L’albero, memoria viva della saggezza minacciato dal “grigiume” umano
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Con le sue forti radici e con le sue prosperose chiome, l’albero della foresta, del bosco e del giardino sardo ci rammenta con un solo sguardo la volontà di resistenza nel prendere il proprio spazio nella terra, intesa come elemento ma anche come mondo intero. Non importa quali siano dimensioni, forme e funzioni: la sostanza sta nel vigilare, nell’essere sentinelle della memoria che danno esempio costante di collaborazione, vitalità e crescita.
L’albero è un simbolo assiale, che incarna ascesa e discesa: immediato legame tra cielo e terra, alto e basso nella pienezza della legge del micro e del macro universali; nella pienezza della legge di reciprocità. La sua energia fisica ed esoterica si manifesta attraverso il sistema toroidale che nella geometria sacra rappresenta la dinamica più funzionale e armonica possibile sul pianeta. Simbolo di forza e regalità, in ogni cultura è simbolo di ordine cosmico: l’albero rappresenta l’axis mundi, Yggdrasill per i norreni, che diventa la base di tutto il sistema di comunicazione pittogrammatica nella nostra isola – dal capovolto passando per il labirinto, fino ad arrivare alla pintadera.
Il suo elemento è il legno, che può essere vivo, quindi radicato, o secco, quindi trasformato. È il quinto elemento che incarna tutti gli altri. Dalla terra con le radici si nutre d’acqua che viene trasportata verso l’alto, trasformandosi attraverso il fuoco solare in aria: la Grande Opera è molto più umile delle millanterie di piramidi elitarie vecchie e nuove! Nella nostra isola un albero nostrano ha rappresentato e rappresenta profonda identità, è l’albero deradicato dello stemma d’Arborea, identificato come acero sardo, mette in mostra la volontà e ricerca costante di connessione con le profondità ctonie, nonché la proverbiale capacità d’adattamento dell’etnia sarda in tutto il pianeta.
IL TRAUMA DEL DISBOSCAMENTO
Nelle culture a struttura circolare, bosco e foreste sono tenuti in enorme considerazione: essendo ambiente naturale la dimensione del sacro è ovviamente insita nella loro conformazione. La crepuscolarità e il chiaroscuro sono fonte viva di immaginario collettivo, ma soprattutto sono entità che riservano e conservano le risorse naturali assicurando continuità fisica e culturale. Nell’isola i boschi rappresentano un sistema funzionale ed efficace di collaborazione comunitaria, sin da epoche remotissime sono stati riferimento per esprimere vicendevole reciprocità, sia tra essere umano e natura che tra le fila umane.
Nel libro Colpi di scure e sensi di colpa dell’antropologo Fiorenzo Caterini si affronta tutta la storia del disboscamento della Sardegna dalle origini fino ad oggi ed è interessante notare come l’autore sottolinei che nell’immaginario sardo la speculazione sulle risorse forestali fosse considerata una vergogna atavica, un peccato profondo da espiare. Un peccato, aggiungerei, che vale anche nel momento in cui non siano gli autoctoni a compiere le azioni materiali, poiché la colpa vive anche nel non aver vigilato abbastanza da impedire che accadesse o nell’aver acconsentito per necessità materiali. Un’elasticità etica e morale che paghiamo con una vergogna malcelata che ci portiamo addosso di generazione in generazione.
ALBERO COME SUPPORTO
Il rapporto profondo tra sardi e natura è evidente nelle strutture del calendario agropastorale. Ogni festività è una pausa tra un processo lavorativo e l’altro e ogni festa ritualizza la circolarità naturale che ne è contemporaneamente oggetto e soggetto. Anche i riti di passaggio all’interno della vita degli umani sono costantemente contornati da simboli vegetali. “Is contus de sa Nuraxia – I racconti della Nuraghelogia” di Raimondo De Muro raccontano, attraverso la loro narrazione romanzata, che i giovani per la loro festa compivano un rito di comparatico in cui sceglievano il proprio albero.
Questo sarebbe cresciuto con loro, diventando un gemello arboreo e infine, una volta deceduti, sarebbero stati accolti tra le braccia delle sue radici nella profondità della terra. Nessuno sa quanto di ciò sia reale dinamica culturale e spirituale, ma io so che sia io che i miei figli abbiamo dei gemelli arborei, abbiamo anche cugini e zii, una bella nonna e moltissimi amici arborei. La medicina tradizionale inoltre sarda si affida spesso al supporto arboreo in termini sia fitoterapici che silvoterapici, un’antica conoscenza che fa arrossire il moderno olismo naturopatico.
