8 Ott 2024

Il punto sull’energia in Sardegna, fra comunità energetiche e speculazione

Scritto da: Indip

Da mesi si è fatta più intensa, ma la questione sarda legata al fenomeno della speculazione energetica nell'Isola va avanti da anni. Si tratta però di un tema le cui domande superano le risposte, finendo spesso intrappolati nelle sabbie mobili del dubbio. Ecco perché nel momento in cui la transizione energetica rischia di assumere i tratti di un assalto senza precedenti al territorio sardo, un’informazione il più possibile completa è di cruciale importanza. Per questo Indip ha realizzato un instant book sulla questione, un libro agile – di cui pubblichiamo l'introduzione – che prova a rimettere in ordine i vari fili che caratterizzano il tema.

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Orientarsi nella giungla dell’energia non è affatto facile, vuoi perché la materia è di per sé ostica, vuoi perché in Sardegna la transizione dal carbone alle fonti rinnovabili si è trasformata in una battaglia senza precedenti. Per iniziare, dentro l’arena ci sono finite centinaia di società dell’eolico e del fotovoltaico intenzionate a riempire l’isola di pale e specchi, un’ipotesi gradita al secondo attore in campo, il governo, che vuole trasformare il sud e le isole in un hub energetico a servizio di nord Italia ed Europa.

C’è poi la Regione con il suo tentativo di mettere un freno alla “speculazione” attraverso la moratoria dello scorso luglio – nel frattempo impugnata da Palazzo Chigi – e la recente individuazione delle aree idonee/non idonee. Con quali risultati si vedrà. Proseguendo, troviamo la terra di mezzo dei sindaci. Tirati per la giacchetta da piccole srl e grandi multinazionali, da viale Trento e dalla cittadinanza, i primi cittadini offrono uno spaccato della società sarda di oggi: ci sono i circospetti, quelli che stanno con la Regione, chi al motto di “non ci sono aree idonee” respinge ogni ipotesi di installazione di impianti da fonti rinnovabili nel proprio territorio e chi problematizza.

ENERGIA QUESTIONE ENERGETICA INDIP
Immagine utilizzata da Indip per presentare l’instant book a tema energia

Arriviamo così ai comitati sorti come funghi ai quattro angoli dell’isola, un mondo eterogeneo unito dall’opposizione a una transizione energetica che in effetti è progettata per essere un rullo compressore. Cercano di evitare la sostituzione del paesaggio sardo con uno di tipo industriale, ma non solo. Chiedono un modello di transizione che garantisca reali vantaggi per i cittadini, incentrato cioè sulle comunità energetiche e l’autoconsumo. Uniti anche dalla critica alla giunta regionale, accusata di non tutelare abbastanza il territorio e di essere troppo molle nel confronto con lo Stato, i comitati si dividono sul da farsi.

Da un lato ci sono i sostenitori della Pratobello 24, la proposta di legge d’iniziativa popolare che vorrebbe bloccare tutto facendo leva sulla potestà legislativa della Regione in campo urbanistico. Dall’altro lato il Coordinamento dei comitati, secondo cui oggi sono necessarie una moratoria nazionale e la rivisitazione della quota di impianti da fonti rinnovabili assegnata dal governo alla Sardegna lo scorso giugno.

Intanto, appare chiaro che i comitati e quell’ampio pezzo di società sarda mobilitatosi negli ultimi mesi – questa lotta dura da anni, ma solo adesso ha assunto una dimensione popolare – rivendicano per l’isola la possibilità di scegliere liberamente il proprio destino energetico. All’appello non mancano neanche le diocesi e soprattutto i due principali gruppi editoriali dell’isola, schierati su fronti opposti rispetto ai grandi impianti da fonti rinnovabili – il gruppo Unione Sarda è il main sponsor della Pratobello 24 –, entrambi sono invece a favore della metanizzazione, che poi è l’altra faccia della questione energetica. Sarebbe già abbastanza così, ma non si può non tener conto dei groupies, degli ingegneri che pontificano e degli isterici.

Di quanta energia verde ha bisogno l’isola? E quale sarà il ruolo del Tyrrhenian link nell’ambito del nuovo corso energetico basato sulle rinnovabili?

