“Vieni a vivere in montagna”, il progetto per riabitare i territori alpini
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Udine, Friuli Venezia Giulia - Si sono messe in gioco e hanno finalmente concretizzato l’aspirazione di andare a vivere in montagna, accompagnate dalle cosiddette Comunità accoglienti, attraverso il progetto Vieni a vivere e lavorare in montagna, ideato e gestito dalla Cooperativa Cramars di Tolmezzo, col sostegno della Fondazione Friuli e il partenariato di Uncem.
Parliamo di una ventina di persone – dall’insegnante di scuola primaria alla pensionata, dalla babysitter alla cameriera all’operaio – che hanno aderito alla chiamata dello scorso anno per andare a vivere in montagna, rivolta dalle alpi friulane a chiunque volesse cambiare vita e fosse realmente motivato a mettersi in gioco per misurarsi con la vita nei comuni rurali dell’arco alpino friulano e che adesso lo abitano.
Per queste venti persone che si sono già trasferite – chi dal Veneto, chi da Trieste –, ce ne sono già altrettante che sono in attesa, con richieste anche dalla Sardegna. Ad attrarli non sono proposte come case gratuite, ma l’impegno da parte dei Comuni montani di predisporre una rete di relazioni e opportunità per integrare i nuovi arrivati nel contesto. A questo si aggiunge un mercato del lavoro che in montagna mantiene comunque aperte diverse posizioni.
In tutto ciò è significativo l’impegno formale che le amministrazioni comunali si stanno assumendo. I Comuni di Comeglians, Resia, Resiutta, Savogna, Stregna, Tramonti di Sotto e Tramonti di Sopra si stanno infatti dotando di un servizio chiamato “Riabitare a…” composto ciascuno con il rispettivo nome, che prevedrà poi la formalizzazione attraverso l’attribuzione di specifica delega a un assessore della Giunta comunale.
Tra le azioni che i Comuni hanno svolto per sostenere chi decide di andare a vivere in montagna, c’è la composizione di una lista ragionata delle competenze che servono alla comunità, per favorire i candidati nell’orientamento verso i paesi che magari sono carenti di quelle capacità di cui essi sono portatori. A volte si tratta di esercizi commerciali, bar in cerca di subentro oppure di agricoltori. C’è un Comune che segnala la necessità di un meccanico o carrozziere, un altro che rileva come ci sia bisogno di un farmacista o chi propone una posizione di fornaio.
Come ebbero a dire i sindaci all’avvio del progetto, «in montagna la solidarietà ha un valore radicato che si fa fatica a spiegare a chi non la vive. Siamo contenti della risposta che sta avendo il progetto, che non intende svendere un territorio alla disperata ricerca di presenze, ma invece vuole costruire insieme un cammino con l’obiettivo di ripopolare la montagna di persone, pensieri, azioni e progetti». Una montagna che non si svende né vende, ma investe risorse umane in primis e anche materiali, convinta che i motivi di chi resta o di chi viene siano da ricercare nella capacità che questi luoghi hanno di far ritrovare se stessi.
Andare a vivere in montagna quindi, ma perché proprio in Friuli? Perché, per rispondere con le parole di una tra le persone trasferitesi, «sono luoghi naturali incantevoli, selvaggi, non rovinati dal turismo di massa. Ci sono boschi, fiumi, montagne, laghi. Si è vicini al confine austriaco e a quello sloveno, con tutto l’intreccio di lingue, possibilità, mentalità e culture che questa cosa comporta e non per ultimo anche per l’accessibilità dei prezzi delle case, più alla portata rispetto a quelli sempre più irraggiungibili della città».
Passata con successo la fase di apertura delle candidature un anno fa, del primo significativo risultato che conta venti persone trasferitesi, ora si apre così la terza fase, durante la quale i Comuni istituzionalizzano quella postura che le comunità locali stanno assumendo, cioè di si mettersi in gioco per offrire a chi vorrà andare a vivere in montagna una rete di informazioni su servizi, opportunità, contatti e chiavi di accesso per dare ciò che di più forte c’è in queste zone montane, ovvero la rete di relazioni. In una frase: si offrono i vantaggi delle aree rurali laddove esiste ancora un senso di comunità, senza i difetti, cioè senza l’isolamento.
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