Comunità Energetiche, la democratizzazione dell’energia (pulita) secondo Giuseppe Milano
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Esiste una “intima interconnessione tra giustizia sociale e giustizia ambientale”, sostiene Giuseppe Milano, citando il Segretario Generale delle Nazioni Unite, in apertura del suo lavoro dedicato alle Comunità Energetiche Rinnovabili. Ingegnere e giornalista ambientale, nel suo Comunità Energetiche – Esperimenti di generatività sociale e ambientale, pubblicato da Pacini Editore all’interno della collana New Fabric, Milano conduce il lettore in un viaggio che spazia dagli aspetti tecnici della transizione ecologica all’impatto sociale della generazione di comunità coese intorno a un obiettivo condiviso – la produzione e il consumo di energia.
Con lui abbiamo delineato dunque un quadro puntuale e ad ampio raggio di ciò che sono oggi le Comunità Energetiche Rinnovabili, senza dimenticare di soffermarci sulle motivazioni che portano a fare questa scelta, non solo quelle che riguardano la visione a 360 gradi, ma anche quelle più prosaiche, legate alla vita quotidiana: come faccio a consumare meno? Come posso diminuire la mia impronta ecologica? È possibile farlo risparmiando anche qualche soldo? Capiamolo insieme.
Nell’immaginare lo sviluppo dello scenario attuale ti affidi in parte al brainstorming, ma avanzi anche alcune proposte più concrete. In generale come vedi la strada verso l’affermazione delle Comunità Energetiche Rinnovabili come un modello che possa costituire una reale alternativa a quello attuale e quali sono le tappe lungo le quali si sviluppa questo percorso?
Una premessa è necessaria: l’energia è materia complessa e ai più è sconosciuta. Quando pensiamo all’energia, nella stragrande maggioranza dei casi riflettiamo esclusivamente sugli importi delle nostre bollette, ignorando tuttavia ciò che è scritto sulle altre pagine del documento. Le comunità energetiche, introducendo la figura del prosumer – produttore e consumatore di energia – sono invece una straordinaria opportunità per renderci più consapevoli e corresponsabili sull’energia, che da mero fattore economico deve trasformarsi in sincero connettore delle nostre comunità, per saldare giustizia sociale e giustizia ambientale.
Le comunità energetiche dunque possono rappresentare la visione strategica della “democratizzazione dell’energia (pulita)” attraverso la quale le rinnovabili detronizzeranno i combustibili fossili che ancora incistano il nostro modello economico lineare. In particolare, la novità delle CER è sia nel rapporto fiduciario che deve sussistere tra tutti gli stakeholders sia nella potenzialità di un mercato dell’energia bidirezionale non più top-down, ma policentrico e diffuso che possa riconfigurare i territori.
Fra le varie forme di organizzazione comunitaria che meglio si addicono alla creazione di Comunità Energetiche Rinnovabili individui le parrocchie. A fine 2023 a Treviso è nata la prima CER diocesana e in generale questo settore si dimostra interessato e competente. A cosa è dovuto secondo te? Pensi che ci siano altri modelli di comunità che hanno queste caratteristiche?
Le parrocchie sono già aggregatori sociali in cui confluiscono persone che si conoscono o che condividono alcuni valori e che quindi più facilmente di un’assemblea di condominio oggi potrebbero avviare e sostenere, se adeguatamente supportate, processi di autoconsumo collettivo. Il modello organizzativo e gestionale è fondamentale, ma non è tutto. Devono esserci le persone e devono esserci le motivazioni: senza le comunità, scordiamoci le comunità energetiche!
Accennando solo fugacemente – ma è un tema che approfondiremo più avanti – allo spettro della speculazione energetica che aleggia sopra una necessaria transizione, cosa pensi dei grandi tentennamenti a livello politico e legislativo rispetto al tema (mi riferisco ad esempio alla normativa sulle aree idonee o sulle stesse CER)?
Negli ultimi decenni, con sfumature diverse, siamo passati dalla speculazione fondiaria alla speculazione edilizia: in entrambi i casi, eccetto poche virtuose eccezioni, a rimetterci sono i territori che vengono defraudati delle “proprie” risorse naturali da multinazionali narcotizzate dal profitto e indifferenti al greenwashing instillato nell’opinione pubblica. Oggi le CER sono in difficoltà per la nostra mancanza, da cittadini comuni, di fare rete, di “organizzare il coraggio” del cambiamento passando dall’autoreferenzialità alla reciprocità.
Dalla tua analisi risulta che il modello delle Comunità Energetiche Rinnovabili conviene anche economicamente al singolo utente e questo forse l’aspetto che, al di là delle valutazioni di ordine sistemico, ideale o culturale, incide di più sulla scelta delle persone. Può essere sufficiente a garantire un’ampia diffusione delle CER o non basta? È giusto fare leva su questo tasto?
La dimensione economica o finanziaria è certamente importante, se non indispensabile nei contesti più disagiati, ma non può ridursi questa innovazione ecosistemica messa in campo già da alcuni anni dall’Unione Europea a esclusiva operazione monetaria. Le comunità energetiche saranno una opportunità per Comuni, PA, imprese, parrocchie, centri di ricerca e realtà del terzo settore, se si affermerà il modello neomutualistico della cooperazione transterritoriale e interdisciplinare trasformando l’odierna complessità in novità consolidata che possa riqualificare le nostre città cosi bisognose di una reale conversione ecologica nei dettami della lezione di Alex Langer.
In conclusione individui una criticità proprio nella natura trasversale e multidisciplinare delle CER, che per certi versi “costringono” professionisti con estrazioni radicalmente diverse a lavorare insieme. Pensi che questo aspetto possa essere trasformato in un punto di forza? Se sì, in che modo?
Sì, assolutamente. Il sociologo Appadurai diceva che occorre ritrovare una “capacità di aspirazione” perché abituati a ragionare meschinamente sul quotidiano abbiamo smesso di stupirci e di sognare un diverso presente possibile che restituisca dignità al nostro diritto alla felicità e a quello delle prossime generazioni di vivere in contesti più sani e salubri, più inclusivi e generativi, nei quali sia patrimonio condiviso il principio che l’ecologia integrale possa sortire per tutti benefici sociali, ambientali ed economici riducendo la perniciosa piaga delle disuguaglianze e delle povertà.
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