Le aggressioni ai migranti nei centri di accoglienza sardi testimoniate dai video diffusi da Indip
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I Centri di accoglienza straordinaria (Cas) sono le strutture in cui chi scappa da guerre e persecuzioni attende il riconoscimento dell’asilo politico o la protezione internazionale. In Sardegna se ne contano 39: spesso si tratta di appartamenti, alberghi o agriturismi messi a disposizione dai privati – a cui le prefetture possono perfino affidare la gestione degli stessi stranieri – a fronte di sostanziosi contributi. Tuttavia più che a un centro di accoglienza e cura alcune di queste strutture somigliano a un girone infernale.
Il problema principale è la violenza fisica e psicologica perpetrata dai gestori nei confronti degli ospiti. Come dimostrano i video e le foto in possesso di Indip, si tratta di casi gravi. Vale a dire episodi che hanno messo a serio rischio l’incolumità degli ospiti dei centri, come avvenuto in due strutture del centro e del nord Sardegna.
Le ingiustizie non finiscono qui. Per gli ospiti dei Cas, ad esempio, può essere difficile ricevere assistenza medica, perfino quando a richiederla è una donna in gravidanza. Mentre è sistematica la violazione di alcuni altri fondamentali diritti. Alcuni migranti infatti raccontano di dover camminare ore per raggiungere una fermata dell’autobus, il negozio più vicino o un luogo di culto. Gli accordi stipulati con le prefetture invece prevedono che i gestori dei Cas garantiscano il servizio di trasporto almeno verso la fermata dell’autobus o nel centro abitato più vicino.
Insomma, la vita nei centri di accoglienza straordinaria è spesso un inferno in cui, per una sorta di beffardo destino, gli ospiti finiscono per trovare qualcosa di simile a ciò da cui sono fuggiti e cioè violenze, persecuzioni e diritti calpestati. Luoghi, di fatto, in cui si assiste alla disumanizzazione della persona.
BOTTE E MINACCE DI MORTE NEL CAS DEL CENTRO SARDEGNA
Nell’isola esiste un centro di accoglienza in cui accadono cose inenarrabili. In una struttura del centro Sardegna infatti in più di un’occasione gli ospiti hanno ricevuto violenze fisiche e minacce di morte. I rifugiati mostrano i filmati e le fotografie. La questione è spinosa, anche perché i migranti – soggetti socialmente fragili – possono in effetti essere oggetto di ritorsioni da parte dei gestori delle strutture in cui vivono, che poi sono i protagonisti violenti delle vicende che gli ospiti documentano.
Gli ospiti di questo centro ci mostrano diversi filmati. Nel primo, il gestore intima a un migrante di allontanarsi e subito dopo gli sferra un colpo. Il colpo va a segno, a differenza dei due successivi. Il ragazzo non reagisce, mentre il gestore prende a minacciarlo: «Vieni qua, ti straccio gli occhi, te li tiro tutti fuori, animale! Ci vediamo dopo». Il ragazzo gli risponde che l’animale è lui, proprio quando l’aggressore cerca di sferrargli un altro schiaffo in faccia.
Il gestore, con voce sempre più alta, ripete al ragazzo di stare zitto. Poi indica gli altri rifugiati presenti e dice: «Non ho paura di te, vedi quante altre persone ci sono qui? Ti fanno un culo così». Pochi istanti dopo gli si avvicina e cerca di prenderlo per un braccio diverse volte, quasi a cercare una reazione del migrante. Lo provoca più volte, lo spinge e lo tira violentemente mentre urla contro di lui. Tra una spinta e un insulto, l’aggressore ripete altre minacce come: «Ti tolgo gli occhi! Se tocchi questa televisione ti tolgo gli occhi, io te li tolgo!».
Poi si gira verso uno dei presenti e gli intima di tradurre la minaccia. Appena il ragazzo cerca di rispondere all’interprete, il gestore si avvicina a lui mentre continua a minacciarlo e a spingerlo. Il ragazzo aggredito, solo a questo punto, risponde con una delle poche parole che conosce in italiano: «Fanculo». A questo punto il gestore gli si lancia addosso. Tutti i presenti lo trattengono e ostacolano come possono l’aggressione.
Dopodiché l’aggressore viene allontanato dalla stanza. Si rivolge con disprezzo verso i rifugiati che dovrebbe ospitare e indicandoli afferma: «Guarda tutti questi cani, lo avete capito che questa è casa mia?». Continua a urlare «non è casa tua!» più volte, a diversi ragazzi presenti. Intanto gli ospiti riescono a portarlo fuori dalla stanza a fatica. Il gestore di cui qui parliamo è ritenuto idoneo ad accogliere i rifugiati. Infatti da diversi anni partecipa alle gare d’appalto per l’accoglienza oppure effettua il servizio in base ad affidamenti diretti. Per l’assistenza ai rifugiati, dal 2013 a oggi, ha ricevuto dalla prefettura oltre 2,5 milioni di euro.
