1 Ago 2024

“Gli italiani? Spesso hanno più felicità di quanto credano”. Parola di Matteo Rizzato

Scritto da: Fabrizio Corgnati

Matteo Rizzato, 45enne psicologo e formatore pordenonese, da quindici anni si è dedicato insieme al suo team di ricerca alla misurazione della felicità degli italiani. Scoprendo che la qualità della nostra vita non è poi così bassa quanto a volte pensiamo, talvolta per colpa delle aspettative inadeguate e irrealistiche che ci impone la società

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Pordenone, Friuli Venezia Giulia - Una volta tanto ecco un articolo che si apre con una buona notizia: molti italiani sono più felici di quanto credono. A ribaltare le nostre impressioni e convinzioni personali, spesso troppo negative, ci pensano infatti i dati scientifici. A dircelo è un professionista che studia questi argomenti da molti anni: il dottor Matteo Rizzato, 46 anni di Pordenone, psicologo, ricercatore, consulente e formatore aziendale specializzato. «Nel 2023 abbiamo pubblicato su una rivista internazionale uno studio che misurava la felicità degli italiani», spiega a Italia Che Cambia. «In molti casi, le persone che hanno risposto alle nostre domande si sono scoperte più felici di quanto pensassero».

Non si tratta solo di un abbaglio collettivo: «Secondo noi il motivo è legato ai falsi modelli di felicità imposti dalla società. La gente, in altre parole, pensa di essere infelice perché non fa le vacanze in luoghi blasonati o non guida una fuoriserie o non possiede una villa con piscina. Invece per molti aspetti è felice: perché magari fa un lavoro che gli piace, va d’accordo con i familiari e cura la propria salute». Insomma, prima di ritenere insoddisfacente la nostra vita, dovremmo iniziare ad applicare i giusti metri di paragone.

felicità

Chi prova a fornircene qualche esempio è proprio Matteo Rizzato, che si è avvicinato allo studio della felicità da molto giovane: per curiosità, ma anche in seguito a un vissuto personale piuttosto delicato. «A 29 anni ho iniziato a soffrire di qualche problemino di salute e in quell’occasione ho iniziato a esplorare le neuroscienze, per capire qualcosa di più del comportamento umano, a cominciare dal mio. Poi il mio lavoro di formatore nelle aziende ha rafforzato la mia convinzione che la qualità della vita fosse l’obiettivo più importante».

Già, ma cosa significa esattamente questa espressione fin troppo abusata? Che cosa rende una vita davvero di qualità? «Le risposte più scontate sono sempre le solite, ma non le trovavo soddisfacenti. Avere successo: ma cosa lo determina? Essere ricchi: ma la felicità non può essere solo una questione materiale. Semmai è uno stato di benessere che ci possa far sentire pienamente realizzati come persone».

Per trovare una risposta più convincente, Matteo ha dovuto riavvolgere il nastro della storia, fino ai tempi di Socrate: «Il grande filosofo ateniese fu il primo a identificare una doppia valenza della felicità. Quella edonica che è data dal piacere: ad esempio, mangiare un bignè alla crema o acquistare un oggetto che desideriamo. E quella eudaimonica, che coincide con la scoperta del proprio demone, inteso come scopo di vita, prospettiva futura. Quello fu il mio punto di partenza».

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Gli antichi greci avevano visto giusto, ma gli strumenti della scienza moderna ci offrono la possibilità di arricchire le loro intuizioni filosofiche con una vera e propria misurazione. A questa missione si è dedicato Matteo, nel suo ruolo di ricercatore in psicologia comportamentale, insieme a un team di ricerca istituito ad hoc. «Ci abbiamo messo anni, ma alla fine abbiamo elaborato un questionario che rappresenta al meglio, rispetto agli altri test psicometrici più conosciuti a livello internazionale, l’aspetto multidimensionale della felicità. Quattordici domande che non solo misurano quanto sei felice, ma anche perché».

Il primo dato emerso è che la felicità può essere rappresentata da cinque aree ben precise: il benessere psicofisico, la condizione economico-finanziaria percepita – cioè non tanto quanti soldi hai, ma che rapporto hai con essi –, gli affetti e le relazioni private, la sfera sociale e infine le prospettive future, come l’attitudine al miglioramento personale. Non ce n’è una prevalente sulle altre: “Hanno tutte lo stesso peso, sono equivalenti ed è bene che siano in equilibrio». Tradotto: non serve a niente ossessionarsi unicamente sul lavoro o sulla forma fisica, se poi i nostri rapporti umani sono un disastro.

Torniamo dunque al nostro punto di partenza: la misurazione della felicità degli italiani. Ora che abbiamo capito con quali criteri è stata realizzata e che abbiamo scoperto che i risultati sono forse meno drammatici di quanto i più pessimisti di noi si sarebbero aspettati, dobbiamo però prendere atto delle notevoli differenze che si registrano tra i nostri connazionali in tema di benessere.

La felicità non può essere solo una questione materiale. Semmai è uno stato di benessere che ci possa far sentire pienamente realizzati come persone

Qualche esempio? «Le donne sono meno felici degli uomini a tutte le età, perché hanno un rapporto peggiore con la sfera psicofisica, hanno una bassa autostima, probabilmente perché si confrontano con modelli femminili irrealistici. Avere figli ha un impatto negativo sulla felicità degli uomini, perché influenza in modo significativo la sfera finanziaria, mentre per le donne ha un effetto leggermente positivo, perché migliora le prospettive future. Un reddito basso peggiora la felicità, anche perché rischia di coinvolgere più aree, ma quando si superano i 21mila euro all’anno non è detto che avere più soldi renda automaticamente più felice: dipende ad esempio da come vengono spesi».

Ma non è solo la nostra conoscenza della felicità che sta aumentando: a crescere è anche l’importanza che questi temi si stanno conquistando nel loro dibattito collettivo. Dalla politica, come testimonia l’interesse dimostrato persino da esponenti governativi nei confronti di tali studi, fino alle aziende, dove fin dal 2013 Rizzato ha iniziato a portare questi concetti.

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«Stare bene mentre si lavora è fondamentale, perché si riflette sulla nostra salute generale: lo stress è correlato alle malattie», ci ricorda lo studioso. «E la questione non è sempre legata allo stipendio: ci sono anche aziende i cui dipendenti sono pagati molto bene. Magari però hanno bisogno di più tempo a disposizione o di migliorare i rapporti sociali, la comunicazione, la gentilezza, il rispetto e la stima tra colleghi».

Dunque, l’incontro tra scienza e filosofia, tra ricerche teoriche e applicazioni pratiche ci può regalare parecchi insegnamenti per migliorare la nostra vita. Abbiamo molto da imparare sulla felicità e possiamo mettere in atto parecchi interventi per costruirla concretamente, nel quotidiano. A partire dalle piccole cose, che però possono fare una grande differenza. «A volte è sufficiente ascoltarsi davvero», chiosa Matteo Rizzato. «Se percepisci qualcosa che non va, cerca di organizzarti per risolverla. L’attitudine al costante miglioramento, non solo economico, ma fisico, psicologico, intellettuale, è una buona idea. Se poi, in questo percorso di sviluppo armonico, aumenti anche il benessere altrui, probabilmente stai facendo qualcosa di buono».

Leggi anche l’intervista di Fabrizio Corgnati a Michael Plant.

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