31 Ott 2024

Adattamento climatico: come provare a prepararsi a nuovi eventi estremi

Scritto da: Benedetta Torsello

Torniamo a parlare di alluvioni e non solo delle gravi conseguenze per le comunità locali e i territori; ma di quali strategie di adattamento mettere in campo, per limitare gli effetti di nuovi eventi climatici estremi che con sempre maggiore ricorrenza stanno colpendo il nostro paese.

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Dopo giorni di allerta meteo, all’indomani dell’ennesima alluvione che ha riguardato diverse regioni italiane e l’Emilia-Romagna in particolare – colpita da ben tre alluvioni negli ultimi diciotto mesi – l’allentamento della morsa del maltempo è accolta con sollievo dalle comunità delle zone maggiormente interessate. Ma seppur in assenza di pioggia – fa presente in un comunicato la Regione – non sono da escludersi fenomeni franosi occasionali sui versanti del settore montano e collinare caratterizzati da una fragilità idrogeologica che gli eventi delle ultime settimane hanno riportato agli onori della cronaca. Le pianure non sono indenni. In questo caso però le criticità sono dovute la transito della piena del Po, con livelli prossimi alla soglia 2.

Quando le immagini dell’alluvione si cristallizzano in un lontano ricordo, c’è chi continua a spalare fango e a rendere di nuovo agibili le abitazioni. Il numero degli evacuati – 1.052 al momento, sparsi tra le province di Bologna, Parma e Reggio Emilia – è in costate diminuzione, perché fortunatamente i cittadini stanno rientrando nelle loro abitazioni. Non solo per un drastico miglioramento delle condizioni metereologiche, ma soprattutto grazie al lavoro incessante dei volontari.

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Da sabato 19 ottobre, fino a domenica 27 ottobre – questi gli ultimi dati resi disponibili dalla Regione – hanno operato complessivamente 7.192 volontari della Protezione civile: 3.289 appartenenti alla colonna mobile regionale dell’Emilia-Romagna e gli altri arrivati da Lombardia, Veneto, Provincia Autonoma di Trento, Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Lazio, Campania, Valle d’Aosta e Umbria.

AGIRE CONTRO LA RIMOZIONE

Come aveva già sottolineato Cristiano Bottone, esperto di transizione ecologica, all’indomani di questi eventi climatici estremi bisognerebbe preoccuparsi delle comunità nella prospettiva che questi episodi possono ripresentarsi, lavorando quindi a «una cultura diffusa dell’adattamento climatico». Scongiurando in tutti i modi la tendenza a rimuovere il problema, ad allontanarne le cause sia nelle narrazioni politiche che nelle convinzioni individuali.

Quando le immagini dell’alluvione si cristallizzano in un lontano ricordo, c’è chi continua a spalare fango e a rendere di nuovo agibili le abitazioni

 E invece imparare ad adattarsi è urgente quanto rendere di nuovo agibili le abitazioni lastricate di fango. Si tratta di un problema complesso e stratificato. Ci si può provare ad adattare a livello personale, ricorrendo ad esempio alle paratie stagne che un tempo si utilizzavano solo nelle case a Venezia – fa notare Cristiano Bottone. Oppure si può ampliare il discorso, interrogandosi su dove – e perché – si è costruito laddove le abitazioni non saranno mai al riparo da questo genere di eventi estremi.

STRATEGIE DI ADATTAMENTO: RALLENTARE IL FLUSSO DELL’ACQUA

Ogni strategia di adattamento non è mai risolutiva, ma serve ad attenuare gli effetti degli eventi climatici estremi. Come giustamente evidenzia Lucio Massardo, architetto e promotore di forme di abitare collaborativo, «si deve innanzitutto rallentare il corso delle acque piovane che nei fenomeni alluvionali si riversano al suolo». Come? Aumentando la copertura arborea e costruendo tetti verdi. «Le nostre città hanno superfici molto dure a causa dell’asfalto, quindi l’acqua vi scorre sopra molto velocemente. Le superfici verdi, al contrario, sono permeabili e rallentano il corso delle acque».

E poi le acque – soprattutto in casi di piogge abbondanti – andrebbero convogliate in delle vasche di accumulo: delle superfici di sacrificio dove l’acqua viene stoccata temporaneamente. Quando poi finisce l’onda di piena, da lì si immette nuovamente nel sistema. «Ad esempio, negli interrati di un edificio abbiamo realizzato delle vasche di accumulo che in parte servono per alimentare i circuiti interni. Prima che queste si riempiano passano delle ore. Così nei momenti più critici, l’acqua viene trattenuta e se ne rallenta il corso».

