Licheni: decrescita ed ecologia queer per costruire nuovi modi di vivere
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Ravenna, Emilia-Romagna - “Attenzione ai gattini!” c’è scritto su un cartello di legno appeso al limitare del vialetto d’ingresso della CSA Terrestra, il progetto agricolo di cui vi parleremo prossimamente – se nel frattempo volete scoprire cos’è una CSA cliccate qui – che ha ospitato il Festival Licheni. Il tema? Decrescita ed ecologia queer. Uno “strano “binomio”, per dirla alla Guccini, che però poi tanto strano non è. Nei due giorni di permanenza a Terrestra, anch’io ho avuto modo di tastare con mano i legami saldi e pulsanti che uniscono queste due tematiche fra di loro e a tante altre.
Mi immergo nell’inebriante biodiversità umana del festival, partecipo a laboratori, esploro le vigne, i cortili e le cavedagne di Terrestra, assisto a reciproche contaminazioni fra mondi differenti in cerca di terreni e sinergie comuni. Nel pomeriggio del sabato mi riservo un momento per chiacchierare con le persone che hanno reso possibile tutto ciò: Emma, Carlo, Silvia, Gaia sono sedute di fronte a me. È un gruppo cosmopolita che condivide radici in Italia e una vita – ancora giovane – spesa in giro per l’Europa. Del team fanno parte anche Vlio e Franca, impegnate nel design e nelle fotografie del festival, e diverse altre persone che hanno supportato in vari modi l’organizzazione.
ALLE ORIGINI DI LICHENI
Una tappa del loro cammino verso Licheni è Zagabria, siamo nel 2023. «Ci siamo incontrate alla conferenza internazionale della decrescita di Zagabria – mi raccontano – e lì è nata l’idea di creare un gruppo informale che mettesse in rete persone italiane, anche residenti all’estero, che condividono un approccio politico alla decrescita».
Emma e Carlo sperimentano insieme l’esperienza di Alt Shift, festival austriaco sulla decrescita a cui partecipano come organizzatori, mentre Silvia a Barcellona fa la stessa cosa con Metamorfosis, che affianca pensiero decrescentista ed ecologia queer. I semi di Licheni sono piantati, alimentati da una duplice consapevolezza: da un lato Emma, Carlo, Silvia e Gaia si rendono conto della necessità di adottare un approccio realmente intersezionale. Dall’altro, prendono coscienza del fatto che attualmente non esiste un festival della decrescita in Italia, tanto meno con questa declinazione.
«Ci siamo incontrate al master Political Ecology, Degrowth and Environmental Justice dell’Istituto di Scienza e Tecnologia Ambientale di Barcellona, abbiamo studiato la decrescita dal punto di vista accademico e sentiamo la necessità di portarla fuori dalle aule universitarie, sposando un approccio più politico», mi spiega Emma. Serviva quindi uno spazio più aperto, più inclusivo, capace però al contempo di educare alle buone pratiche decrescentiste.
LA DECLINAZIONE POLITICA DELLA DECRESCITA
Il concetto di politicizzazione della decrescita mi incuriosisce, così chiedo di dettagliarlo un po’. «Ci rifacciamo anche all’approccio che ha avuto Beyond Growth, la conferenza tenutasi in primavera a Roma», prosegue Emma. «Una parte del programma si è svolto in Parlamento e ha portato i temi della decrescita, delle buone pratiche, della crisi climatica in un contesto istituzionale. La seconda giornata – che è quella che più rispecchia il nostro approccio politico – è stata ospitata dalla Città dell’Altra Economia ed è stato un momento di confronto orizzontale, dal basso e aperto».
Secondo la ragazze di Licheni, un approccio politico alla decrescita non può che essere intersezionale e includere femminismo, antispecismo, antirazzismo, antiabilismo e altre battaglie cruciali della nostra epoca. E infatti il nome del festival non è stato scelto a caso. «I licheni in natura sono l’unione di due mondi diversi, una simbiosi tra un fungo e un’alga, simbolo della contaminazione fra ambienti differenti», spiega Silvia.
