Agevolando: dare un futuro ai giovani che escono dai percorsi di accoglienza “fuori famiglia”
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Bologna, Emilia-Romagna - Il 9 ottobre scorso a Milano sono state presentate le nuove e i nuovi Ashoka Fellow 2024, persone che si sono distinte in diversi ambiti con i loro progetti, portando inclusione, consapevolezza e innovazione sociale. L’evento ha rappresentato un momento di incontro e scambio tra gli attori del cambiamento italiano. Tra i riconoscimenti dei vari imprenditori e attori che sono saliti sul palco c’è anche quello per Federico Zullo, fondatore di Agevolando, organizzazione che favorisce l’integramento sociale ai giovani Care Leavers, ovvero ragazzi vissuti, per vari motivi, in comunità e che al raggiungimento della maggiore età si trovano ad affrontare la propria autonomia in un contesto sociale non sempre facile.
Federico, Agevolando è la prima associazione in Italia a impegnarsi per il riconoscimento da parte della pubblica amministrazione e della società civile dei diritti all’accompagnamento e all’autonomia dei Care Leavers. Cosa ti ha spinto a crearla e quali sono state le tappe principali della tua grande avventura?.
Mi ha spinto la mia esperienza personale, quella fatta di dolori, lotte interne ed esterne e grande confusione sulla mia vita. Da piccolo sono stato allontanato dalla mia famiglia poiché mio padre era sparito e mia madre aveva problemi di tossicodipendenza. Ho vissuto in una comunità e poi, all’età di 19 anni, sono stato inviato a casa di mia nonna, ormai anziana. Mia madre intanto era morta. In quel momento si presentò anche mio padre, che non avevo mai conosciuto. Fu un periodo della mia vita molto difficile e di grande destabilizzazione.
Mi iscrissi all’Università di Ferrara in Scienze dell’Educazione per diventare educatore e cercare di restituire ai giovani nelle mie condizioni l’aiuto che avevo ricevuto in comunità. La mia esperienza diretta mi fece rendere conto che i ragazzi che crescono in un ambiente comunitario, una volta maggiorenni, fanno fatica a uscire così presto e ad integrarsi nel mondo degli adulti. A quel punto decisi di mettere insieme le due cose – la mia esperienza di vita e quella di educatore – e di attivarmi per evitare di “mollare i ragazzi” come me. Iniziai a lavorare anche all’Università e intanto pensavo a cosa stava succedendo e a quello che avrei voluto concretamente fare.
Nel dicembre del 2009, durante un convegno a Bologna, incontrai due ragazze di circa vent’anni che mi raccontarono la loro esperienza di vita dopo la comunità. La loro testimonianza fu forte per me, facendomi rendere conto di quanto fosse necessario alzare la voce e farsi sentire. Da lì nacque nella mia mente Agevolando, allo scopo di aggregare le esperienze di ragazzi e ragazze e comunicarle a un pubblico sempre più ampio.
Quali sono stati in seguito i momenti fondamentali nello sviluppo dell’organizzazione?
Iniziai a partecipare a convegni, incontri pubblici, cercando di creare sempre più impatto, motivato da persone coinvolte e volontarie e anche creando progetti, tra cui i primi sono stati: un appartamento per i ragazzi usciti dalla comunità a Ferrara, poi uno a Bologna, l’inserimento lavorativo, uno sportello di orientamento a Rimini e la sensibilizzazione di aziende per includere i “nostri” ragazzi. In seguito, nel 2013, realizzai che stavamo facendo tante cose, ma che perdevamo il punto essenziale per sostenere davvero i giovani e quello era il vero cambiamento. Era venuto il momento di alzare veramente la voce.
A questo punto, con i miei collaboratori sempre più numerosi, abbiamo creato il Care Leavers Network, portandolo in Italia sull’esempio di altri paesi. Il primo progetto ha messo insieme una cinquantina di ragazzi dell’Emilia Romagna, circa 7 per Provincia, dando loro la possibilità di esprimere i loro pensieri ed esperienze. Dai contenuti di questi incontri redigemmo una sintesi regionale, creando le dieci raccomandazioni per gli operatori e istituzioni dell’Emila Romagna. In pratica era la lista delle richieste che i ragazzi esprimevano alle istituzioni e agli educatori: domande sul loro futuro, sull’aiuto nelle relazioni, di fatto i dieci punti più importanti da comunicare alle istituzioni per migliorare la loro condizione.
La Regione Emilia Romagna ci diede un grande riconoscimento, permettendoci di arrivare a farci conoscere dal Garante Nazionale per l’infanzia e l’adolescenza. All’epoca, dal 2102 al 2016, il Garante era l’ex Ministro Spadafora, nominato dal Presidente del Senato e da quello della Camera. Spadafora fu molto colpito dalle nostre attività, ci contattò e venne a Rimini a un uno dei nostri eventi. In quell’occasione gli proponemmo di rendere nazionale ciò che avevamo realizzato. Nel frattempo avevamo aperto altre sedi di Agevolando a Trento, Verona, Torino e Napoli.
