In Sardegna non è Halloween, ma Is Animas, quando bambini e bambine chiedono doni per le anime
Seguici su:
Ogliastra - Sa die de Is Animas riempie i miei ricordi di una dolce nostalgia. In Ogliastra, la notte del 31 ottobre non andavo a fare “dolcetto o scherzetto”, ma mi mettevo comunque a letto presto perché sapevo che il giorno successivo mi aspettava una lunga giornata fatta di nuovi incontri, di esplorazione di quartieri del mio paese che normalmente non frequentavo o comunque non con i miei amici in piena libertà.
Is animas, nella mia esperienza, era la ricorrenza per cui il primo di novembre da bambini andavamo nelle case a bussare per chiedere, appunto, “is animas”. A quei tempi, devo esser onesta, non mi domandavo troppo su cosa significasse quella formula quasi magica attraverso la quale ottenevo dolcetti, frutta, e ogni leccornia. Solo in età più adulta mi venne spiegato che era un omaggio che si faceva in onore dei defunti. E, sempre da adulta, mi sono resa conto che anche fra adulti nello stesso giorno ci si scambia dei doni, generalmente il caffe, lo zucchero o dolci tipici.
IS ANIMAS, UNA GIORNATA DI LIBERTÀ
Come dicevo, la mattina del primo novembre mi svegliavo con un entusiasmo contagioso perché in quella ricorrenza i miei genitori – solitamente così apprensivi – mi concedevano la libertà di vagabondare per le strade del paese, a bussare alle porte per chiedere “le anime”.
La prima volta che ho partecipato avrò avuto circa quattro anni e ho memorie molto vaghe. Ricordo però di essere stata accompagnata da mio fratello Paolo e dai miei cugini Paola, Roberto e Francesco nel quartiere Santa Lucia, in cui vivevamo all’epoca. Loro erano più grandi di me, dunque potevo circolare in piena serenità, e insieme a loro anche io potevo far parte dei “grandi”. Le volte successive, dai cinque/ sei anni in poi, ci organizzavamo fra coetanei del vicinato o fra compagni di scuola. Mi sentivo come una protagonista del film “Ci hai rotto papà”, di cui talvolta intonavamo la colonna sonora.
Le strade si animavano di risate e urla di gioia dei bambini: il paese diventava nostro, in balia delle nostre piccole avventure. L’ordine delle cose era sovvertito: era il giorno in cui potevamo chiedere caramelle agli sconosciuti, che poi sconosciuti non erano, perché appunto compaesani, e ci veniva insegnato che la fiducia nella collettività poteva e doveva esistere.
La giornata iniziava con un raduno, generalmente in un luogo centrale: piazza Fra Locci, la chiesa di San Giuseppe a Monte Attu. Il gruppo non era necessariamente composto dagli amici di sempre, ma si aggiungevano amici di amici, cugini e cugine più piccoli, facendoci sentire responsabili, più grandi, sentendoci così protetti. Insomma, chiunque era il benvenuto. Si creava una sorta di piccola comunità autogestita di bambini. L’inizio era sempre timido: bussavamo con una certa apprensione, temendo di disturbare. Ma ben presto l’accoglienza calorosa degli adulti scioglieva le nostre esitazioni.
Ad ogni tappa una sorpresa: alcuni ci davano le caramelle, i cioccolati, altri frutta secca o i melograni, dolci sardi. Talvolta ci veniva dato anche qualcosa per fare merenda, da consumare nell’immediato, in modo da mantenerci in forze per il nostro pellegrinaggio. Da ciò si coglie come la comunità incoraggiasse l’avventura della giornata; infatti sebbene i protagonisti indiscussi fossimo noi bambini, dietro le quinte gli adulti si adoperavano per fare in modo che fossimo sicuri, liberi e felici.
UNA COMUNITÀ EDUCANTE AL RISPETTO E AI LEGAMI
Per pranzo mi dirigevo alla mia tappa preferita: nonna, nel centro storico. Nonna e zia Rosanna mi preparavano le mie pietanze preferite: pasta al ragù e fettine impanate. Il profumo del ragù si diffondeva nell’aria, un abbraccio caldo che mi accoglieva dopo la mattinata trascorsa a chiedere is animas. A casa di nonna, mi aspettavano anche i sacchetti preparati con amore da zia Severina e zia Angela. Aprendoli, si percepiva la premura con cui erano stati preparati: caramelle, cioccolatini scelti con cura e qualche banconota da mille lire. Nonna me le consegnava con grande felicità e mi diceva sempre che un buon vicinato può diventare famiglia. Ad oggi comprendo il calore di quei rapporti e di quelle parole.
Dopo aver pranzato e sistemato il bottino di Is Animas, ripartivo per la seconda parte della giornata, fino al tramonto. Era straordinario come il rispetto fosse innato tra noi: si sapeva a quali porte non suonare, chi viveva dolori o momenti di sofferenza. A volte da quelle case usciva qualcuno portando con sé un dono per noi, nonostante il fragile legame tra vita e morte, tra gioia e tristezza. A ripensare a quelle occasioni, in cui quei volti, segnati dalla vita, ci offrivano con generosità Is animas, mi commuove tuttora.
IS ANIMAS OGGI
Oggi, sebbene la tradizione continui, ciò che era la norma sembra ormai un’eccezione. Vedere dei bambini trotterellare senza supervisione di un adulto è sempre meno comune. A pensarci, il cambiamento è palpabile. I centri urbani crescono e la produttività diventa l’obiettivo supremo, non si ha quasi più tempo per conoscerci e i legami tra le persone sembrano assottigliarsi.
Non so se la tradizione delle anime continuerà a vivere nelle future generazioni Non ho risposte alle domande sulla sua eventuale continuità o scomparsa. Ciò che so è che quelle giornate sono rimaste impresse nella mia anima, sono stati momenti di autogestione che hanno insegnato empatia, fiducia in se stessi e nel prossimo, ma anche il significato di una comunità educante in cui ci si sente figli e figlie di tutti. E se un giorno ci troveremo a dover lasciar andare queste tradizioni, sarà nostro dovere crear nuove occasioni in cui potremo riunirci, conoscerci e ricostruire un legame autentico tra le persone.
Per commentare gli articoli abbonati a Italia che Cambia oppure accedi, se hai già sottoscritto un abbonamento