Ecco un passaggio del manifesto che chiarisce ulteriormente il concetto: “Pensare ai licheni come modello biomimetico offre uno spunto di riflessione per esplorare le pratiche e i riti umani al di fuori dei paradigmi eteronormativi, per una libera interpretazione dei corpi che mira a ripoliticizzarli e renderli protagonisti del cambiamento ambientale e sociale. I licheni, altamente sensibili all’inquinamento ma allo stesso tempo altamente resilienti, ci danno una prospettiva sul momento presente in cui le sfide, sia a livello sociale che ambientale, minacciano gli esseri viventi fisicamente e mentalmente a causa di pratiche distruttive e oppressive”.
LA STRADA CHE PORTA A TERRESTRA
La macchina organizzativa si mette in moto e i ragazzi cominciano a cercare una location per il festival. Non un luogo qualsiasi, ma uno spazio che unisca natura, comunità e attivismo, anche politico. Prende così corpo l’idea della CSA. Entrano in contatto con Arvaia, che però li dirotta in Romagna. Ed ecco l’incontro con Silvia di Terrestra. L’intesa è subito totale, anche perché «la stessa CSA voleva aprirsi e attuare un cambio culturale, quindi la sinergia con Licheni è stata tempestiva, perfetta».
Mettere – metaforicamente e letteralmente – le mani nel suolo di Terrestra è stata anche l’occasione per creare un radicamento saldo del festival al territorio, un po’ in controtendenza con i grandi eventi internazionali dedicati alla decrescita. Per farlo è stata lanciata una chiamata rivolta a collettivi, associazioni e realtà che operano nei dintorni per cominciare a tessere una rete unita e solidale. «Stiamo creando questi spazi perché bisogna parlare a corpi, cuori e anime delle persone», sottolinea Carlo. «Le questioni centrali per noi sono l’accessibilità, la creazione di reti, la contaminazione».
LA RIVOLUZIONE DELLA CURA
Quello della cura è uno dei concetti chiave del festival, inedito – o quasi – nel nostro paese ma fondamentale per creare spazi sicuri e accoglienti. «Abbiamo redatto un piccolo “manifesto della cura” di Licheni – interviene Gaia, responsabile di questo ambito – che invita tutte le persone partecipanti a rifarsi a pratiche come il consenso, la responsabilizzazione, la coscienza dello spazio occupato, l’adozione di ogni accorgimento per garantire il benessere degli esseri umani e non umani presenti».
La cura è anche responsabilità, a partire dalle piccole cose. In Italia è nostra abitudine, quando andiamo a festival o altri eventi simili, pagare un biglietto e usufruire dei servizi a cui dà accesso. Licheni funziona diversamente: «Per tutti i servizi offerti non abbiamo chiesto biglietti ma donazioni con quote suggerite, così come abbiamo coinvolto le persone presenti invitandole a “darci una mano”, per esempio cucinando, allestendo gli spazi o supportando artisti e artiste nei loro spettacoli». Una sorta di collettivizzazione che supera il modello capitalistico e abbraccia un’economia realmente partecipata e condivisa.
E ADESSO?
Dalla punta della mia lingua pende già la domanda finale, ma le ragazze mi anticipano. «Prossimamente – dicono guardando già oltre il festival, al futuro prossimo di Licheni – abbiamo in programma di costituire un’associazione per creare una struttura più solida su cui poggiare le attività durante l’anno. Per adesso i nostri lavori flessibili ci consentono di organizzare questo evento in maniera volontaria, ma l’idea è quella di renderlo economicamente autosufficiente e – perché no? – magari itinerante».
Mentre parliamo e il sole di settembre allenta la sua morsa e allunga le ombre, diverse persone passano a salutare e a ringraziare. L’ultima battuta è sempre la stessa: «Ci rivediamo l’anno prossimo!». E se fosse questo il senso di tutto? Una necessità diffusa, forte, iniettata sotto pelle, di abbattere i confini culturali e umani, di contaminarsi, di erigere nuovi modelli sociali sulle macerie che stiamo calpestando. Se è davvero questo ciò di cui c’è bisogno allora Licheni ha avuto la capacità di riempire un vuoto, di creare legami, di tracciare una strada. Non ci resta che seguirla.
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