A quel punto Agevolando inizia a raggiungere uno dei suoi scopi principali, ovvero quello di arrivare alle istituzioni nazionali affinché i fabbisogni dei ragazzi fossero riconosciuti a livello nazionale.
Esattamente. Ci recammo a Roma e chiedemmo al Garante di sostenere la nazionalizzazione del nostro network per organizzare una conferenza nella Capitale allo scopo di coinvolgere tutte le istituzioni di riferimento nel nostro progetto. Ottenemmo un finanziamento dal Garante, che ci permise di allargare il network in altre cinque regioni e nel luglio 2017 fu tenuta la prima Conferenza Nazionale a Roma presso un palazzo governativo. Parteciparono 50 ragazzi provenienti da 6 regioni d’Italia. Furono presenti numerose autorità che in quell’occasione dovevano essere pronte per dare delle risposte ai ragazzi. Ci aiutarono in questo percorso altre organizzazioni del nostro settore permettendo così di raggiungere l’attenzione di un numero più significativo di rappresentanti politici.
Poco tempo dopo ci contattò Maria Elena Boschi, all’epoca Sottosegretaria di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, chiedendoci cosa avrebbe potuto fare per noi. La nostra richiesta fu quella di creare reti per continuare l’appoggio ai ragazzi dopo i 18 anni. Quella richiesta fu la nostra vera e più importante vittoria: fu approvato un emendamento alla legge di stabilità del 2018 che in seguito dette vita a una legge nazionale sperimentale per accompagnare all’autonomia i ragazzi, con tutoraggio e borsa per i giovani in uscita dalle comunità e dall’affido tra 18 e 21 anni.
Una vittoria per voi e soprattutto per i ragazzi, ma anche per un’Italia che si rendeva conto delle debolezze nel sistema, che non erano fino ad allora veramente chiare o riconosciute.
Assolutamente sì. La legge, ad oggi, raggiunge solo 500 ragazzi l’anno e per il momento rimane sperimentale. Ce ne sarebbe bisogno per 7000 di ragazzi, ma almeno per la prima volta si è messa nero su bianco la necessità, coinvolgendo enti pubblici e la società civile. Oggi nelle pratiche dei servizi sociali, nei centri d’impiego, nei territori, esiste la conoscenza dell’esistenza di questi giovani. Sono nate nuove competenze professionali e quindi l’impatto è divenuto sistemico perché ha coinvolto tutto il paese.
Cosa succede ai minori immigrati non accompagnati? Anche loro rientrano nei benefici della Legge?
No. La legge esclude i minori non accompagnati che diventano maggiorenni, include solo quelli allontanati dalla famiglia da minorenni. L’inclusione dei minori non accompagnati rientra nei nostri progetti di oggi e del futuro, una decisione istituzionale a cui vorremmo fortemente arrivare.
In concreto cosa prevede la Legge come aiuto ai Care Leavers?
Il budget per ogni ragazzo è di 500 euro al mese su tre anni più il tutoraggio, quindi con un costo complessivo massimo di circa 30000 euro per ogni ragazzo su tre anni. Il tutoraggio fa capo ai servizi sociali; si tratta di un tutor che serve per accompagnare all’autonomia, in appoggio sia all’assistente sociale che al genitore affidatario, all’educatore e alla ragazza o al ragazzo che fanno parte dell’equipe multidisciplinare.
La figura più di importante e attivo di questo gruppo è quella del tutor stesso, che segue i giovani in tutte le loro scelte – dallo studio al luogo di vita, fino al lavoro. La regia dell’organizzazione è nazionale, attraverso l’Istituto degli Innocenti, che è un’ IPAB – Istituto Pubblico di assistenza e beneficienza – di Firenze. A livello locale se ne occupano gli enti coinvolti dal programma. Noi di Agevolando partecipiamo a riunioni territoriali in alcuni ambiti, bandi locali dedicati e facciamo parte della cabina di regia nazionale.
Quali sono stati i risultati più soddisfacenti ad oggi?
In questo percorso sono stati coinvolti più di 2000 tra ragazzi e ragazze. Noi non possiamo ottenere un riscontro diretto sulla vita dei giovani inclusi nel progetto nazionale, ma possiamo leggere i reports pubblici del Ministero. E poi riusciamo a capire la differenza nella vita tra i ragazzi che hanno il supporto e quelli che non ce l’hanno.
