24 Ott 2024

Idrogeno: di che cosa si tratta e che ruolo può avere nella transizione energetica in Sardegna?

Scritto da: Lisa Ferreli

Presentato come una soluzione promettente per la transizione energetica, l'idrogeno è da tempo entrato fra i temi della questione energetica sarda, grazie al suo potenziale di ridurre le emissioni e stoccare energia rinnovabile. Tuttavia il suo utilizzo non è esente da critiche e sfide, soprattutto riguardo alla sostenibilità della produzione e all'impatto ambientale.

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L’idrogeno è sempre più al centro delle discussioni energetiche sarde. Proposto come alternativa sostenibile nell’ambito della transizione energetica, presente nella proposta di iniziativa popolare Pratobello ’24, nelle ultime settimane anche i sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil hanno dato il loro via libera all’idrogeno green. Eppure se da un lato questa risorsa rappresenta una possibilità, dall’altro emergono forti dubbi sulla sostenibilità del suo utilizzo su larga scala e non solo. Ne parliamo con Laura Cadeddu di ADES, l’Assemblea per la Democrazia Energetica in Sardegna.

Innanzitutto di che cosa stiamo parlando, ovvero di che idrogeno si parla e perché lo si collega alla transizione energetica?

L’idrogeno può essere utilizzato per ricavare energia essenzialmente in due modi: tramite celle a combustibile oppure bruciandolo. In tutti e due i casi si sfrutta la naturale tendenza dell’idrogeno a combinarsi con l’ossigeno, liberando energia e generando un residuo stabile e non problematico come l’acqua.

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Attualmente si può ottenere in due modi: estraendolo da giacimenti esistenti o ricavandolo da una varietà di processi chimici o elettrochimici. Nel primo caso, recente e pochissimo diffuso – esiste attualmente un solo pozzo estrattivo al mondo – l’idrogeno viene chiamato “bianco” o “gold” e può essere definito una fonte energetica a buon diritto. Nel secondo caso, più diffuso, l’idrogeno è invece un vettore energetico, cioè un mezzo, un serbatoio energetico che va prodotto utilizzando molta più energia di quella che si ricaverà dall’utilizzo.

Per quanto riguarda l’idrogeno da estrazione, al momento si ritiene che possa derivare da processi costantemente attivi all’interno della crosta terrestre, e che quindi i giacimenti possano riformarsi anche se sottoposti a estrazioni, rendendo l’idrogeno bianco assimilabile a una fonte rinnovabile: tuttavia questo è tutt’ora materia di ricerca.

Nel caso dell’idrogeno prodotto da fonti energetiche, che quindi è un serbatoio e non una fonte d’energia, a seconda della fonte utilizzata per ricavarlo e della modalità esiste una nomenclatura basata sui colori (si parla ad esempio di idrogeno “verde”, quando ricavato per idrolisi dell’acqua con l’uso di elettricità da fonti rinnovabili, “grigio” quando ricavato da un processo detto reforming del metano e “blu” se nel processo precedente si recuperano le emissioni di carbonio). Ovviamente la modalità da percorrere è quella dell’utilizzo di fonti rinnovabili e sostenibili: questo è il collegamento dell’idrogeno con la transizione, poiché la sua caratteristica di serbatoio energetico consente di utilizzare l’energia prodotta dalle rinnovabili per costituire riserve energetiche.

Quali sono le principali criticità legate all’utilizzo dell’idrogeno?

Il trasporto ne richiede la liquefazione in condizioni di bassa temperatura e forti pressioni all’interno di contenitori in grado di mantenerlo liquefatto. Per il metano si compiono le stesse operazioni, con la differenza che le pressioni richieste per il contenimento sono inferiori. In compenso, per unità di massa, l’idrogeno contiene più energia degli altri carburanti. Una prima criticità dell’idrogeno è quindi legata al suo contenimento, per la conservazione in serbatoi o il passaggio in appositi idrogenodotti, fino ai sistemi per l’utilizzo.

idrogeno ades sardegna

Altra criticità riguarda l’infiammabilità: l’idrogeno può prendere fuoco facilmente in un ampio intervallo di concentrazioni, anche se ha bisogno di temperature più alte per accendersi rispetto ad altri gas o combustibili liquidi. Aspetto positivo però è che l’idrogeno si disperde velocemente nell’aria, diminuendo rapidamente la sua concentrazione. Ulteriore problematica da studiare nel caso di utilizzo massivo riguarda l’acqua per la produzione. Per produrre 1 kg di idrogeno servono circa 9 litri d’acqua, e il processo richiede tra 50 e 60 kWh di energia, con un’efficienza superiore al 60%. Per evitare di utilizzare le riserve di acqua dolce, l’acqua dovrà provenire dal mare, e bisognerà valutare l’impatto ambientale di questa scelta.

Inoltre non pare possibile realizzare impianti e infrastrutture esenti da perdite: uno studio recente ha evidenziato come una maggiorata presenza di idrogeno in atmosfera dovuta a perdite, possa portare a un cambiamento degli equilibri tale che, indirettamente, si otterrà una diminuzione dei benefici previsti con la sostituzione delle fonti fossili con rinnovabili.