Al giovane leccio ci si poggia respirando forte per far cessare i dolori muscolari, alla vecchia sughera per quelli reumatici che se cronici è meglio integrare con la rugiada del mattino di una quercia adulta. Se si ha la febbre è meglio poggiarsi in posizione radicata a un giovane albero del genere prunus a cui appartengono il mandorlo e il ciliegio, ma se il corpo febbricitante è molto piccolo va bene la vicinanza in sicurezza con qualunque appartenente alla famiglia delle rosacee.
Ebbene sì, la modernissima Green Therapy qui è sempre stata Mixina Birdi. Son esattamente gli stessi principi della teoria della Biofilia e della pratica del Shinrin-Yoku o Forest Bathing che sempre più prende piede sul pianeta ridando la giusta rilevanza al popolo verde, attraverso la scientificità dell’olismo. Questa medicina non cura ne previene, per quello ci sono i medici moderni. Questa medicina nutre il benessere di tutte le componenti umane: corpo- mente -anima e spirito.
UN POPOLO IGNORATO
Una nazione sottovalutata e bistrattata quindi quella del popolo verde, sotto continuo attacco di specismo, sempre in costante e sistematico allevamento, in allerta di genocidio e nel limbo tra coscienza e inerzia. Stefano Mancuso nel suo libro La nazione delle piante immagina che questo popolo, attraverso l’esempio, insegni all’umanità come costruire un futuro dignitoso per tutta la vita sul pianeta. Ciò è subito evidente proprio dall’articolo 1 della Carta dei diritti delle piante: la terra è la casa comune della vita. La sovranità appartiene a ogni essere vivente. E in effetti i veri figli della terra son proprio gli alberi e si dimostrano ogni giorno a priori più intelligenti degli esseri umani.
Sicuramente più saggi, ma forse è il mio atavico animismo a parlare o gli studi di neurobiologia vegetale. Esotericamente l’albero è testimonianza, esperienza e memoria tangibile. Cresce sempre in altezza come in larghezza e ha la stessa massa tra chioma e radici. Forse è anche per questo che nonostante la piega green dell’essere umano globalizzato, in fondo non c’è davvero tutta questa empatia per i vegetali.
Bisogna lavorare a fondo su di sé per comprenderli. Così l’umanità tende a tagliare, a fare spazio alla terra da edificare, si espande in un lento e crudele suicidio di massa. Il cambiamento climatico è un dato di fatto oggettivo per tutti coloro che sanno osservare con attenzione la natura e se è vero che il più grande colpevole è l’essere umano, probabilmente è anche perché sparge grigiume piuttosto che entrare in armonia col verde, quello vero.
DISSECCAMENTO DELLA MEMORIA
Nei giornali sardi ultimamente leggiamo sentimenti di inquietudine, di sospetto e la locuzione “male oscuro” si insinua tra le righe. Per gli osservatori e operatori del paesaggio sardo questo fenomeno di disseccamento boschivo era già chiaro da qualche tempo. In tantissimi boschi si allargava questo autunno degli alberi che li rendeva friabili, rossicci e poco vitali; querce, lecci e sugheri soprattutto. Ora che se ne parla mediaticamente la preoccupazione aumenta e ci si chiede la causa che però non è mai una sola.
Cambiamento climatico con precipitazioni irrazionali, incapacità delle istituzioni di sostituire in modo efficace una struttura comunitaria come quella tradizionale ademprivile, abuso di pesticidi, speculazione energetica a cui seguono i parassiti come il fungo Phytophthora cinnamomi – il male oscuro è colpa sua, povero funghetto nigredico! Sperando vivamente che non sia come la nuova Xylella fastidiosa del genocidio degli ulivi pugliesi, invito tutti i sardi a vigilare affinché non venga perpetrato un nuovo sopruso a danno completo del nostro paesaggio. Lo ripeto, albero è memoria vivente.
Prendiamo per esempio su Babbai mannu – il Grande padre – il Tasso di Badde Salighes a Bolotana. Vive accanto a Villa Piercy, misura quasi otto metri di circonferenza a petto d’uomo e circa quindici metri d’altezza. Cavo e barbuto, non si riesce a dargli un’età precisa, ma si osa chiamarlo, con riverenza, millenario.
Se così fosse, possiamo immaginarlo nascere attorno al decimo secolo insieme ai Giudicati e alla Carta de Logu, possiamo immaginarlo crescere con gli Aragonesi che hanno lasciato il popolo sardo in mano a Chiesa e Natura, o ancora nascondersi all’assalto dell’ecatombe arborea savoiarda, o che osservava l’Italia nascere a Villa Piercy mentre grandi personaggi organizzavano le sorti d’oltremare col favore d’oltremanica. Ora possiamo vederlo mentre vive l’epoca del verde risciacquato, della speculazione energetica e del male oscuro. L’albero della morte non muore mai.
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