23 Set 2024

Sostenibilità, libertà e emancipazione economica in Sardegna: intervista all’avvocato Paolo Aureli

Scritto da: Laura Tussi

Paolo Aureli è avvocato, ex vice presidente del Movimento Sardegna Zona Franca e, alle ultime elezioni europee, sostenitore della lista Pace Terra e Dignità. In questa intervista propone un riequilibrio tra l'Isola e lo Stato italiano, sostenendo la Zona Franca come opportunità per emancipare la Sardegna.

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Pace Terra e Dignità è una lista elettorale di stampo pacifista e ambientalista lanciata da Michele Santoro e Raniero La Valle in occasione delle ultime elezioni europee. Il risultato è andato sotto le aspettative e la barriera del 4%, a eccezione – sul territorio italiano – della Sardegna. Qua PTD ha sfiorato lo sbarramento del 4% e in alcuni territori, a cominciare dal Sulcis, ha raggiunto punte del 5,3%. Tra i principali sostenitori della lista nell’Isola Paolo Aureli, avvocato laziale da tempo in Sardegna e – come dice di sé – “zonafranchista”.

A partire dal suo impegno per PTD in Sardegna, in questa intervista Paolo Aureli affronta alcune delle principali problematiche legate al tema della pace e della sostenibilità ambientale nell’Isola, con uno sguardo orientato verso un futuro sardo sostenibile e libero dalle servitù.

Paolo Aureli
L’avvocato Paolo Aureli
Lei come è venuto a contatto con Pace Terra e Dignità?

Sono stato contattato come avvocato autenticatore delle firme per le elezioni europee da Ennio Cabiddu, storico attivista della rete pacifista nazionale ed internazionale. Durante la raccolta mi sono riconosciuto sempre più nel programma di Pace Terra Dignità fino a diventare un sincero sostenitore della lista, impegnandomi in prima persona nella campagna elettorale.

Ebbi l’occasione di ascoltare da Ennio quali fossero i principi ispiratori e mi entusiasmai subito per le tematiche proposte, tra le quali spiccava e spicca la ricerca della pace non come vana declamazione, ma come serio sforzo diplomatico teso a un patto ponderato per evitare o perlomeno ad allontanare nel tempo, un probabile conflitto. 

Soprattutto negli ultimi tempo non pare che, secondo questa definizione, i governanti stiano perseguendo la pace a dovere. Ci si ritrova?

Infatti. Guardiamo all’Ucraina: sembrano appiattiti sulle posizioni tese a tenere aperto un conflitto – oserei dire un tritacarne sine die – con la goffa e mal celata speranza di poter vincere la guerra entrando in territorio russo, ben sapendo che i russi hanno una mano nel gas a l’altra sulle testate tattiche nucleari. Questa è la verità che potrebbe scoppiare in mano all’occidente che nel frattempo si impoverisce, indebitandosi – come ha fatto l’Italia senza, vorrei ricordarlo, vincoli di bilancio – per procurarsi quante più armi possibile.

La Sardegna è stata da sempre territorialmente sfruttata e mai infrastrutturata

Anche dal punto di vista ambientale, le tematiche non mancano.

Bisognerebbe investire contro il rischio idrogeologico, sulla sanità, sulla scuola e su tanto altro che sarebbe troppo lungo elencare; mi vengono pure in mente le difficili condizioni dei carcerati ma anche della Polizia Penitenziaria, su cui ricadono come scuri le inadeguatezze dello Stato. La mia regione poi, la Sardegna, è stata da sempre territorialmente sfruttata e mai infrastrutturata, hanno iniziato dalla notte dei tempi con le attività estrattive, hanno continuato con la grande industrializzazione petrolchimica, col ciclo produttivo dell’alluminio. 

Tra le principali contro argomentazioni in merito alle pratiche spesso definite coloniali nell’Isola, c’è il fatto che basi militari, esercitazioni e così via “portano lavoro”. Qual è il costo? 

Tante parti del meraviglioso territorio sardo sono adesso inutilizzabili per sempre, non ci sono i soldi per le bonifiche. La Sardegna è scandalosamente gravata dalla presenza dei poligoni militari, con tutto ciò che questo ha portato con sé negli anni: grande inquinamento e intere fette di territori con all’interno, naturalmente, anche testimonianze archeologiche, che resteranno per sempre sepolte su suolo pericolosissimo e che di “terrestre” ha ormai ben poco. 