Si parla anche di utilizzare le infrastrutture del metano per il trasporto dell’idrogeno, ma una rete capillare che arrivi a una miriade di piccoli utilizzatori domestici e non solo ad apparati industriali, pone seri problemi di sicurezza e verosimilmente non dovrà vedere la luce. Neppure i distributori di carburante sono alimentati tramite una rete, ma tramite il trasporto con mezzi dedicati e questo vuol dire che finora tale soluzione è risultata conveniente rispetto ad altre. Va considerato l’intero processo di produzione, non la sola fonte.

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In definitiva, mentre l’uso dei combustibili fossili e del nucleare non potrà mai essere ambientalmente sostenibile, l’idrogeno potrà esserlo ma se lo si vorrà implementare come tale, come un serbatoio di energia immagazzinato prevalentemente negli stessi punti di produzione di energia o in impianti collegati, dai quali dovrebbe uscire già trasformato sotto forma di energia elettrica per l’uso domestico. D’altra parte, potrebbe anche essere utilizzato per scopi industriali o presso le reti che alimentano i veicoli, come combustibile per i trasporti.

Di idrogeno si parla nella Pratobello ’24, l’articolo 4 viene però criticato anche perché aprirebbe alla “metanizzazione della Sardegna“.

L’articolo 4 riprende gli obiettivi prefissati dal governo, sia nell’ultimo aggiornamento del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima – conseguente alle direttive europee –, che nelle proposte rientranti all’interno del PNRR, dove si dà largo spazio alle tecnologie di produzione di energia sperimentali, promozione di progetti di ricerca e progetti pilota, tra i quali l’idrogeno come vettore energetico.

Ricordiamo però che l’Italia non si è ancora dotata di una Strategia nazionale per l’idrogeno [ovvero un piano ufficiale per promuoverne l’uso e lo sviluppo ndr], a cui dovranno seguire decreti ministeriali di semplificazione degli iter autorizzativi: purtroppo le semplificazioni però mirano da un lato a delegittimare la partecipazione pubblica alle proposte progettuali, dall’altro a svuotare sempre più le norme sui controlli e alla valutazione degli impatti ambientali (VIA).

Un ambiente deteriorato e degradato impatta sulle comunità più deboli

Per quanto riguarda il collegamento col metano, ciò discende dalle ipotesi di condurre nei metanodotti miscele di metano e idrogeno, a prevalenza di metano. Anzi, il trasporto dell’idrogeno nei metanodotti viene usato come un grimaldello per forzare la realizzazione di infrastrutture per il metano in Sardegna. Allo stato attuale la Sardegna è infatti sprovvista di metanodotti, un bene visto che il metano è responsabile quanto la CO2 – anzi, di più – del surriscaldamento del pianeta, e anche perché l’Isola può e deve evitare questo passaggio intermedio.

La Sardegna al momento si è parzialmente dotata di reti cittadine per il gas, non certo in linea con le politiche di contrasto ai cambiamenti climatici: tali scelte volevano essere propedeutiche alla realizzazione della dorsale del metano, ad oggi inattuata, ma i cui progetti hanno superato la VIA. Se a questo aggiungiamo che il metano è ritenuto un gas utilizzabile per la transizione e che le infrastrutture per il trasporto potrebbero anche fungere per l’idrogeno, sembra ovvio che il pericolo di metanizzare l’Isola si approssima; i progetti per l’idrogeno di fatto rendono necessario l’utilizzo del metano.

La possibile apertura alla metanizzazione potrebbe sopraggiungere con la rivalutazione del GALSI (Gasdotto Algeria-Sardegna-Italia), oggi però non più ritenuto un progetto di rilevanza o interesse comunitario. Anche il GALSI, al pari della dorsale del metano, ha superato il procedimento di VIA e questa è un’infrastruttura che può assumerne rilevanza a livello extraeuropeo, da tenere ben presente nell’evolversi degli scenari geopolitici.

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In conclusione, come portare avanti una transizione energetica equa?

Una transizione equa deve passare attraverso processi di sostituzione di tecnologie di produzione di energia rigorosamente ecosostenibili e rispettosi dell’ambiente. Questo rappresenta il primo tassello anche per l’equità sociale: un ambiente deteriorato e degradato impatta sulle comunità più deboli, che hanno scarsa o nulla forza contrattuale.

La modalità con cui può essere portata avanti è collegata, e va tarata, sulla base delle specificità del territorio dove si opera in termini di risorse naturali e capitale umano, delle dinamiche territoriali e sociali, delle legittime aspirazioni dei cittadini, e delle possibili trasformazioni che hanno un costo economico. La modalità con la quale si opera il passaggio non può essere governata da un libero mercato privo di regole, che mortifica ogni possibilità di cambiamento e il cui costo viene scaricato sulle comunità, senza valutazione delle reali conseguenze e implicazioni.

Per il settore industriale sono importanti le comunità energiche rinnovabili industriali (CEI), i cui impianti però devono ricadere all’interno del plesso industriale. Per il settore civile è importante la conversione dei consumi energetici verso la sola fornitura elettrica generata da fonti rinnovabili, dando propulsione alle comunità energetiche rinnovabili (CER) basate sull’autoconsumo. Le sole che possono operare la ripartizione dei costi sulle effettive possibilità economiche degli utenti, con la salvaguardia della parte debole. Le CER nascono dal basso, dalla cooperazione, e possono gestire meglio il processo sulla base della effettiva capacità economica dei partecipanti e sulle misure pubbliche a disposizione.

Per saperne di più sul tema idrogeno puoi ascoltare questo podcast

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