Non esistono invece monitoraggi sulla qualità. Otteniamo informazioni dai report, dalle interviste e dagli enti locali che raccontano pubblicamente quello che succede. Poi dipende molto dai territori, dagli enti locali, dall’impegno politico e professionale che ci mettono. Fondamentale in questa politica pubblica anche il livello di gruppo, che ha lo scopo di insegnare ai ragazzi a lavorare insieme, in gruppo per migliorare la sperimentazione stessa.
Quali sono le vostre attività in corso?
Noi abbiamo ancora i gruppi attivi in 12 regioni, circa 16-17 città con 4 macro-progetti che vengono replicati ovunque. Abbiamo fatto partire il Progetto DOTI, una sperimentazione con i ragazzi per capire quali sono i fabbisogni più immediati e le barriere più significative come trovare un lavoro, una casa, iscriversi all’università, seguire percorsi di psicoterapia, insomma tutto quello che non potrebbero permettersi se non con un finanziamento o una dote di 3000 euro totali.
Penso che questo aiuto materiale e relazionale sia veramente importante per ottenere un impatto reale sulla loro vita. Con tutti i progetti in corso, riusciamo a seguire tra i 400 e i 500 ragazzi all’anno, sia con microprogetti che con i giovani che seguiamo dalla A alla Z. Poi c’è l’impatto indiretto attraverso l’advocacy nei confronti delle autorità italiane e la creazione di nuove figure professionali.
Tu giustamente parli di gruppo, di stare insieme. Credi che i Care Leavers sperimentino momenti di grande solitudine?
La solitudine per questi ragazzi è massacrante per cui la community è fondamentale. L’organizzazione d’incontri, avere accesso a una voce amica attraverso il telefono, sentirsi supportato da una rete, dall’amicizia, saper di poter contare su qualcuno per problemi urgenti, per trovare soluzioni o consigli sulle relazioni con la famiglia d’origine. Sono questi gli strumenti che cerchiamo di mettere a loro disposizione per curare i traumi e ridurre il rischio di devianza, di depressione, di malattie psichiche o altro. Senza contare la diminuzione del “costo sociale”, lavorando sulla diminuzione dei traumi collettivi, delle reclusioni, delle malattie mentali.
Come vi finanziate?
Attraverso attività di fundraising di vario tipo, come la partecipazione ai bandi, le donazioni dalle Fondazioni, la progettazione. I cittadini in generale fanno fatica a capire cosa facciamo. Il concetto di Care Leavers può risultare difficile da intendere, sia perché è una parola straniera sia perché chi non sperimenta questo tipo di problematiche può risultare poco sensibile e quindi le donazioni provenienti dai privati sono difficilissime.
Quali sono i prossimi obiettivi?
Tra gli obiettivi più importanti c’è che il diritto all’autonomia sia esteso anche gli stranieri, ai minori che sono arrivati in Italia non accompagnati, ma che alla maggior età non hanno nessun sostegno. Il secondo obiettivo è quello che l’accompagnamento vada avanti oltre i 21 anni se ce n’è bisogno e che venga considerata una prassi normalizzata ascoltare il punto di vista dei ragazzi da parte delle autorità centrali. Inoltre vorremmo fondare un’associazione europea dei Care Leavers a Bruxelles e con il tempo provare a replicare il nostro modello in paesi in cui la problematica di cui ci occupiamo è meno considerata che nel nostro paese.
I paesi più “avanti” in questo senso sono quelli scandinavi, che per legge possono seguire i giovani fino a 25 anni. In Germania l’aiuto è rivolto a tutti i giovani, tedeschi e non, fino a 25 anni per un supporto di qualsiasi tipo. Sono degli esempi da seguire anche in Italia. Ovviamente noi lavoriamo affinché la legge sperimentale italiana diventi legge a tutti gli effetti: ci vuole un forte coinvolgimento a livello dei LEPS – Livelli Essenziali delle Prestazioni in ambito Sociale – e il riconoscimento da parte del Governo e del Parlamento con la partecipazione attiva degli enti locali.
A che punto siamo per far passare la legge sperimentale a legge definitiva?
Ad oggi non è ancora stato rinnovato il terzo triennio, speriamo lo facciano al più presto, augurandoci che sia l’ultimo triennio sperimentale e che nel 2028 al massimo sia approvata la legge in via definitiva.
Vorresti lanciare una “call to action” ai nostri lettori?
Assolutamente sì: Agevolando è stata selezionata per il contest di Reale Foundation Together 4 A Better World e se a fine contest – il 23 ottobre – il nostro progetto sarà tra i dieci più votati, verremo premiati con 10000 euro per realizzarlo. Cercate on-line il progetto Near Future, votate con un like e poi direttamente con cinque stelle sulla pagina di Reale Foundation ricordandovi di confermare poi il voto via e-mail
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