata fa ben sperare per l’evoluzione dell’agroalimentare in Italia e non solo. Le scelte alimentari che compiamo possono diventare un’importante leva di cambiamento, sono necessari strumenti per investire e diventare protagonisti del nostro futuro tra consapevolezza, piacere e conversione ecologica, per affrontare le criticità che legano la vita degli individui al modo in cui il cibo viene prodotto, scelto e consumato.
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