L’economia civile secondo Leonardo Becchetti, l’economista che non pensa solo ai soldi
Seguici su:
Un’economia diversa è possibile. Un’economia che archivi il motto gekkiano “L’avidità è giusta”, che si lasci alle spalle una volta per tutte il liberismo sfrenato, che non abbia come unico obiettivo quello di arricchirsi a qualunque costo, bensì punti sulla giustizia, sulla solidarietà, sulla democrazia, sulla sostenibilità, sull’integrazione, sulla responsabilità sociale, addirittura sulla felicità. Un’economia che non pensi più, con Adam Smith, che «non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il nostro pranzo, ma dalla cura che essi hanno per il proprio interesse», bensì, con Gaetano Filangieri, che «il mercato, l’impresa, l’economico sono in sé luoghi anche di amicizia, reciprocità, gratuità, fraternità».
Un’economia così è possibile, anzi esiste già. Si chiama economia civile e rappresenta la via italiana al mercato: oltre quella di Filangieri, porta le firme di altri grandi illuministi napoletani come Antonio Genovesi e Giacinto Dragonetti e ha avuto un’influenza storica talmente significativa che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella in persona, in un intervento dell’anno scorso alla Confindustria, l’ha definita «la tradizione italiana più importante». Pensate: è finita persino nelle tracce dei temi proposti allo scorso esame di maturità.
Le sue radici risalgono al Settecento, ma non pensiate che sia buona solo per i libri di storia: al contrario, riveduta e aggiornata, oggi l’economia civile è viva e vegeta, più florida che mai. Appena nel giugno scorso all’università di Perugia è stata al centro del Manifesto per la nuova economia, firmato da oltre 350 addetti ai lavori, e nei prossimi giorni, dal 3 al 6 ottobre, a Firenze, sarà protagonista di un festival nazionale diretto dal professor Leonardo Becchetti, docente a Tor Vergata, editorialista di Avvenire e del Sole 24 Ore e cofondatore di NeXt – Nuova economia per tutti.
È lui il capofila di questa autentica rivoluzione economica che sta avvenendo sotto i nostri occhi. «Ci siamo resi conto – racconta a Italia che Cambia – che il paradigma economico che conoscevamo era sterile, non curava i mali della società: disuguaglianze, povertà, impazzimento climatico…». Ma non solo disfunzionale, l’economia classica è anche fondamentalmente sbagliata: «Non sa leggere la realtà, contiene errori che vanno corretti. In effetti le persone che si comportano come prevede il modello dell’homo oeconomicus, cioè che pensano solo ai propri interessi individuali, sono la minoranza».
L’economia civile, secondo la definizione di Becchetti, serve proprio ad «aprire le finestre, allargare gli orizzonti, rompere i riduzionismi, cioè le visioni unilaterali e limitate dei fenomeni». Una bella boccata d’aria fresca rispetto all’angusto e ammuffito ambiente delle vecchie dottrine, non c’è che dire. Ma in pratica come funziona? Il manifesto mette in luce cinque punti cruciali: la persona, l’impresa, il valore economico, il ruolo della politica economica e quello degli economisti.
Cominciamo dal primo, dunque. «L’economia tradizionale vede l’uomo come un essere fondamentalmente individualista, la cui felicità dipende dal possesso di più denaro e più beni», spiega il professore. «Come se avere nell’armadio cento paia di scarpe ti rendesse il doppio più felice che averne cinquanta: invece, al contrario, potrebbe essere sintomo di una nevrosi, una patologia. Secondo noi, l’essere umano è innanzitutto cercatore di senso nella vita, è bisognoso di essere riconosciuto dagli altri, quindi affamato di relazioni ed è vocato alla generatività, cioè è tanto più felice quanto più fa qualcosa che sente utile per gli altri».
Questa nuova visione antropologica non è solo un concetto astratto, ma ha conseguenze pratiche notevoli: un essere umano che non si limita a calcolare la propria ricchezza materiale, ma che ambisce a creare significato profondo e a dare il proprio contributo ai propri simili infatti non può accontentarsi solo dell’intelligenza razionale, ma ha bisogno di allenare anche quella relazionale ed emotiva. «Il problema è che oggi queste due discipline, fondamentali per il successo nella vita personale, economica e sociale, non vengono più insegnate: da questo punto di vista siamo analfabeti di ritorno. Eppure tutta la teoria economica ci spiega che la vita è uno sport di squadra: o siamo capaci di cooperare, dare e ricevere fiducia, oppure rimaniamo isolati».
Il Manifesto Programattico dell’Economia Civile per le Amministrazioni Locali |
Lo stesso discorso vale per le aziende: «L’impresa per l’economia civile è più ambiziosa: non guarda solo al profitto ma anche all’impatto sociale e ambientale», prosegue Becchetti. «Questo si può declinare in una serie di forme giuridiche molto diverse: non solo la profit, ma le cooperative, le associazioni, le B-corp…». Attenzione: non pensiate che sia solo questione di beneficenza, come se tutte le Spa dovessero trasformarsi improvvisamente in Onlus. Al contrario, un approccio del genere può generare anche importanti vantaggi competitivi: «Abbiamo mostrato che le aziende più brave nelle relazioni con i propri dipendenti hanno 21mila euro in più di valore aggiunto per addetto. I lavoratori si sentono più fidelizzati, lavorano meglio, sono più motivati intrinsecamente».
Inevitabilmente per misurare un valore che non è più solo monetario bisogna introdurre anche dei nuovi indicatori: «La direzione di marcia non può essere il Pil, ma quello che noi chiamiamo il benessere multidimensionale, che ricomprende anche il valore economico ma non solo. Un ruolo fondamentale lo svolge appunto la generatività: ecco perché al festival presenteremo anche quest’anno il rapporto sulla generatività delle province italiane, che misura quanto i territori creano opportunità per la realizzazione e la fioritura di vita delle persone».
Quarto punto, la politica economica: «Non può essere solo declinata dall’alto, ma anche dal basso, creando civismo, partecipazione e capitale sociale. Noi puntiamo molto al ruolo della società civile: la democrazia è un albero, che se non getta le radici in un terreno ricco di sali minerali, tende a morire». Ovviamente, anche gli economisti non possono chiamarsi fuori: «Il docente non deve chiudersi nella propria torre d’avorio e disinteressarsi della società, pensando che qualcuno applicherà i risultati, ma deve impegnarsi anche a comunicare, divulgare, trasmettere».
Becchetti da questo punto di vista rappresenta sicuramente un esempio virtuoso: con il movimento di cui è animatore punta ad «aumentare la capacità di contagio, rendere l’economia civile sempre più pervasiva, partendo dagli eventi come il festival che si terrà nei prossimi giorni a Firenze». Diciamoci la verità: non sarebbe bello se il cambiamento positivo dell’economia partisse proprio da noi, dall’Italia?
Clicca qui per tutte le informazioni sul Festival nazionale dell’economia civile.
Per commentare gli articoli abbonati a Italia che Cambia oppure accedi, se hai già sottoscritto un abbonamento