LA QUESTIONE SARDA DELL’ENERGIA

Sul finire dell’estate 2024 la società sarda è in effetti in ebollizione. C’è però anche chi sta alla finestra, in attesa di farsi un’idea più precisa su un tema oggettivamente complesso. Posto che occorre spegnere le inquinanti centrali a carbone dell’Enel (Portovesme) e dell’Ep (Fiumesanto), di quanta energia verde ha bisogno l’isola? E quale sarà il ruolo del Tyrrhenian link nell’ambito del nuovo corso energetico basato sulle rinnovabili? Ancora: la strategia della Regione per scongiurare il rischio che il territorio sardo e il suo mare vengano invasi da torri eoliche e specchi fotovoltaici funzionerà? Queste sono solo alcune delle domande oggi al centro delle preoccupazioni dei cittadini.

Anzi, spesso sono solo le prime di una lunga serie che finisce per trascinare chi s’interroga nelle sabbie mobili del dubbio. Comprensibile: l’infodemia non aiuta, il silenzio selettivo nemmeno e lo stesso si può dire della scarsa chiarezza che ha contraddistinto governi ed esecutivi regionali vecchi e nuovi negli ultimi anni.  Come derubricare altrimenti la strambata della presidente della Regione Alessandra Todde sui 6,2 gw di nuova potenza assegnati lo scorso giugno alla Sardegna dal decreto del ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica (Mase) Gilberto Pichetto Fratin (FI)? Appena sei mesi fa Todde riteneva quella quota eccessiva, ma lo scorso 7 giugno ha celebrato l’intesa con il governo come un successo.

Vero è che il testo finale presenta alcune migliorie rispetto alla versione iniziale, ma il contingente di 6,2 gw non è cambiato di una virgola. Si tratta di una quota davvero esagerata per la Sardegna, che oltretutto non rappresenta una soglia massima, ma più semplicemente il traguardo minimo che l’isola deve raggiungere entro la fine del 2030. All’indomani dell’intesa sul decreto Aree idonee tutto bene anche per Paolo Truzzu (FdI), capo dell’opposizione in consiglio regionale, che ha presentato l’intesa come il segno manifesto della disponibilità del governo di Giorgia Meloni (FdI) ad ascoltare e tenere in considerazione le richieste della Regione.

tyrrhenian link

La verità è che sia gli uni che gli altri pensavano alle elezioni europee dell’8-9 giugno che si sarebbero celebrate di lì a qualche giorno: meglio dunque non fare polemiche e settarsi in modalità win-win. Ma c’è un perdente: è la Sardegna. Certo, ammettere che l’isola marcia verso la definitiva trasformazione in una piattaforma energetica conto terzi viene male, specie a chi governa, a Roma come a Cagliari. Ma tant’è: la quota di 6,2 gw è infatti perfettamente in linea con gli scenari elaborati da Terna, gestore della rete nazionale, e vidimati dal Mase. Ebbene, le previsioni parlano di un massiccio aumento dell’export di energia dalla Sardegna.

Certo, finalmente le centrali a carbone chiuderanno e il tubo di scappamento che Portoscuso e Porto Torres hanno dovuto sopportare per anni verrà spento. In altre parole, non trasferiremo più l’energia ottenuta dal vecchio e inquinante fossile, che poi è una delle ragioni per cui finora la decarbonizzazione è andata a rilento. Tuttavia il rischio che la servitù energetica resti o addirittura si rafforzi è altissimo. Siamo finiti infatti all’interno di un disegno la cui scala è di gran lunga superiore al fabbisogno isolano di energia.

DIFFICILE EVITARE IL CONSUMO DEL SOTTOSUOLO E IL CAMBIO DI DESTINAZIONE D’USO

Del resto, tanto la normativa europea quanto quella statale pretendono la massima diffusione degli impianti di energia da fonti rinnovabili. Stando così le cose, è difficile evitare forti modifiche del paesaggio, l’aumento del consumo del suolo e, in definitiva, un cambio di destinazione d’uso della terra, diventata sempre più un bene da cui disinvestire e assegnare alla rendita legata agli affitti corrisposti dalle società energetiche.

fotovoltaico

Comunque la si voglia mettere, canoni miseri rispetto ai profitti milionari assicurati da sole e vento, fonti energetiche che mettono in crisi i tradizionali modelli economici: vento e sole non possono, infatti, essere equiparati facilmente a dei beni rari, sono gratuiti e non presentano nessun costo marginale. Su consumo di suolo e terra c’è chi fa notare che potremmo fare la transizione impiegando non più dell’1% del territorio sardo. Meno male: si parla di soli 240 chilometri quadrati.