VIOLENZA CONTRO LE DONNE, CURE NEGATE E TRATTAMENTI INUMANI
Questo episodio è uno dei più violenti ma non è un caso isolato. Un’altra persona mostra un altro filmato in cui il gestore della struttura se la prende con una ragazza. La richiesta della ragazza è semplice: vuole essere visitata perché sta male ed è preoccupata. Il proprietario non è intenzionato ad ascoltare le sue richieste e, spazientito, le urla di andarci a piedi, indicando l’uscita dalla struttura. Il diverbio tra il gestore e la ragazza si fa sempre più acceso, tant’è che lui le augura la morte.
La ragazza risponde a tono al gestore, il quale in un primo momento cerca di intimorirla, caricando un pugno e facendo finta di colpirla. Lei però non si scompone, anzi, si pone di fronte a lui immobile. All’ennesima richiesta, il gestore urla e le dice: «Ma vaffanculo, tu e tutta l’Africa!». Alla ragazza viene detto che potrà andare il giorno dopo dal dottore, ma lei non ne vuole sapere e vuole farsi visitare il prima possibile. Continua a parlare con il gestore, il quale la spintona con violenza e la definisce una seccatura. I due continuano a spintonarsi violentemente, finché non intervengono tutti gli altri ospiti per separarli.
Il centro in questione è ancora in funzione. Chissà se la prefettura affiderà nuovamente i richiedenti asilo a un gestore così scellerato. Al momento, non è stato possibile parlare con il dirigente dell’ufficio che si occupa di immigrazione e nel frattempo alcuni ospiti si sono rivolti agli avvocati, fornendo loro tutte le prove delle violenze subite.
ACCOGLIENZA DEI MIGRANTI A PUGNI IN FACCIA
I migranti che hanno contattato Indip sono decisamente coraggiosi, perché decidono di mostrarci le prove delle violenze subite in Sardegna. Questo è il loro triste presente, spesso preceduto da un passato terribile. Sul corpo portano i segni delle torture o dei proiettili, motivi per cui fuggono dai loro paesi. Così comincia il loro viaggio a piedi di 7000 chilometri, lungo il percorso via terra più battuto dai migranti che arrivano in Europa, la cosiddetta “rotta balcanica”.
Questi ragazzi non sono sbarcati in Sardegna ma sono arrivati a Trieste. Dopo qualche mese, vengono trasferiti in una struttura del nord Sardegna. Sono gli stessi migranti a riferirci che il personale della struttura ricorre a violenze verbali e fisiche. Stando a quanto ci viene detto, non sono i rifugiati a creare problemi: «Qui le persone aspettano che la domanda di protezione internazionale venga accettata, per questo nessuno di loro si comporta male e anzi sopporta in silenzio». A suo avviso, chi crea problemi e usa metodi violenti sono alcuni addetti del Cas.
Un altro ragazzo spiega che anche «quando stai male e hai bisogno di andare in bagno, in certi orari ti cacciano via urlando che il tempo è scaduto». Dalle aggressioni verbali, in breve tempo si arriva a quelle fisiche. I motivi scatenanti sono sempre banali, a parte per gli addetti di turno che dimostrano scarsa tolleranza nei confronti dei bisogni degli ospiti. Durante una delle ultime discussioni, un addetto ha deciso di chiudere il diverbio sferrando due pugni in faccia a un ospite. Nessuno del personale presente, nonostante l’evidente sanguinamento provocato dalle percosse, si è preoccupato di medicare la ferita o di chiamare un medico.
Tra il rischio di un trauma cranico e la possibilità di contrarre un’infezione, gli altri ospiti capiscono che non si può più aspettare e decidono di chiamare i soccorsi. Il video di cui è in possesso Indip mostra l’intervento dei soccorritori, che cercano di tenere sveglio il ragazzo, il quale reagisce con lentezza agli stimoli. La prefettura non conferma né smentisce la vicenda, nonostante l’intervento delle forze dell’ordine. La dirigente dell’ufficio che si occupa di immigrazione precisa che in ogni caso verranno fatte tutte le indagini necessarie.
UN’ISOLA CHE PUÒ DIVENTARE CASA
Le persone che hanno contattato Indip non si aspettavano di trovare in Italia violenze e soprusi. Uno di loro afferma: «In Italia ci trattano come nei peggiori paesi autoritari, non me lo aspettavo». Lui, come tanti altri compagni di esodo, vorrebbe avere quei diritti che gli sono stati negati in patria, entrando a far parte della società che lo ha accolto. Vuole lavorare e sentirsi parte della comunità come tutti gli altri cittadini.
«Vorrei rimanere a vivere in Italia. La Sardegna mi piace perché è molto verde, ci sono un sacco di boschi che non sono pericolosi come quelli che ho attraversato. Al massimo ci trovi qualche serpente», afferma mentre sorride. E continua così: «Mi piacciono i sardi. In questo periodo ho visto spesso dei cavalli, ho trovato il maneggio in cui li tengono e ci sono entrato. Ho trovato un signore molto gentile, gli ho chiesto di cavalcare e lui mi ha solo chiesto se sapessi farlo. Ho risposto di sì. Per me è stato bello, perché per un momento mi sono sentito nuovamente a casa, nel maneggio che avevano i miei genitori».
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