Renato Soru: la transizione energetica deve essere giusta, inclusiva, equa e gentile
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Contro la minaccia della speculazione energetica e di una transizione ecologica ingiusta, serve una collaborazione comunitaria che lavori a favore del meglio per la Sardegna. Un meglio che per Renato Soru, governatore dell’Isola dal 2004 al 2008, ex membro del Parlamento Europeo e fondatore del movimento politico sardo Progetto Sardegna, coincide col «giocare non solo in difesa, ma comprendere che è una transizione epocale: da una fonte energetica esterna che non abbiamo, costosa e inquinante, a una interna, che noi abbiamo e che dopo l’investimento iniziale è praticamente gratuita».
Candidato anche alle ultime regionali con la Coalizione sarda, la voce di Renato Soru sul tema dell’energia non si è mai spenta. «Abbiamo bisogno di una transizione energetica giusta», sottolinea, ma per farlo serve un cambiamento. Nelle pratiche, nei fenomeni che si intersecano nel mutamento e nello sguardo a un futuro che sia comunitario, sostenibile e che comprenda anche un approccio diverso all’idea di rappresentanza, ascolto e rivoluzione.
Renato Soru, alle ultime elezioni regionali la coalizione sarda che sosteneva la sua candidatura ha preso l’8.65 % superando i 63mila voti; un risultato importante che però non viene riconosciuto da una legge elettorale “liberticida e antidemocratica”, se vogliamo usare le parole di Michela Murgia. Partiamo da qua, da un commento del risultato elettorale non a caldo perché è passato del tempo, ma a freddo: come avete letto il vostro risultato e come avete vissuto l’esclusione dalla rappresentanza in Consiglio regionale?
Il risultato elettorale naturalmente lo abbiamo vissuto male anche perché fortemente inaspettato, ma ormai è cosa superata. A non essere superato è il fatto che quell’8% e oltre dei sardi che si sono riconosciuti in una rappresentanza politica non abbia voce in Consiglio regionale. Questo è sbagliato, è sicuramente una legge liberticida, non pienamente democratica, e credo che per il futuro debba essere rivista, anzi, spero che il Consiglio regionale lo voglia fare e che permetta in Sardegna l’eleggibilità politica non solo a chi si riconosce in un polo a guida 5stelle, PD o di destra, ma anche in un polo che si caratterizzi maggiormente per una visione sarda e sardocentrica della nostra politica regionale.
Voi avete comunque più volte rinnovato la vostra disponibilità a collaborare con la giunta, soprattutto per quanto concerne le questioni relative alla speculazione energetica.
Volontà di collaborazione significa fare un’opposizione costruttiva, ricordare che spesso si ha un’idea, degli obbiettivi e una strategia di lungo periodo diversa da quella che rappresenta questa maggioranza regionale. Significa anche voler bene alla Sardegna e augurarci il meglio per tutti noi. Da parte mia e nostra c’è la volontà di essere propositivi e collaborare con delle proposte, la nostra elaborazione dei problemi della Sardegna, le opportunità e le possibili soluzioni. Questo vogliamo fare e stiamo facendo anche nella materia che tanto interessa i sardi in questo momento, ovvero questa speculazione e occupazione quasi militare dell’eolico e del fotovoltaico in Sardegna.
Avete ricevuto risposta?
Per ora nessuna, ma non molliamo. Per me fare politica è soprattutto avere un pensiero politico e questo pensiero io e chi lavora con me non lo teniamo per noi, ma cerchiamo di farne pensiero comune. Credo sarebbe utile un confronto senza pregiudizi o rancori, guidati dallo spirito di fare il migliore possibile per il bene comune di tutti i sardi.
Nel rimarcare la disponibilità alla cooperazione lei stesso ha espresso una critica alla cosiddetta moratoria, la legge 5. Quali sono i limiti?
Il limite è che non sta intervenendo sul presente, tant’è che i giornali raccontano di nuovi mega impianti e del transito difficile di queste strutture per le strade della Sardegna. Credo che la nostra regione abbia gli strumenti per bloccarle subito così come accadde ai tempi del Piano paesaggistico regionale, con l’articolo 8 della legge urbanistica regionale, la 45 dell’89. Il primo aspetto è fermare le cose, ma fermarle veramente. Per il futuro poi ci stiamo fidando ciecamente di questa idea del definire le aree idonee e le aree non idonee e poi automaticamente tutto è risolto perché non saranno tantissime o possono essere limitate.
In realtà ci saranno aree idonee, aree non idonee e poi la terra di mezzo, dove si potranno presentare domande, e queste rappresentano un pericolo. Questa amministrazione regionale ha accettato il decreto del ministero che dice che in Sardegna si devono realizzare altri 6,2 gw di nuovi impianti, ma si dice “almeno” 6,2 quindi potranno essere molti di più. Sono poi gli impianti che devono essere realizzati entro il 2030, non si dice nulla su cosa faremo dopo; la transizione energetica non sarà finita nel 2030 anzi, non saremo neanche a metà.
