22 Ott 2024

Portare bellezza in Calabria attraverso il gioco: la sfida della “ritornante” Maria Costanza

Scritto da: Tiziana Barillà

Qualche anno fa Maria Costanza Barberio ha deciso di tornare in Calabria dopo aver vissuto e lavorato a Roma. All'origine di questa scelta la volontà di portare bellezza nella sua terra d'origine e di farlo attraverso il gioco. Non solo nei confronti dei più piccoli, ispirandosi ai principi della ludopedagogia, ma anche rivolgendosi ai più grandi, senza evitare di confrontarsi con temi gravi e importanti come la lotta alla 'ndrangheta.

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Cosenza - “La ricerca del bello è anche ricerca di armonia ed equilibrio. L’arte, nelle sue forme più varie, coinvolgendo tutti i sensi rafforza le esperienze cognitive, comunicative e socio-relazionali del fruitore. L’educazione al riconoscimento del bello consente di maturare progressivamente una particolare sensibilità nel saperlo cogliere e percepire, perché se lo sguardo è educato alla vista di qualcosa di bello, non potrà non riconoscerlo”. Queste parole sono uno stralcio del manifesto dell’educazione alla bellezza, promosso dall’associazione culturale CIAPE, il Centro Italiano per l’Apprendimento Permanente.

Proprio alla luce di questa riflessione, tratta dall’articolo 6 del manifesto, e per l’impegno di questi anni in Calabria con l’APS Fiori Florensi, il 16 ottobre il CIAPE ha proclamato Ambasciatrice di Bellezza Maria Costanza Barberio, tra coloro che si sono distinti per il loro impegno nell’innovazione pedagogica. Da quattro anni Maria Costanza e le altre, prima in modo informale poi come Aps, lavorano in Calabria – a San Giovanni in Fiore, in provincia di Cosenza – affinché i bambini e le bambine calabresi possano avere gli stessi diritti dei bimbi vicini e lontani. Gioco e arte son le loro uniche armi.

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Il fatto che tra gli ambasciatori di bellezza nominati a Roma, nella sede italiana del Parlamento europeo, ci sia anche una calabrese è senz’altro una bella notizia. Lo faccio notare a Maria Costanza e lei non ha dubbi: «Lo è ed è un motivo in più per continuare a fare quello che stiamo facendo. Siamo nate come gruppo informale, oggi siamo un’associazione. Ha ragione Danilo Dolci: uno cresce solo se sognato».

Da quattro anni Fiori Florensi pratica la bellezza attraverso il gioco, l’arte e la natura per contrastare la povertà educativa in una regione – la Calabria – che continua a occupare il podio europeo tra i territori dove la mancanza di occasioni di formazione per le giovani generazioni è un problema apicale. Un dato preoccupante dal momento in cui la diffusione della povertà educativa, specie tra i 10 e i 15 anni, è correlata alla probabilità di delinquere. Nel 2021, per esempio, in Calabria il tasso di abbandono scolastico si è attestato al 14%, ben al di sopra della media nazionale, con i Neet che si attestano al 39,9%.

«La nostra missione è un po’ utopica: vogliamo scendere dal podio», commenta l’attivista di Fiori florensi. «Non dico al decimo posto, ma almeno al secondo!». Ed è con questo obiettivo che l’associazione segue una prassi precisa durante le sue attività nelle scuole o negli altri luoghi dove ristagna il disagio adolescenziale.

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«Ci piazziamo lì e costruiamo spazi che chiamiamo “spazi poetici”, all’interno dei quali avviene l’apprendimento che si manifesta sempre attraverso il gioco, non solo con i ragazzi ma anche con gli adulti. Utilizziamo il gioco come strumento politico di trasformazione». Maria Costanza è un’esperta di ludopedagogia, una disciplina che si fonda sul gioco e che crea e costruisce territori altri dai consueti, tra realtà e non-realtà. «Il gioco come strumento rivoluzionario», precisa Barberio.

Italia che Cambia ha già raccontato la nascita di Fiori Florensi qualche anno fa; da allora sono passati quattro anni, un tempo sufficiente a tirare un qualche bilancio o comunque a registrare la risposta del territorio. «Si ripete sempre la stessa storia – risponde Maria Costanza –, costruiamo spazi poetici che poi vengono abitati dalle persone che scelgono di giocare con consenso. All’inizio incontriamo diffidenza che poi si trasforma in stima. Noi ci fidiamo del processo, infatti quando queste persone giocano cominciano a scoprire i benefici che procura il gioco. Il gioco è salute, è coltivare la felicità, è allenare la libertà».

