Cohousing, coliving, ecovillaggi, coworking. Di cosa parliamo quando parliamo di “co”?
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Unione, partecipazione, collegamento. Sono questi i tre concetti che l’enciclopedia Treccani utilizza per definire il suffisso “co”. Se a questa sillaba di origine latina uniamo qualche termine inglese come housing (abitare), living (vivere) e working (lavorare), apriamo una finestra su un mondo che affonda le sue radici nella condivisione di spazi, tempi ed esperienze. Proviamo dunque a capire cosa significano cohousing, coliving e coworking – addentrandoci anche nel mondo degli ecovillaggi – e quali sono le differenze fra questi concetti.
UN PO’ DI STORIA
Senza andare troppo indietro ed evitando di fare riferimento alle civiltà preindustriali, nelle quali in concetto di abitare e vivere condiviso era la normalità, possiamo datare la nascita del moderno concetto di cohousing sul finire degli anni ’60. È in questa epoca che in Danimarca cominciò ad affermarsi il moderno movimento di cohousing, animato da una reale volontà – e non da una necessità, come avveniva secoli e millenni prima – di condividere la quotidianità. È per questo motivo che si fa spesso ricorso alla definizione di comunità intenzionali.
Il movimento cominciò ad allargarsi e ad attecchire un po’ in tutto il mondo, dalla Germania alla California, dando vita a esperienze storiche alcune delle quali sopravvivono ancora oggi, come Sharingwood, Ithaca o Sættedammen. È un processo in cui le esperienze di cohousing e coliving progrediscono parallelamente, pur seguendo ciascuna la propria traiettoria sulla base di alcune differenze fondamentali che vedremo fra poco.
Per quanto riguarda i coworking – oggi ormai diffusi in tutto il mondo e in tantissimi ambiti –, la prima storica esperienza è quella berlinese di C-Base, fondata da attivisti informatici nel 1995. Più difficile è individuare una data a cui far risalire la nascita del movimento degli ecovillaggi, i cui primi esempi si possono individuare in alcune esperienze risalenti agli anni ’70. È però nel 1991 che arriva la prima definizione ragionata di ecovillaggio: Robert e Diana Gilman parlano di ” insediamenti umani che integrano varie attività, non producono danni all’ambiente naturale, si basano sullo sviluppo olistico e spirituale dell’uomo e possono continuare indefinitamente nel tempo”.
COHOUSING E COLIVING
Come detto, esistono alcuni aspetti che distinguono queste due tipologie di abitare condiviso, che pure hanno moltissimi aspetti in comune, come la condivisione di tutta una serie di spazi – cortili, aree comuni, laboratori, ludoteche, orti – e in generale la voglia di chi vive all’interno di questo tipo di esperienze di portare avanti in prima persona la prassi e la cultura dell’abitare condiviso. Eppure c’è una differenza fondamentale fra cohousing e coliving: il primo è un’esperienza di base ideata, fondata e condotta da una comunità intenzionale che è protagonista anche della vita quotidiana del cohousing.
Il coliving al contrario è frutto dell’iniziativa di un soggetto esterno a cui le persone che lo abitano aderiscono come utenti. Può ovviamente succedere che questo soggetto viva nella comunità e comunque può essere fuorviante identificare inequivocabilmente il cohousing come un’esperienza “vera” in quanto spontanea e auto-organizzata e il coliving come iniziative artificiali business oriented.
COWORKING ED ECOVILLAGGI
Rispetto alle diverse esperienze “co”, queste due hanno dei confini più netti. Come dice la parola stessa infatti, coworking vuole dire “lavorare insieme”. Fra tutti si potrebbe considerare l’esperienza condivisa più contaminata dal modello capitalista, con moltissimi coworking in giro per il mondo che sfruttano il contesto della sharing economy svuotandolo dei principi di base come socializzazione, scambio di competenze o ricorso all’intelligenza collettiva per trasformarlo in semplici spazi con postazioni di lavoro poste una vicina all’altra che però non prevedono alcun tipo di scambio fra chi le utilizza.
Dall’epoca dei coniugi Gilman anche il mondo degli ecovillaggi si è evoluto, differenziandosi anche al proprio interno con esperienze totalmente votate all'”off grid sociale” e altre più contaminate con il contesto e fra di loro, come testimonia l’esistenza di collettori come possono essere la RIVE – la Rete Italiana Villaggi Ecologici – e a livello europeo la GEN. Rispetto a cohousing e coliving, quello che caratterizza gli ecovillaggi è il legame con il mondo naturale.
Focus di questo tipo di esperienze generalmente sono l’autosufficienza energetica e alimentare – da realizzarsi attraverso pratiche come autocostruzione e autoproduzione – e la riduzione dell’impronta ecologica. Non vanno però dimenticati – si veda la definizione dei Gilman – gli aspetti legati al benessere spirituale delle persone che vivono in queste comunità, così come la sperimentazione di modelli di governance innovativi e orizzontali.
PERCHÈ CI PIACCIONO TUTTI QUESTI “CO”?
Provo a rispondere con un’altra domanda: “Cosa possiamo fare per ridurre il nostro impatto e salvare il pianeta su cui viviamo e che stiamo distruggendo?”. Sapete chi se l’è posta? L’Unione Europea e per la precisione l’Agenzia europea per l’Ambiente, in un paper dal titolo “Crescita senza crescita economica” in cui ha evidenziato tutte le criticità del modello attuale proponendo una serie di soluzioni, fra cui la diffusione delle comunità intenzionali e dei principi della sharing economy.
Cohousing, coliving, ecovillaggi, coworking sono infatti esperienze che, pur differendo fra di loro – come abbiamo visto –, hanno in comune una visione profondamente anticapitalista della vita, della società e dell’economia. Una visione basata non sulla competitività e sullo sfruttamento delle risorse ma sulla sostenibilità ambientale, umana e sociale, sulla condivisione e sulla cooperazione. Guarda caso proprio ciò di cui abbiamo bisogno ora.
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