Insomma, quello che abbiamo cercato di spiegare anche in maniera tecnica attraverso specifici emendamenti alla legge approvata in consiglio regionale, è che la discussione sarebbe dovuta essere di livello più alto, deve esserlo. Non discutere quindi a livello di decreto di attuazione interministeriale, ma di statuto e quindi costituzionale. Il governo centrale è il luogo in cui si decide il carico e l’impegno che la Sardegna si prende in questo obbligo rispetto alle regole europee, bene: qual è l’impegno che la regione si prende? Quello che ci dice il governo o quello che discutiamo secondo regole di equità, di equilibrio tra una regione e l’altra?
A vantaggio di chi deve essere, di chi fa mega investimenti o delle popolazioni che vedono cambiato in maniera sostanziale se non distrutto il loro paesaggio, sottratto il loro territorio a diverse possibilità di sviluppo? I benefici possono essere equamente e giustamente divisi tra tutti?
L’Europa parla di transizione energetica “giusta”, un termine quest’ultimo che in generale viene utilizzato spesso. Cosa significa?
Vuol dire equa, dove gli impegni sono equamente distribuiti, ma qui in Italia non stiamo equamente distribuendo gli impegni sulle rinnovabili. Equa nella ripartizione degli oneri e dei benefici, ma di nuovo: dov’è che stiamo parlando di benefici per la Sardegna? Laddove la nostra Isola mette a disposizione campagne, colline, paesaggio, terra, mare sole e vento, in cambio di cosa lo fa? Né di risorse finanziare né di una diminuzione della bolletta – se le cose continuano a essere così – o di migliori posti di lavoro perché sappiamo che questi impianti non ne creano: ce ne saranno pochi in fase di installazione, ma poi si conteranno sulle dita di una mano.
I temi da trattare sono diversi e non possono limitarsi a “energia rinnovabile sì perché dobbiamo contrastare il cambiamento climatico”. Noi siamo per la transizione energetica, la più veloce possibile, ma nella misura giusta, capace ovvero di essere equa nella distribuzione di oneri e benefici, inclusiva e quindi discussa e condivisa nei territori; tutte cose che non stiamo vedendo.
Quello del lavoro non è ancora uno dei temi centrali nel dibattito sulle rinnovabili, eppure ci sono zone come il Sulcis dove la transizione energetica e l’abbandono del carbone avranno un forte impatto sociale ed economico.
La regione Sardegna, in particolar modo la zona del Sulcis dove c’è la centrale a carbone, ha a disposizione una parte del Just Transition Fund, circa 360 milioni, proprio per favorire una transizione verso le rinnovabili che sappia contemporaneamente far nascere un’economia nuova, basata sulle nuove fonti di energia. Un’economia capace di creare nuovi posti di lavoro per quelli che li perderanno e di accorciare e superare il ritardo di sviluppo. Grazie all’energia a buon prezzo si può essere competitivi ad esempio per le imprese manifatturiere o artigianali, ma a tutto questo non si sta pensando.
Collegandomi con la domanda precedente, “giusta” significa anche non pregiudicare altri modelli di sviluppo: noi pensiamo che l’agricoltura sia importante, che la produzione di cibo di qualità sia importante, il turismo, ma questo settore dello sviluppo territoriale rischia di essere messo in crisi a seguito dell’occupazione del paesaggio con i mega impianti. Stiamo non solo non favorendo una transizione giusta, ma creando i presupposti per distruggere non solo i posti di lavoro che sono legati alla produzione di energia da fonti fossili, ma anche quelli esistenti e possibili legati ad altri settori, dall’agricoltura ai beni culturali.
Un’ultima domanda: torniamo alle elezioni regionali. Il vostro slogan parlava di una “rivoluzione gentile”, qual è la rivoluzione che l’Isola dovrebbe affrontare davanti alla minaccia della speculazione e il metodo, deve restare sempre “gentile”?
Io non credo nella violenza, negli attentati, e davvero non dobbiamo lasciarci affascinare da queste possibilità. L’unico modo è la vigilanza democratica, la presenza, le manifestazioni, la discussione, tutte modalità attraverso le quali la comunità può prendere voce e farsi sentire. Serve una rappresentanza attenta in Consiglio regionale, nella giunta e alla presidenza, che debba farsi voce di tutti i sardi, non solo di quel 25% che l’ha votata.
Di tutti i sardi che hanno a cuore il presente e il futuro della Sardegna e che hanno qualcosa da dire, che possono arricchire gli strumenti con i quali la politica regionale oggi si deve confrontare con una politica statale sempre più accentratrice e che mostra di non avere a cuore il futuro della nostra Isola.
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