Mi piacerebbe per la Sardegna riattivare un discorso di riequilibrio con lo Stato; da tanti anni, per esempio, ci paghiamo la sanità, ma lo Stato non ha mantenuto le promesse di rendere alla Sardegna ciò che è suo per Statuto. Da tanti anni l’Isola soffre una discontinuità territoriale che mai nessuno si è messo in testa davvero di risolvere.

esercitazioni servitù militari
In merito, la Zona Franca è un istituto previsto nello Statuto Speciale della Sardegna. Se ne parla da quando è stato introdotto nell’ordinamento italiano da un decreto legislativo del 1998 e c’è chi lo ritiene una via in grado di dare vero respiro economico e sociale all’isola. Paolo Aureli, lei ne è un sostenitore, ma perché in Sardegna il dibattito e le intenzioni in merito sono scemate?

Sul punto occorre registrare che tutta la classe dirigente di destra, di sinistra e di centro non vuole dar corso alle Zone Franche, istituite dal Decreto Legislativo n° 75 del 1998, nei porti principali della Sardegna e nelle aree industriali ad essi collegati o collegabili.

I DPCM di esecuzione, diciamo così, ci sono per Cagliari dal 1998, con 990 ettari adibiti Zona Franca e per Portovesme dal 2019. Ma nessuno muove un dito. Temono che la ricchezza prodotta dal basso, quindi dalla rete economica delle imprese che operano in regime di zona franca con l’estero, emancipi i lavoratori, dando loro la possibilità in un quadro economico rigoglioso di potersi scegliere il lavoro che essi amano senza dover chiedere il favore a questo o quel politico di turno. Tanti cadrebbero.

Quello che accade però è anche che le industrie, dopo aver spesso beneficiato di finanziamenti pubblici per aprire, appena i conti non sono per loro vantaggiosi minacciano o direttamente decidono di chiudere. Ultimo esempio in Sardegna la Glencore, che lascia come al solito sul campo le vittime ovvero i lavoratori.

Così si spiega il ricatto occupazionale a cui è assoggettata la Sardegna e il Sulcis in particolare. Quello che accade però è anche che ogni proposta di investimento che altrove rifiuterebbero qui invece trova accoglienza, perché la gente ha fame di lavoro. 

speculazione energetica
Sempre in tema di servitù, in Sardegna da anni infuria la polemica sulla questione dello sfruttamento energetico, diventata negli ultimi mesi sempre più forte.

Personalmente mi sento di appoggiare la protesta che sta montando, ma occorre essere ragionevoli e avere un obiettivo ben chiaro: in una certa misura stabilita, la Sardegna deve accettare di produrre più energia fino ad arrivare ai limiti prefissati dalla UE e mi sta bene. Ma perché si stanno scegliendo gruppi di grandissimi aerogeneratori, perché si parla di un assalto ai territori, quando nel preambolo della Direttiva Europea del 2018 risulta scritto che si deve favorire l’istallazione di piccole pale che si innestino senza contraccolpi nel paesaggio, rendendo l’intervento più accettabile dalla collettività, padrona di casa?

Le comunità energetiche possono essere una soluzione?

Sì, ci sono diverse voci che si levano in tal senso anche con proposte di legge, ma finora si muove ben poco. In Sardegna al momento le comunità energetiche già operanti si contano sulle dita di una mano. Eppure le CER sono un bellissimo metodo per iniziare a socializzare anche la ricchezza oltre che il territorio e il paesaggio. Ristornando a Pace Terra e Dignità, ne ho abbracciato i principi perché vi ho trovato la sintesi dei motivi per cui vale la pena lottare in maniera composta, rispettosa e al contempo serenamente determinata, al fianco della gente e senza le briglie dei condizionamenti ideologici.

In conclusione, un desiderio per una Sardegna più vivibile e ecosostenibile.

Vorrei tanto che il dipinto della Libertà Sarda, che abbiamo al Castelo di Sanluri, non sia solo una sbiadita icona, ma rappresenti il vessillo della lotta per l’emancipazione anche economica dell’Isola. Senza emancipazione economica si è e si rimarrà sempre alla mercè di questo o quel padrone di turno.

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