Sta di fatto che 6,2 gw corrispondono grossomodo al triplo degli eolici e dei fotovoltaici esistenti e, se è vero che concorrono al raggiungimento della quota anche le comunità energetiche o gli impianti per l’autoconsumo, l’impressione forte è che la Sardegna sia in ritardo, soprattutto a causa dell’inerzia della giunta Solinas. E che la transizione energetica sia in larga parte già opzionata da srl e multinazionali. Potrebbe dunque essere troppo tardi anche per i quasi 700 milioni di euro che la giunta regionale intende destinare alle comunità energetiche, una politica attuabile già dieci anni fa. Vedremo.

LA CORSA AL SOLE E AL VENTO

E che dire del Tyrrhenian link? Ci è sempre stato detto che l’elettrodotto Sardegna-Sicilia voluto da Terna è indispensabile per la chiusura delle centrali a carbone e la sicurezza della rete sarda. Era senz’altro così fino a qualche anno fa, ma già a partire dal 2021 cambia tutto e da strumento di regolazione del sistema elettrico sardo post carbone che era, si trasforma sempre più in un’infrastruttura dedita all’export. Non basta: il Tyrrhenian link e i 6,2 gw hanno infatti tutta l’aria di essere un’anticipazione di quanto accadrà nel prossimo futuro o, se si preferisce, una prima mano. D’altronde l’isola si è trasformata in un tavolo da poker in cui da anni si assiste a continui rilanci.

transizione energetica

Terna ha già proposto un nuovo elettrodotto sottomarino che collegherà Fiume Santo alla cittadina laziale di Montalto di Castro. Il meccanismo da tenere sott’occhio è questo: si prevedono nuove infrastrutture, la disponibilità del mercato – delle banche, dei fondi e delle società – a investire su eolico fotovoltaico aumenta, iniziano a piovere le richieste di autorizzazione e si prevede la realizzazione di un nuovo elettrodotto. Non è dunque un caso che la corsa al sole e al vento dell’isola sia iniziata nel 2021, una volta risultato chiaro che il Tyrrhenian link si sarebbe fatto. Ed è così che siamo arrivati a un monte progetti pari a oltre 56 gw di potenza per un totale di circa 800 nuovi impianti da fonti rinnovabili.

Sono numeri monstre. Basti pensare che una tale quantità sarebbe in grado di soddisfare i consumi di decine di milioni di italiani. Ora, sebbene sia impensabile che tutti questi impianti vedano la luce per diverse ragioni, una considerazione la si può fare. Di fronte ai nostri occhi abbiamo la riedizione in verde di un capitalismo selvaggio che va a caccia di risorse a buon mercato, una caccia in cui in effetti viene aiutato dallo stesso Stato, tanto sul piano delle norme quanto su quello degli delle infrastrutture. A questo punto c’è da chiedersi se si potesse o se ancora oggi si possa fare diversamente. Se, cioè, sia possibile chiudere le centrali a carbone senza installare così tante rinnovabili.

La risposta è sì, si può fare, per giunta senza nessun nuovo elettrodotto. Lo dice il Piano energetico regionale ambientale della Sardegna (Pears) varato dalla giunta Pigliaru nel 2016. In breve, gli strumenti per approntare un nuovo corso energetico capace di coniugare rispetto per il paesaggio e l’ambiente con vantaggi economici non da poco esistono già. Ma tutti oggi chiedono un nuovo piano. Insomma, è davvero il caso di fare chiarezza. Ecco perché, come declamava Antonio Lubrano – vero eroe di altri tempi – la domanda sorge spontanea. Anzi, a dirla tutta, qui le domande sono un mucchio, perché finora le risposte sono state approssimative, a voler essere buoni.

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