Ogni anno, da due anni, l’associazione organizza il Circo dei Fiori, una festa che trasforma l’isola pedonale di San Giovanni in Fiore con spazi gioco e arte, natura e coraggio, con la collaborazione di altre associazioni e realtà del territorio. Le attiviste la definiscono una festa del “Grazie” o meglio ancora del “grazie a se stesso”.

La precisazione è d’obbligo secondo Maria Distanza, perché «in Italia, dove domina la cultura cattolica, sin da piccoli siamo abituati a dire “grazie a Dio”, poi cresciamo e specie dalle nostre parti diciamo spesso “grazie al compare” che ci ha fatto un favore. La nostra festa è la festa del “grazie a me stesso”, vogliamo valorizzare l’impegno, il coraggio di mettersi in gioco dentro una comunità educante verso il rispetto, verso la bellezza».

Invitare le persone a giocare vuol dire mantenersi in continuo allenamento a splendere

Fiori Florensi entra in punta di piedi nelle scuole e negli altri luoghi in cui l’ambiente è pieno di giudizio nei confronti dei bambini, ed è lì che cerca di intervenire. «Questi bambini poi diventano studenti, che poi diventeranno cittadini, perciò è da qui che si deve cominciare. Il nostro motto è che si può e si deve fiorire anche nel deserto e noi sappiamo che la Calabria è un deserto, ma viviamo questa condizione senza essere giudicanti, sappiamo che qui mancano i diritti fondamentali, come quello all’istruzione e alla sanità. Sappiamo che il cittadino può sentirsi minacciato da questa assenza di diritti. Per non parlare della ’ndrangheta: o sei di quell’attitudine o non lo sei».

Per renderci l’idea di come si fa a giocare quando si parla di ’ndrangheta, Maria Costanza ci descrive un’immagine: «Se mi dovessi trovare a convivere nella stessa casa con questa “signora” – chiamo così la ‘ndrangheta –, so che se splendo lei vorrà spegnermi. Invitare le persone a giocare vuol dire mantenersi in continuo allenamento a splendere, impedire che “signora” riesca a spegnerci. E come? Giocando!»

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«Mi viene in mente un gioco sul coraggio, quando finisce il gioco noi facciamo sempre il cerchio di teorizzazione, dove riflettiamo insieme su cosa è successo: non su come siamo stati, ma su cosa è successo. Ognuno scopre di aver avuto coraggio e che quel coraggio gli appartiene, deve solo ricordarsi di metterlo in pratica l’indomani al lavoro o a casa quando litiga con suo marito per difendersi. Non è una questione di evoluzione ma di allenamento: allenarsi a volersi bene».

Quando tutto è iniziato, Fiori florensi non era che l’incontro di tre giovani emigrate ritornate per scelta in Calabria. Una storia di quelle che oggi vengono chiamate di “ritornanza”, la storia di tanti – andare fuori per formarsi – che diventa la storia di pochi, che finisce con un ritorno per mettere a disposizione quanto imparato.

«Io sono tornata da Roma, precisamente dal quartiere Torpignattara. Lavoravo alla scuola elementare Carlo Pisacane con un bel progetto organizzato con Francesco Tonucci, un pedagogista adesso molto anziano, famoso per la città a misura di bambino. Avevamo chiesto a Tonucci di aiutarci traendo spunto dal suo libro, abbiamo fatto una bella rivoluzione che ancora continua con i genitori e i maestri per contrastare il lavoro minorile in una scuola di bambini di tutte le culture del mondo”.

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Una bella esperienza, un progetto multiculturale che andava già avanti da sette anni quando ha registrato una brutta provocazione: a gennaio 2019, mentre le bambine e i bambini della Pisacane erano a casa per le vacanze di Natale, viene dato fuoco a uno striscione multilingue, simbolo di questa piccola scuola che si sforza di praticare l’integrazione e l’anti-razzismo.

«Ricordo ancora il giorno in cui ho preso questa decisione», commenta in conclusione Maria Costanza. «La mia scelta è stata continuare a fare quello che facevo nella mia terra. Mi sentivo pronta a tornare. Io sono fuggita dalla mia terra, ricordo come se fosse ieri che avevo 18 anni e sono scappata via perché non mi piaceva studiare qui, sapevo che non avrei mai potuto imparare quello che ho imparato fuori. Ma poi ho deciso di tornare, sapendo che la mia terra è ancora povera educatamente ma io non sono più quella ragazza di 18 anni, ho delle qualità che coltivo giorno dopo giorno e le voglio mettere in pratica qui».

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