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Significativo a tal proposito è il caso dell’ecovillaggio Montale, sorto alle porte di Modena e ispirato ai principi della biofilia, che studia le sinergie tra uomo e natura nel contesto abitativo. Si tratta di un quartiere a impatto zero e off grid, con un piano di riforestazione e recupero delle acque piovane, anche in circostanze estreme, come i fenomeni alluvionali delle scorse settimane.

«Sin da quando è partito il progetto, abbiamo ricostruito i fossi per le acque piovane – racconta la referente, Silvia Pini – e queste acque vengono fitodepurate e canalizzate in un’area depressa del parco, che si trasforma in un lago circondato da pioppi. Nell’arco di 24 ore l’acqua evapora e quello che altrove può rivelarsi un evento molto dannoso, attraverso questo sistema si trasforma in biomasse e ossigeno».

MALTEMPO ANCHE IN CALABRIA

Abbandonando per un istante l’Emilia-Romagna, ci spostiamo in Calabria, vicino a Catanzaro. Nella mattinata di lunedì 22 ottobre, per più di un’ora una cella temporalesca ha scaricato tantissima pioggia nel raggio di pochi chilometri, causando fiumi di fango e frane, soprattutto nella zona del comune di Montauro (CZ). Da lì ci giunge la testimonianza di Massimiliano Capalbo e di come ha tratto in salvo il suo Giardino Epicureo, giardino sensoriale e terapeutico di cui vi avevamo già parlato.

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«In previsione dei tre giorni di pioggia, ho individuato a monte del giardino uno dei punti in cui confluiscono le acque e il fango quando piove», spiega Massimiliano. «Con la pioggia lo sterrato che costeggia l’ingresso del giardino diventa un fiume di fango, acqua e detriti che vanno a ostruire la strada di accesso del giardino e i tombini presenti e creano problemi anche alle abitazioni che sorgono in basso. Memore di ciò ho voluto provare ad arginare questo fenomeno».

«Una volta individuato il punto di confluenza dell’acqua ho scavato una buca profonda per raccoglierla e frenarne la corsa e farla confluire nel terreno del giardino attraverso un tubo corrugato al termine del quale una serie di canali realizzati posizionando delle vecchie tegole, portano l’acqua alle piante, attorno alle quali dei piccoli fossati consentono all’acqua di infiltrarsi nel terreno senza provocare smottamenti».

Questo evento disastroso in molte altre zone della stessa regione, per il Giardino Epicureo ha rappresentato una preziosa risorsa: l’acqua. «L’ho utilizzata per irrigare il giardino e per infiltrarla nel terreno in vista di periodi più siccitosi, mentre normalmente in queste circostanze finisce nei tombini e poi nel mare. Invece in questo modo in parte l’ho trattenuta nel terreno e in parte in una vasca di raccolta che ho realizzato per raccogliere l’acqua piovana che confluisce dai tetti delle strutture presenti nel giardino. La seconda risorsa è il limo che si è depositato nella pozza di raccolta che rappresenta un ottimo fertilizzante per le piante, per cui quella pozza si è trasformata in un erogatore di fertilizzante».

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Quando invece l’acqua piovana non viene convogliata, trasforma le strade in torrenti fangosi. E la mancanza di copertura vegetale e arborea non ne rallenta il corso verso valle o nelle città. «Un altro grave problema – sottolinea Lucio Massardo – è che siamo abituati a convogliare l’acqua superficiale il più velocemente possibile nei punti di immissione nei torrenti. Non si tratta di una soluzione, tutt’altro. Si sposta unicamente il problema a valle, sovraccaricando alcuni punti del territorio che sono maggiormente sollecitati in casi di eventi alluvionali».

«Sono tutte strategie di adattamento – conclude Massardo – che non azzerano i rischi degli effetti di alluvioni o altri eventi climatici estremi. In molti casi, in cui le abitazioni sono esposte a rischi intollerabili, bisognerebbe intervenire da un punto di vista urbanistico, delocalizzando intere aree di tessuto urbano». E questo pone una questione ancora più complessa: dal punto di vista economico perché sono spese che non possono gravare unicamente sulle comunità; ma soprattutto sul piano emotivo: come si convive con la percezione del pericolo quando la posta in gioco è la nostra casa, non più sicura come credevamo? Anche questo, come le strategie di adattamento, richiede tempo e numerose risorse.

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